Il segno del fico
In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà e la luna non darà più il suo splendore e gli astri si metteranno a cadere dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Ed egli manderà gli angeli e riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.
Dal fico imparate questa parabola: quando già il suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che l’estate è vicina; così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, alle porte. In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto poi a quel giorno o a quell’ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre.
* La foglia tenue manifesta il vigore della radice
Al termine dell’anno liturgico, che coincide con la fine del mese di novembre, i messaggi del Vangelo si concentrano sul significato ultimo della realtà. Il Vangelo invita a osservare la vita e la storia dal senso più profondo del loro essere, dallo stadio ultimo del loro divenire. Il divenire è l’essere in quanto si manifesta come qualcosa che esiste dal nulla e che fa continuamente ritorno al nulla, obbedendo a un senso che è prima e dopo il divenire, che motiva il divenire e lo anima. Così ciò che esiste assume una forma e poi l’annulla, assumendo una nuova forma che risuscita dal perpetuo morire di tutto ciò che esite. Nel Nuovo Testamento l’aspetto ultimo della vita e della storia è chiamato comunemente con il termine greco eskaton.
Le immagini con cui Gesù ci prospetta l’aspetto ultimo della realtà sono la caduta dell’ordine cosmico, l’apparizione del Figlio dell’uomo sulle nubi del cielo, la riunione finale degli eletti. Il discorso escatologico di Gesù ha dato adito a interpretazioni erronee, per esempio alla paura per l’imminenza della fine del mondo e il conseguente panico che caratterizza la predicazione dei Testimoni di Geova. Gesù, come prevedesse tale errore, si preoccupa di riportare l’attenzione del discepolo dalla catastrofe del cielo all’esperienza familiare dell’uomo: «Dal fico imparate questa parabola: quando già il suo ramo si fa tenero…, voi sapete che l’estate è vicina». Il discorso di Gesù – ce lo dice lui stesso – è una parabola. È la parabola di sempre, la parabola della vita. Il fico, risvegliato dal letargo invernale dai primi calori della primavera, intenerisce i suoi rami e gonfia i suoi germogli. L’albero che sembrava morto, rivive. I germogli diventeranno foglie, fiori e frutti. Al sopraggiungere dei primi freddi autunnali il fico ingiallirà le foglie e rientrerà nel letargo. Quando quell’albero avrà esaurito le sue energie, entrerà nel letargo completo e diventerà legna, poi cenere, poi concime. Ma il ciclo della vita continuerà in altri alberi, nati dal seme e nutriti dal concime dell’albero che si è spento.
Tutto sembra ripetitivo nella vita e nella storia; così dichiara anche Qoèlet: «Ciò che è stato sarà e ciò che si è fatto si rifarà; non c’èniente di nuovo sotto il sole» (Qo 1,9). Nel buddismo è costantemente ribadita l’impermanenza della realtà, al punto che qualcuno potrebbe dedurre che non c’è alcun filo conduttore, ma tutto è a caso e senza un senso. La storia che stiamo vivendo in questo tempo di decadenza dei valori e di sfiducia nei sistemi, nei partiti, nelle religioni costituisce un clima favorevole alla cultura dell’insignificanza della storia. Il Vangelo, proprio partendo dall’esperienza del mutamento perpetuo di tutte le cose simboleggiate nel fico che mette le foglie, annuncia che ogni cosa, ogni fenomeno è carico di qualcosa di ultimo che ha valore eterno. Si potrebbe dire che l’impermanenza e la caducità sono il manto dell’eterno, come le foglie che si rinnovano sono il manto della natura immutabile.
Il buddismo, affermano molti, che proclama l’impermanenza di tutte le cose è in disaccordo con il cristianesimo che afferma l’escaton delle cose, ossia il loro punto d’arrivo. Il buddismo percepisce le cose come eternamente passeggere, senza una conclusione; il cristianesimo invece annuncia che sta venendo il regno di Dio e che tutto evolve verso la sua pienezza. Il buddismo non conosce alcun giudizio finale, il cristianesimo insegna che alla fine dei tempi tutti risorgeranno per ricevere la retribuzione meritata. Il disaccordo delle due sensibilità è prezioso, affinché nessuno ristagni in una posizione, ma comprenda la sua credenza in modo più profondo e ampio. Infatti la comprensione dell’escaton con cuore chiuso e superficiale ha condotto molti a esasperare la paura della fine del mondo e ha fatto del regno di Dio che viene un messaggio di terrore e di discriminazione. Ugualmente la non familiarità con l’escaton propria del buddismo ha favorito nel mondo buddista una certa rassegnazione passiva davanti all’inesorabilità delle cose che capitano.
Come dice Gesù, dobbiamo riportare l’attenzione alle cose semplici che ci circondano, come all’albero che in primavera mette le foglie. Ogni cosa che capita, che ci capita, va compresa senz’altro in relazione con tutte le cose: quindi dobbiamo percepire il fenomeno del fico che mette le foglioline in relazione anche con lo scoppio di una supernova in una galassia lontana miliardi di anni luce da noi. Ogni fenomeno, piccolo o grande, ha una dimensione cosmica e universale. Quando proféssiamo di credere in Dio Padre e Creatore affermiamo che sentiamo tutto e tutti nel legame della fraternità universale. Nello stesso tempo dobbiamo cogliere che ogni avvenimento èunico e in se stesso esprime il suo significato ultimo, il suo escaton: praticamente ogni passo della vita comprende già il paradiso eterno, di cui è manifestazione. Ogni cosa ha la vocazione di comunicare con il tutto in una relazione senza fine; tuttavia ogni cosa ha la vocazione di compiere in se stessa l’intero iter di tutto il suo cammino; ha la vocazione di esaurire se stessa, di morire, di offrirsi completamente. Quindi ogni cosa ha un valore eterno. Nella fede cristiana si dice in modo molto appropriato: è volontà eterna di Dio: «Non cade foglia che Dio non voglia».
Proprio perché tutto passa: passano le stagioni, gli incontri con le persone, i dolori e le gioie, i giorni e gli anni…, proprio per questo dobbiamo amare ogni cosa accogliendola con cuore riconoscente nel momento in cui quella cosa ci è data. Poi dobbiamo offrirla, staccarci da essa, lasciarla morire appena Dio ce la toglie e aprirci alla nuova cosa che Dio ci dona. La realtà è come un fiume: le cose sono la corrente che sempre scorre, l’alveo che tutto raccoglie e fa scorrere è la volontà divina. La corrente è sempre la stessa, ma l’acqua che passa è sempre nuova. L’impermanenza delle cose è il manto variopinto della danza eterna di Dio. Nella fede cogliamo il legame profondo tra ciò che scorre e cambia e ciò. che è eterno e immutabile. L’escaton, l’aspetto ultimo delle cose, è il bacio tra l’aspetto impermanente e l’aspetto permanente della vita: attraverso l’impermanenza si giunge a intravedere l’eternità e intravedendo l’eternità ci si affeziona all’impermanenza che la porta nel suo seno. La festa piùgrande è la Pasqua: il passaggio vita-morte/morte-vita. Così dall’imminente prima domenica di Avvento, in genere la prima di dicembre, riparte il cammino che oggi terminiamo. In tutto c’è la fine, perché c’è l’inizio; c’è l’inizio, perché c’è la fine. Perché l’inizio e la fine manifestano che nulla esiste staticamente per se stesso, ma tutto è amore!
p.Luciano
* Il ciclo e l’eskaton
Il cerchio si chiude: la lettura e l’ascolto del Vangelo vanno a saldarsi là dove sono iniziati. Con questo semplicissimo, direi o~vio, sistema, si compie un’operazione straordinaria: si fondono insieme una visione ciclica della vita con la visione escatologica. È una di quelle cose che la realtà fa senza alcuno sforzo, perché è una sua proprietà intrinseca, ma che non trovano una spiegazione logica, che sfuggono alla descrizione. Non riusciamo a comprendere che la realtà sia ciclica ed escatologica (diretta a un fine) a un tempo, eppure è così. Del resto non si riesce a spiegare come la luce possa avere natura di onda e di corpuscolo allo stesso tempo, eppure ciò non impedisce che sia così. Questa intuizione che fonde la visione ciclica a quella escatologica è una straordinaria intuizione del pensiero occidentale, che ha nel cristianesimo la sua formulazione religiosa. Noi ritroviamo la verità di questa visione a ogni livello della vita. Prima di tutto, all’interno della nostra esistenza. Essa è fatta di cicli che si risolvono in un cammino complessivo che va verso il suo compimento, verso la morte. I cicli dei giorni, dei mesi lunari, delle stagioni, segnano il tempo che, nel suo complesso, viaggia lineare dalla mia nascita alla mia morte. All’interno di questo sono infante, bambino, giovane, adulto, vecchio, sano, malato, felice, triste… Ogni ciclo sperimento la morte di quel pezzo di vita: quando guardo un neonato, dov’è finito, mi chiedo, il neonato che ero? lo, che sono quello che ora sono, sono davvero mai stato un neonato? E, poi, chi non ha sperimentato, nella sua vita, momenti in cui il sole si è oscurato, e la luna non dà più il suo splendore, e cadono gli astri dal cielo? Da quelle ceneri, poi, qualche cosa è rinato: è iniziato un nuovo ciclo, che corre verso una nuova fine. Questa spirale di cicli, tutta insieme, viaggia verso il suo punto finale.
Di questa visione, però, l’occidente ha privilegiato l’aspetto escatologico. Gli ha dato una dignità religiosa che non ha dato con altrettanta chiarezza all’aspetto ciclico, confinato alla realtà naturale. La realtà vera è allora soprannaturale, e di là da venire. La gloria sta nella fine.
L’oriente invece ha fatto l’opposto: ha dato dignità religiosa alla visione ciclica, relegando nel mito la visione escatologica, o ignorandola addirittura. Per questo il buddismo, religione dell’oriente, non sente alcuna necessità di parlare della fine della storia. Sotto questo profilo le differnze sono globali, e non si possono assolutamente tacere o sminuire. È la visione d’insieme che è differente.
Ciò detto, c’è un altro punto che non bisogna ignorare: cristianesimo e buddismo, nell’accezione in cui ne stiamo parlando, cioè in quanto religioni, non sono né l’uno né l’altro la verità. Sono descrizioni della verità, e come ogni descrizione presuppongono un punto di vista. Non si può descrivere un panorama se non si ha un punto di vista. Ma se si descrive una montagna vista dal lato occidentale e vista dal lato orientale, le due descrizioni saranno del tutto differenti. Non dobbiamo però scordare che per differenti che siano le descrizioni, la montagna è pur sempre la stessa: ed essendo la montagna la nostra stessa vita, c’è un momento in cui si abbandonano le descrizioni e le mappe e si guarda la montagna dal di dentro della montagna stessa, si osserva la vita dall’interno della propria vita. Se allora leggiamo il Vangelo di oggi con questa chiave di lettura, a me sembra di poter dire che siamo sempre alla fine dei tempi.
Ecco allora l’invito a essere pronti, al risveglio: qui le differenze si acquietano, e il medesimo invito risuona identico in entrambi i contesti religiosi. Doghen continuamente ammonisce i suoi discepoli: la vita umana è breve come una scintilla nel buio, come il tragitto di una freccia scoccata, come una goccia di rugiada al sole, ed èpreziosamente irripetibile: non vive tela invano, non sprecate il vostro tempo, che è la trama stessa della vostra vita. Il giorno e l’ora nessuno li conosce: se viviamo il presente come l’attimo di tempo in cui il tempo comincia e finisce, stiamo andando nella direzione verso cui vanno i cieli e le terre: quella direzione è la Parola che non passa, alla quale affidiamo noi stessi e la nostra ignoranza, che ci affratella agli angeli e al Figlio, lasciando fare al Padre.
jiso
Nessun tag per questo post.