Ci continuano ad arrivare – e noi volentieri pubblichiamo – diversi commenti da chi ha letto il libro Delle onde e del mare di p.Luciano, e che trovate nel seguito di questo post.
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Pierinux
Ciao Luciano! Ho quasi finito il tuo libro, mi avevi chiesto di dirti cosa ne pensavo: L’inizio del libro con le due lettere tra il monaco e il missionario da laico l’ho sentito un pò come cominciare a scalare una montagna senza riscaldamento, mi ha sinceramente ravvivato il mio anti-teologismo (ed è un bene).
Invece dal IX capitolo in poi c’è Luce, il libro cambia colore e peso e esprime tutto il sapore della linfa che da vita. Spesso, sinceramente, mi sono fermato ad assaporare e ringraziare per questa Luce che emana. Ho anche capito che il Signore ti ha amato tanto da darti di quelli schiaffoni materni (oltre che molte carezze) e così ho potuto rivedere quelli che il Signore mi ha dato (forse ancora pochi) e così riposare nel Suo amore. E’ un libro prezioso perchè è scritto da una persona viva, che ha avuto il coraggio di vivere ad occhi aperti e che continua a vivere veramente! Grazie infinite!
Pietro Bizzini
Ho iniziato con entusiasmo la lettura del tuo nuovo libro e voglio riportarti le risonanze che mi ha risvegliato.
Mi ha molto colpito l’episodio dello scambio delle lettere con il missionario zen, questo episodio mi ha ricordato che nella mia infanzia i migliori amici che ho avuto sono quelli con i quali il rapporto è iniziato in maniera conflittuale, in parole povere ce le siamo date di santa ragione. E’ proprio vero che quando si è sinceri fino in fondo arrivando anche alla violenza fisica dopo si crea un rapporto più sincero e disteso quasi non esistesse più il timore di mostrarsi per quello che si è veramente.
Ho riso molto leggendo l’episodio dei cachi, non so perché, mi ha forse ricordato le volte che sono partito armato di buoni propositi per aiutare qualcuno e sono rimasto spiazzato da una reazione inaspettata, accorgendomi che i miei buoni propositi creavano disagio nell’altro.
Wabi, mi ricordo che da bambino passavo l’estate in campagna dai nonni agricoltori, una cosa che mi ha sempre colpito negli attrezzi non sempre pulitissimi erano i manici lucidi, splendenti, lisci. Passavo dei bei momenti a toccare quelle superfici perfette chiedendomi sempre come fosse possibile una cosa del genere, dopo molti anni è arrivata la risposta dall’estremo oriente.
Oggi purtroppo con il consumismo non esiste più il rapporto profondo con gli oggetti, come si rompono se ne ricomprano altri così anche il rapporto con le cose è diventato superficiale.
Una curiosità, in un recente viaggio in Portogallo ho avuto modo fra le altre cose di gustare degli ottimi te, in portoghese te si dice cha, forse il nome deriva dal fatto che i portoghesi sono stati i primi europei ad entrare in contatto col popolo giapponese ?
Un abbraccio
Mauro & famiglia
Delle onde e del mare si offre a vari livelli di lettura e a vari tipi di lettori che si interroghino su Dio, sul significato delle religioni e più in generale sulla vita. E’ un libro per addetti ai lavori ma anche per chi, semplice pellegrino dell’assoluto, si chiede come una religione possa offrire più certezze di un’altra.
I temi trattati in questo libro di accentuato carattere autobiografico, delicato e forte, profondo e a volte toccante, sono davvero molti. Colpiscono l’introspezione, la sincerità, l’onestà, il coraggio, la passione, la tenacia, la dedizione e spesso anche la solitudine del missionario protagonista/autore del racconto. Ci si ritrova e ci si rispecchia nei tanti interrogativi che egli molto lucidamente si pone.
Numerose sono le immagini e gli episodi che restano negli occhi e nel cuore anche oltre la lettura del libro: l’entusiasmo del giovane missionario, la lezione sui cachi da parte dei due anziani coniugi giapponesi, le parole del vecchio orologiaio di Onejime (il cristianesimo è una buona religione, ma solo a metà. Infatti venera solo Dio padre e non venera Dio madre; conosce solo il cielo e non conosce la terra), il battesimo forzato di Mayumi, la disaffezione dei giovani adepti, la sensazione del missionario di aver girato a vuoto e la sua sofferenza, l’incontro con Shizuo e Midori, il lavoro nel cantiere edile, le lettere agli amici, la messa di Natale, quella del Gantan e i relativi insegnamenti, la salita al monte Takakuma, la mamma di Toshiharu, le visite alle famiglie, l’incontro con il vescovo di Kagoshima, la costruzione della chiesa nell’isola, il perdono del padre del ragazzo ucciso, i templi buddisti e scintoisti, i tifoni, .. e molti altri ancora.
Altrettanto numerose sono le tematiche affrontate dal protagonista, vissute con tutto se stesso e che penetrano nell’animo del lettore. Alcune tra queste:
Le religioni / Il dialogo interreligioso
Il confronto con una cultura radicalmente diversa fa approdare il protagonista alla consapevolezza che di fronte alla strada che uno sceglie ce ne sono tante altre, pure valide, che si sceglie di non scegliere. Nulla può esaurire cos’è Dio. Le religioni quindi come porzioni di verità risvegliate da Dio negli uomini e da essi abbracciate in affinità con la loro specifica natura e cultura, svariati modi di vivere la fede. Il dialogo interreligioso diventa perciò un indispensabile aiuto a capire di più, ad immergersi senza paralizzanti resistenze negli aspetti diversi e anche opposti delle religioni fino a trovare l’altro, fino a scovare anche dentro di sé, alla radice, le motivazioni per cui altri hanno scelto un percorso diverso e che sicuramente arricchiranno anche il proprio percorso … E’ possibile, se si agisce nella tolleranza, senza paura di perdersi o volontà di risultato, già paghi del dialogo.
Il contributo dello Zen
Il protagonista impara dallo Zen che nulla esiste per se stesso, tutto è correlato e quindi vuoto, e l’autosufficienza è un’illusione. La cultura Orientale risveglia in lui la venerazione verso la Natura, trasportandolo dalla concezione di un Dio separato e superiore, che evoca immagini al maschile, ad un Dio che riversa la sua stessa natura nel creato e maternamente tutto abbraccia e alimenta. Un’unica natura divina, fondo di tutti gli esseri e di cui tutto è pregno. La comprensione di Dio che ora per lui avviene partendo dall’uomo, e non più al contrario. Un Dio percepito come presenza nella parte più intima dell’anima, e la scoperta dello zazen, la pratica meditativa religiosa dello Zen, che unifica corpo e spirito nel silenzio primordiale di quel luogo profondo e insondabile ed apre all’ascolto.
Il perdono
Il perdono, come una goccia d’olio, rende morbida la vita. Nel libro si incontrano passi belli e importanti sul perdono. Perdono chiesto e dato come via maestra della vita. Perdono costantemente ricevuto e costantemente dato, che libera dagli errori compiuti, dall’attaccamento e dalle paure. Perdono come accoglienza intima e incondizionata, un rinnovarsi senza fine nella fiducia e nella pace. Il Cristianesimo come religione del perdono. Il lieto annuncio del perdono come contributo del Cristianesimo alla via del dialogo con lo Zen.
Chiudono il libro due lettere intense, sintesi dell’itinerario spirituale dell’autore. La prima, scritta dal protagonista al monaco dello Zen dopo il rientro in Italia, ad un paio di decenni dal loro incontro, manifesta il riconoscimento della preziosità e complementarietà dei rispettivi messaggi, validi per ogni uomo a prescindere dall’appartenenza religiosa. La seconda, scritta nel tempo presente e direttamente in prima persona, esprime alla Chiesa cattolica le riflessioni dell’autore, le sue perplessità, la sua accorata preghiera e la sua speranza.
Maria Veronese
Desidero segnalare un libro scritto da padre Luciano Mazzocchi, come interessante tentativo di dialogo con le religioni non cristiane. Il titolo è DELLE ONDE E DEL MARE, e quello che io ho messo in testata a questo mio intervento è il sottotitolo. Il saggio è stato pubblicato dalle Paoline Editrice, nella serie di volumi riguardanti il dialogo interreligioso.
Devo anzitutto dire che il libro è scritto molto bene, in uno stile chiaro e avvincente, che procede in forma scarna, senza soste per dissertazioni letterarie, e tratta un’avventura dello spirito innestata nella storia della sua vita di missionario in Giappone. È dunque un racconto di un lungo viaggio, durato quasi vent’anni, sulle strade del Giappone, segnato dagli incontri con la gente, dalla bellezza dei luoghi, dalla violenza dei tifoni, dai drammi del dolore umano; tutto è raccontato con una concretezza di linguaggio che ti fa vedere le cose e le persone e ti coinvolge nei loro drammi. Ma il dramma principale è quello di padre Marco, che non è altri che il nostro Luciano in un racconto autobiografico in terza persona.
Il primo impatto col mondo giapponese – primo, anche se è avvenuto più tardi in un tempo indeterminato – è stato l’incontro-scontro con un monaco del buddhismo Zen, che gli ha buttato in faccia la frase: «Il cristianesimo è violento». Padre Marco risentì la frase come un pugno sullo stomaco. In un primo tempo si mise sulle difese e cercava argomenti per controbattere. In seguito, si domandò se non ci fosse qualche cosa di vero…
C’erano, sì, nella storia della Chiesa episodi di violenza, come ai tempi dell’Inquisizione; ma poi la coscienza lo fece riflettere su se stesso e trovò che nel suo entusiasmo per la propria fede aveva proposto la conversione come una necessità per la salvezza, un “compelle intrare” di distorta interpretazione; e gli rimordeva l’animo al ricordo di quella giovane malata che egli aveva battezzata in articulo mortis, quando la credeva in coma irreversibile. Essa aprì gli occhi e disse sommessamente: «Io sono buddhista; non voglio il vostro battesimo». Tutte le volte che ci pensava ne provava vergogna e risentiva nell’orecchio: «Il cristianesimo è violenza».
Gesù non era stato così: aveva rimproverato i discepoli che volevano il fuoco dal cielo sulla città che non li aveva accolti o avevano impedito a uno di scacciare i demoni in nome di Gesù perché non era un discepolo: «Non sapete di che spirito siete».
Dunque, non possiamo vantarci di possedere la verità tutta intera, perché la verità è più grande della nostra comprensione e dobbiamo credere che anche ad altri popoli Dio ha elargito una porzione della verità. Allora gli venivano in mente «la via della compostezza e dell’armonia» del buddhismo, e «la venerazione del vigore della natura» dello Shintoismo. Come non vedere in questi aspetti un bagliore della verità eterna?
Poi ci fu un secondo impatto. Un vecchio orologiaio gli disse: «La vostra religione è buona, ma a metà; perché venera Dio-padre e non riconosce Dio-madre; conosce solo il cielo e non la terra».
La riflessione del missionario lo portò a riconoscere che nel cristianesimo attuale c’è una specie di disconoscimento della Natura. «L’uomo è spirito e corpo; lo spirito è il riverbero del grande Spirito che crea la realtà; ma la realtà non è riconosciuta come elemento attivo, ricco della stessa potenza del creatore. Gli Orientali vedono la natura come il grembo di Dio, da cui sgorgano tutte le altre esistenze». Padre Marco, vedendo con gli occhi degli Orientali, dice a se stesso che Dio manifesta la sua natura nel complesso dell’Universo e adombra la sua triplicità delle Persone nella molteplicità delle forme create (ho reso con mie parole); arriva a dire: «La Natura è Dio». Guai a interpretare questa parola con il vocabolario della Teologia! Semmai la si deve prendere come un’espressione mistica.
Dio, in un certo senso, si nasconde e si rivela nelle cose create. Tutta la creazione è piena di Lui. Se noi, cristiani moderni, troppo attratti dalle spiegazioni scientifiche, trattiamo la natura come una cosa, non era così per gli Ebrei. I salmi sono pieni della Natura in cui Dio si rivela: o con le tempeste che abbattono i cedri del Libano o con le stelle del Cielo che narrano l’una all’altra le meraviglie del Creatore. Del resto, anche nella tradizione popolare cristiana, la Natura parla di Dio. Emblematica la poesia dell’Aleardi:
«Ovunque il guardo io giro
immenso Dio ti vedo
nell’opere tue ti miro
ti riconosco in me».
Gli Orientali vedono nella Natura una innata potenza creatrice e, come dice il nostro missionario, il grembo che genera tutte le cose: Dio-madre. Noi lo consideriamo panteismo, perché ci sembra che essi non riconoscano un Dio personale: si tratta proprio di Dio-Natura?
Comunque, il padre Luciano nell’ultimo capitolo, in una appassionata Lettera «all’amata Chiesa Cattolica», esprime l’angoscia nel pensare a tanti missionari «di finissima umanità e religiosità quali Matteo Ricci, Alessandro Valignano, Roberto De Nobili e tanti altri» che pure non sono riusciti a parlare al cuore dell’Orientale. Forse perché non hanno conosciuto e accolto l’aspetto divino della Natura: «la Natura in Oriente è il seno della divinità; ne è la Madre».
Noi, cristiani occidentali, «non sappiamo stare di fronte alla Natura con la fede che essa contenga una legge originaria che a noi spetta scoprire». È necessario «che la Chiesa si cali dentro l’esperienza millenaria dei popoli orientali, da cui è venuta tanta fortezza, dignità e arte». In altre parole è necessario che il concetto di persona sia considerata come la cima che emerge da una catena di montagne, che è la Natura.
Non procedo più avanti. È necessario leggere senza pregiudizi le appassionate pagine della Lettera all’amata Chiesa, senza irrigidirsi nel confronto con le formulazioni teologiche. C’è molto di vero nelle pagine di padre Luciano e ci sono molti altri concetti ai quali non ho potuto nemmeno accennare. Il libro resta un mirabile tentativo di dialogo con le Religioni orientali e un’umile domanda se mai non abbiamo anche noi qualche cosa da apprendere per approfondire maggiormente il nostro Cristianesimo. Merita di essere letto e meditato.
Parma, 29 giugno 2006
P. Augusto Luca
“Il cristianesimo è una buona religione, ma solo a metà. Infatti venera solo Dio padre e non venera Dio madre; conosce solo il cielo e non conosce la terra.”
Questa pregnante affermazione di un vecchio orologiaio giapponese è una delle tante che dischiudono a padre Marco una nuova prospettiva di fede e di ricerca personale. Padre Marco è il protagonista del libro di padre Luciano Mazzocchi “Delle onde e del mare”, che si profila come l’intenso itinerario autobiografico di un missionario cristiano in Giappone. Durante la sua permanenza ventennale in terra d’Oriente il nostro sacerdote riscopre una nuova freschezza e un modo più generoso e maturo di vivere la propria spiritualità, lasciandosi pian piano compenetrare e trasformare dalla sobrietà dell’approccio buddhista e riscoprendo in tal modo il messaggio più autentico e profondo della sua stessa matrice religiosa, il cristianesimo. Questo processo di rigenerazione non è punto indolore e – soprattutto all’inizio – padre Marco si sente un po’ perduto e vacillante rispetto alle certezze della sua stessa vocazione. L’occasione che metterà in moto il profondo cambiamento di padre Marco sarà lo scambio epistolare con un monaco buddhista incontrato casualmente durante un prolungato scalo aereo. Le dure critiche al cristianesimo che il monaco rivolge al nostro missionario innescheranno una tormentata quanto proficua rivoluzione che sfocerà in una feconda verifica interna.
E’ interessante quanto il fermento e il dubbio dell’autentica ricerca interiore riesca a coinvolgere tutti noi molto da vicino e non riguardi soltanto quindi le ambasce di un missionario di professione. Anche noi partecipando ai tormenti di padre Marco, a poco a poco assaporiamo un nuovo approccio nei confronti della spiritualità.
Ecco, per cominciare, un aspetto importante: quanto la natura tutta, la madre terra e tutto ciò che vive, sia colma della presenza di Dio quanto lo spirito o la nostra coscienza. Quando Gesù disse “Questo è il mio corpo” il pane era già di fatto il suo corpo, senza dover invocare un miracolo dall’esterno, in quanto già santo di per sé, assieme a tutto ciò che costituisce il nostro mondo. Tutto ci nutre, tutto è santo. E in questa prospettiva di spiritualità allargata, abbondante, il seno di una madre che allatta il suo bambino è a tutti gli effetti mensa eucaristica. Padre Mazzocchi ci prospetta nel suo libro una spiritualità ‘che ci nutre’ e ‘che va nutrita’, in cui il nutrimento diviene simbolicamente e materialmente ciò che permette alla vita stessa di perpetuarsi. Tutta la vita è divina e attraverso il nutrimento – spirituale e materiale insieme – le rendiamo omaggio e ci facciamo partecipi della sua sacralità.
Scoprire la sacralità di un maestoso tronco d’albero, di una roccia, del mare, di un essere umano, ci fa sentire più vivi e in relazione con la vita nella sua totalità, più rispettosi e degni di rispetto, più capaci di resistere e attraversare le avversità dell’esistenza, non con spirito di rassegnazione, ma fiduciosi di essere cullati tra le braccia di un’armonia misteriosa, lo “sfondo dell’essere”, che pur invisibilmente ci sostiene.
E’ educazione a sentire che tutto ciò che esiste non è autosufficiente – anzi di per sé è vuoto di esistenza – ma in costante relazione, dialogo, scambio e trasformazione con ogni altra cosa. E’ dare importanza e dignità a ciò che è piccolo, ordinario, materiale: “Non si può separare la natura da Dio, perché l’invisibile non ha altro luogo in cui dimorare che il visibile” e la vita “è proprio questa reciproca fecondazione del visibile e dell’invisibile, del cielo e della terra.”
Apprezzo particolarmente il ruolo che padre Mazzocchi attribuisce a ciò che è invisibile. Invisibile è il silenzio a cui ci abbandoniamo durante la pratica di zazen, è la falda acquifera che giace sotto ogni strato visibile, è acqua di fonte, non incanalata da alcun sistema.
Viene citata l’espressione giapponese miekakure, che significa mostrarsi nascondendosi o nascondersi mostrandosi.
Il giusto atteggiamento nella ricerca interiore dovrebbe essere quello di una madre che guarda con sollecitudine, senza essere vista, il suo bambino che gioca liberamente. La sua partecipazione è miekakure – diremmo col buddhismo zen – calda, affettuosa, ma non interferente, non visibile. Spesso è proprio ciò che rimane sullo sfondo, ciò che è invisibile, a cambiare realmente le cose.
In questo viaggio verso la riscoperta di una religiosità più integrale “Dio è puro spirito, ma contemporaneamente Dio è rehamim, è viscere..” Padre Mazzocchi spiega che l’antico termine ebraico per indicare la relazione affettiva che scatta tra due esseri viventi comincia appunto da rehamim, dalle viscere, che al singolare significa seno materno. La conoscenza, la spiritualità inizia da questo contatto viscerale, fisico, pre-razionale, pre-ordinato.
Se sapremo partire da questo grembo dell’esistenza, sarà più facile contattare quel silenzio che non ha un nome, quel silenzio che è prima della divisione della realtà in buona o cattiva, quel sostrato invisibile che impregna di sé l’autentica esperienza religiosa.
Tra le tante perle di riflessione e pratica che questo libro ci regala, vorrei concludere con una verità cui giunge il protagonista di questo viaggio interiore: la realtà non è piatta, ma “è abitata intrinsecamente da un comparativo di maggioranza, ossia da un oltre che tuttavia le è inalienabile e intimo, più intimo che non il proprio nome.”
E, potremmo dire, sentirsi intimi e solidali con la radice dell’esistenza, con tutto ciò che viene, così come viene, è la meta di ogni ricerca, a prescindere dalle diverse matrici religiose.
Gioia Lussana
Ho letto “delle onde e del mare” e anche riletto più volte alcuni passaggi. Mi è piaciuto moltissimo e ritengo che la scelta di fondere narrazione, riflessioni, filosofia e religione rappresentino la volontà di una “grande anima” di condividere fraternamente ed in umiltà ma con tutte le proprie forze, le proprie conquiste umane e spirituali.
Ancora una volta le comunico tutta la mia riconoscenza per questa sua capacità di condividere e trasmettere vive emozioni e profonde intuizioni.
Credo che la pubblicazione di un libro così importante e fuori dal coro, sotto un editore così istituzionale sia da ritenersi un piccolo miracolo.
Antonio Licciulli
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