Desio gennaio 2016
al varco, senza selfie
Il ritiro Vangelo e Zen di Roma mi ha dato l’occasione di compiere il gesto giubilare. Alle 7 del mattino, quando i pellegrini e i turisti sono ancora rari, ho varcato la soglia della porta santa della basilica di San Pietro. Una breve sosta orante davanti al capolavoro di maternità divina – umana che è la Pietà di Michelangelo, quindi mi sono recato al confessionale per chiedere a un sacerdote l’ascolto dei peccati della mia vita e il perdono divino e umano. Il confessore che mi sono trovato davanti era un sacerdote dalla fisionomia dimessa, esile, dal volto color datteri. Parlava un perfetto italiano con un accento straniero. Dopo aver ricevuto il segno del perdono, stringendogli la mano gli ho chiesto quale fosse la sua lingua materna. “Sono un sacerdote cattolico arabo”, mi rispose. “Al tuo paese essere cristiano costa sacrifici!”, replicai. “Sì, ma li facciamo volentieri”, mi rispose. Fatto un inchino, lasciai il confessionale. Seduto su una panca nella cappella riservata alla preghiera, ho riflettuto sul gesto giubilare che avevo appena compiuto, tenendo davanti agli occhi il volto di quel prete arabo che m’aveva detto che saper soffrire volentieri per ciò che si crede è pace. Io avevo camminato solo 10 minuti a piedi per raggiungere la basilica di San Pietro. Vi ero entrato quasi baldanzosamente, pago della magnificenza dell’edificio e gustandomi il racconto che poi ne avrei fatto agli amici. Come di fatto sto facendo ora.
Nel Duomo di Milano vedo tanti pellegrini – turisti che sostano davanti all’icona di Maria, o all’altare del Crocefisso, o davanti alle vetrate dell’abside, e con disinvoltura si scattano una selfie. Poi, confabulando con amici, si apprezzano i capolavori delle loro sembianze sul piccolo schermo del telefonino. Forse, all’icona di Maria o del Crocefisso, nemmeno un inchino. Forse, a quella folla di scalpellini, scultori, vetrai che in silenzio hanno generato la santa bellezza del Duomo, nemmeno un grazie.
Ma quel giorno, mentre meditavo nella cappella laterale della maestosa basilica di San Pietro, dopo aver ricevuto in pochi minuti il perdono giubilare che, come alcuni dicono, garantisce il biglietto per il paradiso, mi sono sentito anch’io un selfiesta. Avevo attraversato la soglia della porta santa cercando novità di vita, ma ancora ero io a dirmi in antecedenza come volevo diventare nuovo dopo aver varcato. Con la mente mi ero fotografato nuovo mentre ero ancora vecchio, già prima di varcare la soglia. Chiedevo a Dio bellezza, ma mi facevo bello con le mie mani. Varcare la porta santa, dice il Vangelo, è attraversare la cruna di un ago con la propria nuda esistenzialità.
Papa Francesco ha dato inizio all’anno santo varcando la soglia della porta santa di una chiesa della Repubblica Centro Africana, paese povero e tormentato dagli scontri etnici e religiosi. Ha poi continuato il cammino del varco facendo visita ai fratelli musulmani nella loro moschea. Ci sono porte sante che non necessitano di alcun proclama rituale. Sono le porte sante della storia, dell’attualità; quelle che costa assai ad attraversare, al punto che, attraversandole, a nessuno viene in mente di scattarsi una selfie.
Porta santa realissima è il deserto ed è il mare Mediterraneo che migliaia e migliaia di poveri attraversano in cerca di una vita dignitosa, il cui dove e come rimane loro sconosciuto. Soglia di quella porta santa sono le notti su un barcone traballante sulle onde, senza un minimo spazio per distendersi, nemmeno per ritirarsi per i bisogni fisiologici. Soglia esistenziale, nessuna selfie… !
Ad ogni istante molti bambini varcano la soglia del seno materno. Ad ogni istante molti anziani varcano la soglia del pellegrinaggio terreno. Se al momento della nascita o della morte qualcuno scatta una foto, è l’estraneo, il disturbatore, l’approfittatore, il sacrilego. Gli atti veri non hanno alcuna sembianza in più da esporre.
Molta religiosità è selfie. Foto e foto di prima comunione, di matrimoni, di ordinazioni sacerdotali! Anche molta meditazione e preghiera è selfie! Ogni preghiera che si volta indietro per vedere il risultato ottenuto, è selfie. La preghiera vera, dice Gesù, ha già ottenuto prima di essere elevata. “Tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato” (/Mc 11,24). La preghiera che non è la propria vita che prega, contiene del sovrappiù. E’ pesante, non vola al cuore di Dio, ma ricade nella mente di chi l’ha elevata. Una selfie!
Mi appaiono una selfie le dimostrazioni pro e contro il matrimonio degli omosessuali e delle eventuali adozioni di bambini. Una selfie di intenti alieni dal rispetto di chi è nato con questa tendenza. Molti omosessuali che si accostano al confessionale, in modo spontaneo parlano della loro esistenzialità. Questa, la loro esistenzialità, non è qualcosa che viene compresa, rispettata e valorizzata tramite un atto giuridico, tramite l’equiparazione al matrimonio. E’ più originale: è la loro vera esistenzialità, con sfumature differenti in ogni persona. La loro esistenzialità è una soglia dell’integrità del cammino umano, come quella di ciascun uomo e donna. Lungo la storia, alcuni omosessuali hanno arricchito l’umanità di stupende espressioni artistiche e poetiche. La sessualità, tutta, oggi è commercializzata, banalizzata. Eppure fu attraverso il rapporto sessuale di una donna e di un uomo che ha avuto inizio la nostra avventura. E un uomo e una donna l’hanno amata, custodita, protetta.
Papa Francesco ha voluto che di porte sante se ne aprissero molte, ovunque. Ha dissacrato la tradizione che dava alla porta di San Pietro in Vaticano un privilegio magico. Ha anche dissacrato l’immagine magica dei riti, delle devozioni, dei pellegrinaggi lontani e costosi. Sono un richiamo. Ha consacrato una porta santa più esistenziale. La vera porta santa, la vera soglia da varcare, è la vita reale.
Con fiducia. Senza selfie.
p. Luciano
Desio, Natale 2015. Dopo la celebrazione eucaristica, il convivio della fraternità.
Un selfie che qui – credo – è al suo posto!
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