Sab 16 Dic 2006 Scritto da Pierinux AGGIUNGI COMMENTO

La via più seria è quella possibile

Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva: «Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto». Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare, e gli chiesero: «Maestro, che dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Lo interrogavano an­che alcuni soldati: «E noi che dobbiamo fare?». Rispose: «Non mal­trattate e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre pa­ghe». Poiché il popolo era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro, riguardo a Giovanni, sé non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo:«lo vi battezzo con acqua; ma viene uno che è più forte di me, al quale io non son degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali: costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Egli ha in mano il ventilabro per ripulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio; ma la pula, la brucerà con fuoco inestinguibile». Con molte altre esortazioni annunziava al popolo la buona novella.

* Il ventilabro, il grano e la pula

Le persone attempate ricordano senz’altro come una volta il fru­mento veniva trebbiato sull’aia della propria casa. Le spighe veni­vano battute e sgranate; poi il tutto veniva buttato in alto al soffio del vento, in modo che il grano, più pesante, cadesse sull’aia e la pula, più leggera, fosSe dispersa lontano. Se il vento non soffiava na­turalmente, lo si produceva in modo artificiale con un ventilabro. Il Vangelo è, per ogni uomo, come il ventilabro che verifica ciò che è grano e ciò che è pula. Che cos’è grano e che cos’è pula? Verrebbe da rispondere: il grano è pesante e la pula leggera, quindi le cose grandi e speciali che tutti ammirano sono il grano, mentre quelle pic­cole e ordinarie sono la pula che il vento spazza via. «Egli ha in mano il ventilabro per ripulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio; ma la pula, la brucerà con fuoco inestinguibile».

Il senso del Vangelo è immediato; se si vuole, è fin troppo chiaro, quasi deludente, dato che a noi piace pensare che gli insegnamenti di valore, per forza, siano complessi e difficili. Eppure che cosa c’è di più difficile delle cose facili? Sì, perché davanti alle cose difficili, lo sappiamo, possiamo scusarci dicendo che sono impossibiii a persone modeste come noi. Invece davanti alle cose facili non c’è via di scampo. Sono appunto le cose facili che mettono alla prova se vera­mente vogliamo o se semplicemente fingiamo di volere; se teniamo fra le mani frumento o pula. Giovanni il Battista, a chi aveva due tu­n~che o aveva abbondanza di cibo predicava di far parte delle sue cose a chi ne era privo; a chi svolgeva un ufficio pubblico predicava di non approfittarne per un vantaggio privato; ai soldati predicava di non abusare della forza. A ogni persona, per iniziare un vero cam­mino, indicava di compiere quella cosa che è maggiormente alla sua portata; in altre parole il suo dovere ordinario.

Applichiamo le raccomandazioni di Giovanni al nostro tempo. «Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha». Quante cose noi possediamo in quantità doppia: due case, una in città e una in cam­pagna, due televisioni, due automobili, due, tre, quattro paia di scarpe o abiti, e così via. C’è anche chi nel cuore ha anche due amori, forse due facce, forse due filosofie, forse anche due religioni a se­conda della convenienza. Viviamo nell’epoca del superfluo e forse ci fa vergogna avere soltanto una cosa. Ma gli uccelli non hanno un al­tro paio di ali, gli alberi non hanno un altro fusto e le erbe non hanno un altro stelo: in natura nulla possiede una seconda cosa.

Più delle cose semplici a noi piacciono gli olocausti e i sacrifici, comunque cOse grandi e non alla nostra portata. Vorremmo la puri­ficazione del mondo intero da tutto il male, il miglioramento della condizione sociale per tutti i poveri, l’integrità morale da parte di tutte le persone con cui trattiamo. Pei noi stessi vorremmo raggiun­gere la vetta della santità attraverso un ritiro o una preghiera; da­vanti alle difficoltà vorremmo poter compiere miracoli. Invece l’of­ferta più gradita è quella cosa, forse piccola e segreta, a cui siamo piùattaccati e che, secondo noi, abbiamo tutte le scuse per tenercela. D~ciamo a noi stessi che quella è una cosa piccola; e così ci dispen­siamo dal considerarla come pista di conversione. Forse è il saluto a una data persona, forse è chiedere perdono a ‘qualcuno, forse è dire la verità in un certo frangente, forse è la prudenza di evitare un’occa­sione, forse è ritagliare un po’ di tempo dalle faccende quotidiane e dalla televisione per garantire al nostro spirito un momento di puri­ficazione, forse è pagare le tasse senza imbroglio, forse è non correre così all’impazzata con la moto o l’auto. Piccole cose; ma concrete, che ci toccano sul serio. Con una montagna di pane immaginario non si può celebrare l’eucaristia; con una briciola di pane reale: sì. Quando si trebbia il grano, il vento alza in alto la pula come una nu­vola, mentre i chicchi di frumento cadono giù sull’aia. Stare lì in za­zen e lasciare che il polverone della pula si dilegui! Poi prendere fra le mani quel chicco di frumento che è la propria esistenza e fame una briciola di pane. È il corpo di Cristo che nutre l’universo. «Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice: “Tu non hai voluto né sacri­ficio né offerta, un corpo invece mi hai preparato… Allora ho detto: Ecco, io vengo… per fare, o Dio, la tua volontà”» (Eb 10,5-7).

p.Luciano

* I due battesimi di un’unica vita

Abbiamo udito l’esortazione di Giovanni a preparare il terreno perché possa ricevere il seme, perché l’uomo sia degno di Conver­sione. Le persone accorse per ricevere il battesimo chiedono cosa devono fare: la risposta di Giovanni è di una semplicità disarmante. Dividi con chi non ha, non pretendere più di ciò che ti è dato, sii con­tento di ciò che hai. Eccola, la norma elementare per preparare il terreno all’annuncio del Vangelo. Norma semplice ed elementare, ma davvero difficile da mettere in pratica. Giovanni non propone esempi di abnegazione eroici: propone uno standard di vita quasi ov­vio, nella sua semplicità, a cui lui per primo si attiene. Ovvio perché là dove si riconosce il valore illusorio e inconsistente dei beni mate­riali, di tutti i beni materiali, che senso ha occupare tempo ed ener­gie per procurarsi il superfluo, invece di accontentarsi di ciò che ba­sta e di dividere tutto ciò che sopravanza? Eppure anche 1’0vviQ sembra fuori portata. Non è certo contro il principio di accumula­zione del superlfuo che tuonano gli anatemi delle chiese, se non in sporadici e velleitari proclami: e questo perché le chiese per prime, di qualunque religione siano, non sono indenni dall’idolatria al prin­cipio di accumulazione: accumulazione di beni materiali, di proseliti, di ridondanza dottrinale, di sentenziosità su tutto. I prìncipi delle chiese sono ormai prìncipi del mondo, sono potenti del mondo: come potrebbero essere credibili, richiamando alla sobrietà che viene dalla rinuncia all’esercizio del potere, che non rappresenta al­tro che la preparazione del terreno, che non è niente più che il requi­sito necessario perché si possa ricevere il seme del Vangelo?

Giovanni il Battista, infatti, è l’uomo che rinuncia al potere. Il suo atteggiamento è esemplare e di grande aiuto per comprendere qual è la parte dello sforzo umano nella vicenda religiosa. Giovanni è l’asceta e il battezzatore. È l’uomo che segue una via di rinuncia ra­dicale e severa, ed è un maestro e una guida per chi si accosta a lui bisognoso di indicazioni. È un uomo importante, punto di riferi­mento di intere folle: ma non si fa grande di questo, non usa il potere che gliene deriva. Anzi, svolgere il proprio ruolo gli dà la consapevo­lezza della propria umiltà. Usando un artificio descrittivo e sepa­rando in due parti qualcosa che in realtà separato non è, potremmo dire che Giovanni rappresenta il versante umano del cammino reli­gioso. Il versante umano è nulla senza l’altro versante, quello divino. Ma anche quello divino è nulla senza quello umano: l’uomo ha biso­gno di Dio come Dio ha bisogno dell’uomo. Questa reciprocità è il segno dell’unità. Solo in questo senso si può parlare di rapporto con Dio, là dove Tu è non-due con io. Per questo Giovanni il Battista, in un’altra parte del Vangelo dice: «Egli deve crescere e io invece dimi­nuire» (Gv 3,30). Se i vasi non fossero comunicanti, e quindi un unico vaso, alla diminuzione di uno non corrisponderebbe l’aumento dell’altro. Giovanni il Battista battezza con acqua, con il battesimo che è immersione: è l’inizio della conversione, il ri-orientamento della propria vita nel senso universale della vita. Il battesimo che Gio­vanni amministra è segno universale e unico, una volta per tutte, di riconoscimento del valore della vita: non aggiunge nulla al signifi­cato della vita, ma lo riconosce e lo precisa con il segno della adesione immergendosi liberamente nella corrente che da sempre scorre nell’unica direzione che tutto coinvolge. Questo battesimo iniziale annuncia. l’altro battesimo, quello dello Spirito Santo che anima la corrente della vita, battesimo di fuoco della vita vissuta mo­mento per momento, battesimo continuo che continuamente arde e si rigenera. Il battesimo dell’acqua, atto iniziale di immersione nella corrente della vita, atto di umana adesione, e il battesimo dello Spi­rito, purificazione continua al fuoco della vita, atto inestinguibile dell’energia divina: due battesimi per un’unica vita.
jiso

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