La missione dei dodici
Allora chiamò i dodici, e incominciò a mandarli a due a due e diede loro potere sugli spiriti immondi. E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa; ma, calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche. E diceva loro: «Entrati in una casa, rimanetevi fino a che ve ne andiate da quel luogo. Se in qualche luogo non vi riceveranno e non vi ascolteranno, andando vene, scuotete la polvere di sotto ai vostri piedi, a testimonianza per loro». E partiti, predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano.
* Il bastone da viagigo e il Vangelo
«E ordinò loro che, oltre il bastone, non prendessero nulla per il viaggio». Cos’è questo bastone che è l’unico strumento necessario per il viaggio del missionario che annuncia il Vangelo? In genere nei viaggi corti il bastone è usato solo dalle persone anziane o deboli; ma nei viaggi lunghi è utile a chiunque. Soprattutto i pellegrini ne fanno uso, per non soccombere alla stanchezza e anche per proteggersi in caso di aggressione mentre attraversano terre straniere. Il bastone con l’uso si consuma, ma facilmente può essere sostituito tagliando un ramo da un albero lungo la strada. Il bastone, così importante secondo il comando di Gesù, è la ferma convinzione che il missionario ha di essere inviato da Dio a camminare per il mondo. Parte e cammina non in nome di una sua dignità, ma per una vocazione divina completamente gratuita.
«Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). Il vero missionario è colui che testimonia con la povertà di tutto se stess’o, che l’aspetto ultimo delle cose è la gratuità. Il Vangelo infatti è il lieto annuncio che la radice di tutto ciò che esiste è l’amore, compreso ciò che a noi appare come l’opposto dell’amore, come negatività, come peccato. Il missionario del Vangelo non è l’esperto nel dare il buon esempio; infatti anche il rinnegamento di Pietro è testimonianza verso l’amore. Virtù e difetti, atti meritori e peccati, momenti luminosi e momenti oscuri, parola e silenzio, vita e morte: tutto coopera a testimoniare che la ragione ultima dell’essere è la gratuità dell’amore. La testimonianza non è raccontare le belle figure fatte finora nella propria vita, ma è comunicare la profonda convinzione che tutto è ricevuto gratuitamente e tutto va donato gratuitamente. Per questo il missionario cammina povero di cose di cui vantarsi e su cui fare affidamento, ma ricco soltanto della convinzione che nasce dall’esperienza personale che tutto è ricevuto gratuitamente e tutto deve essere dato gratuitamente. Questo è il bastone che lo sostiene nel suo pellegrinare.
Missionario è soltanto chi vive un rapporto limpido con la verità: la verità non sopporta di essere trasmessa attraverso sotterfugi e privilegi e si affida solo a chi ha il cuore semplice. Il modo con cui si trasmette la verità è già parte della verità stessa, come il colore, il profumo e il sapore sono parti integranti del frutto. Come l’acqua limpida di fonte non può che essere rinfrescante proprio per la sua stessa natura, così la verità per sua esigenza profonda non può che rivelarsi nel clima della gratuità. La gratuità è il colore, il profumo e il sapore che indica la presenza della verità.
«E ordinò loro che, oltre il bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa…». È forte per il missionario la tentazione di trasmettere ad altri popoli il messaggio evangelico rivestendolo della sua cultura. Il missionario italiano ama annunciare il Vangelo nel Terzo Mondo rivestendolo di aspetti culturali suoi: diffonde immagini sacre rinascimentali o barocche, spiega il catechismio secondo le categorie mentali occidentali, non distinguendo ciò che nel Vangelo è universale da ciò che è supporto culturale locale. Anche i missionari buddisti venuti dall’oriente in occidente, si comportano per lo più nello stesso modo. Trasmettono il buddismo attraverso l’attrattiva esotica delle cose orientali, come se l’essenza del messaggio buddista non fosse universale. I veri missionari sono rari. Soltanto chi ha un cuore veramente religioso puòtrasmettere in modo autentico la verità autentica. Gesù comanda di non portare nulla eccetto il bastone. Sapeva dalla sua esperienza che il cammino è faticoso; ma che non ci si deve arrestare: quindi raccomanda di portare con sé solo il bastone. Esaurito il nostro sforzo e giunti alla soglia dove può giungere l’uomo, con occhio purificato vedremo che tutto è stato un dono.
p.Luciano
* Il viandante e la chiesa
Nell’ascoltare le indicazioni che Gesù dà ai suoi discepoli nel momento in cui per la prima volta li invia nel mondo, sorge spontanea una domanda: con quei presupposti, come ha potuto svilupparsi una struttura così potente e organizzata quale è la Chiesa come la conosciamo oggi? Dico questo senza polemica: è solo un interrogativo non retorico con cui confrontarsi. Nessuna chiesa di matrice cristiana può esimersi dal porsi questa domanda. Peraltro, lo stesso quesito si pone al fedele buddista: come è possibile che a partire dall’insegnamento di Gotama si siano formate congregazioni religiose potenti, vere e proprie caste monacali, fino allamaismo tibetano che rappresentava il potere politico stesso, o all’organizzazione dei tempIi in Giappone, in cui il monaco eredita dal padre il tempio come fosse l’azienda di famiglia? Non diversamente dall’invito di Gesù, Budda concede ai suoi discepoli nient’altro che una ciotola per le elemosine e due vesti, una da indossare e una di ricambio. Queste due vesti sono semplici rettangoli di stoffa.formati da sette strisce cucite insieme, brandelli di tessuto raccolti nei posti più derelitti, nelle discariche di spazzatura e fra i resti delle pire funebri. Il monaco, rasata la testa, doveva cucire personalmente le strisce di stoffa insieme, secondo una precisa modalità, e poi impastare l’abito con la terra, finché assumesse la caratteristica e uniforme colorazione ocra.
Ci restano, chiare e nette, queste indicazioni: che senso hanno per noi oggi, e che rapporto hanno con le nostre chiese, i nostri monasteri, le nostre sante istituzioni? Né Gesù né Gotama hanno mutato le loro parole, in un secondo tempo della loro predicazione, dando altre istruzioni: queste che abbiamo letto restano parole che non passano. Forse che allora non abbiamo dato retta, abbiamo fatto di testa nostra, abbiamo disubbidito e ritenuto che solide istituzioni fossero molto più convenienti per diffondere il Vangelo e il Darma che non quelle indicazioni così ingenue e severe? In parte è così, ma non credo che questa sia la risposta al quesito.
La risposta è molto più semplice e positiva. Noi non abbiamo disubbidito alle parole di Gesù e di Budda in materia di modalità della diffusione del Vangelo e del Darma per il semplice fatto che le nostre istituzioni non sono il prolungamento di quelle loro parole. Detto in altri termini, Gesù e Budda non sono dei fondatori di religioni. Con le parole del Vangelo che oggi abbiamo letto Gesù non intende fondare un movimento religioso o una chiesa: dice qualcosa di ben più fondamentale, dice l’atteggiamento pratico e interiore che deve avere chi vuole trasmettere a un altro il cuore del suo messaggio. Per fare questo non c’è bisogno di istituzioni, congregazioni, chiese, oratori… c’è bisogno dell’esperienza di fede e della testimonianza vivente che il regno di Dio è qui vicino e che a questo è necessario convertirsi. Non si deve lasciare altra traccia che questa dietro di sé. Al punto che un po’ di polvere scossa dai calzari è l’unico segno visibile di quel passaggio. Il vero tempio, Gesù ci ha insegnato che lo portiamo sempre con noi. L’esempio che ci lascia è quello del viandante che non ha dove posare il capo.
Tutto il resto lo abbiamo aggiunto noi. Non è detto che questo sia un male, tutt’altro. Le forme cambiano con il mutare delle circostanze, ed è naturale che sia così. A patto, però, che siano varie e mutevoli forme della stessa sostanza. Il Vangelo, il Darma, non mutano: le chiese che li indicano sì. Quand’anche crollasse ogni chiesa, cristiana o buddista, ciò non muterebbe di un fiato la realtà del Vangelo e del Darma. Ignazio di Loyola, il grande santo fondatore della Compagnia di Gesù (i gesuiti) era certo un uomo molto attivo e capace, perché ancora lui vivente la sua congregazione era già potente. Si può immaginare quanto gli stesse a cuore: ebbene, egli affermò che se pure la Compagnia fosse scomparsa questo non avrebbe provocato in lui alcuna emozione, purché fosse rimasta intatta la sua esperienza di fede. Se anche noi siamo certi di questo, che la nostra esperienza di fede è sempre con noi ovunque andiamo, allora siamo anche noi viandanti, con bastone, sandali e tunica, con ciotola e manto. Allora possiamo anche costruire le chiese e i monasteri: saranno lievi architetture, duttili al soffio del vento dello Spirito.
jiso
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