Ricomincia la via che è da sempre
Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo. venire su una nube con potenza e gloria grande. Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina». E disse loro una parabola: «Guardate il fico e tutte le piante; quando già germogliano, guardandoli capite da voi stessi che ormai l’estate è vicina. Così pure, quando voi vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino. In verità vi dico: non passerà questa generazione finché tutto ciò sia avvenuto. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso; come un laccio esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciQ che deve accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo.
* Sulla nuvola mutevole ecco la gloria eterna
È antica tradizione della Chiesa iniziare il nuovo anno liturgico leggendo la pagina del Vangelo che annuncia gli ultimi tempi e la venuta della realtà ultima (eschaton). Non sarebbe più adatto, nella prima domenica di un nuovo anno, fare lettura della pagina biblica sulla creazione del mondo o sulla nascita di Cristo, o comunque di una pagina che parli dell’inizio e non della fine? Come mai iniziare un cammino nuovo, partendo dal messaggio delle ultime cose? È una domanda lecita; anzi necessaria, per entrare nella comprensione del Vangelo…
Nel Vangelo di oggi inizio e fine si intrecciano e si rimandano l’un l’altro, come se iniziare significhi finire e finire significhi iniziare: «Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».
Si crea qualcosa di nuovo, quando si lascia finire qualcosa di vecchio. Si lascia finire qualcosa di vecchio, quando nel cuore si risveglia la speranza di qualcosa di nuovo. Anche la natura, in questo periodo di tardo autunno, si spoglia e finisce l’attività di un anno. Così si dispone al risveglio della primavera. Nulla si ripete uguale: nessuna foglia, nessun fiore, nessun frutto, nessun ramo nuovo sarà la copia dell’anno precedente. Così è delle cellule del nostro corpo, così è dei sentimenti del nostro cuore. Gesù predice che perfino gli elementi più stabili, come il cielo e la terra, passeranno. Tutto passa! La realtà è impermanente, è senza schema fisso. Ma così possiamo affçrmare proprio perché nella realtà c’è un aspetto eterno che, per contrasto, mette in evidenza l’aspetto mutevole. Questa è la fede, quella fede in cui il principio e la fine si fecondano l’un l’altro del vero senso di esistere.
L’uomo guarda il cielo e ha l’impressione che le stelle si muovano, mentre la terra da cui lui lo guarda, gli pare, sia ferma. Rigidamente sicure di quella impressione, generazioni e generazioni hanno concluso con certezza che la terra è al centro del cielo e il cielo è il contorno della terra. Tutto appariva così chiaro e preciso, finché qualcuno si accorse che anche la terra, da cui l’uomo guarda il cielo, si muove e si muove dentro il cielo che si muove. Crollarono le sicurezze e tutto sembrò sprofondare nel relativo: non esiste alcuna certezza perché non c’è alcun punto fisso da cui osservare! Ma finalmente l’uomo abbandonò anche la sua idea fissa che ci deve essere un punto fisso da cui osservare la realtà; allora cominciò a osservare le stelle sapendo che anche la terra gira con esse e, dall’interno del tutto relativo, scoprì l’armonia eterna. La fede è quello sguardo profondo sulla realtà che ne coglie l’aspetto eterno, proprio grazie al fatto che l’uomo abbandona l’illusione di guardare la realtà da un punto di vista fisso, di cui lui sarebbe il fortunato occupante. L’occhioche vede e la cosa veduta fluttuano nella mutevolezza con tutte le cose. La fede non copre di eterno ciò che è mutevole; ma legge nella stessa mute~olezza la legge della gloria eterna. Per questo siamo sempre all’inizio,. proprio mentre siamo sempre alla fine. Per questo Dio si fa uomo. L’occhio che non crede vede il volto dell’uomo e vi scorge solo la mutevolezza dell’uomo. L’occhio della fede, in quella mutevolezza, vede Dio che viene. L’occhio della fede è l’occhio limpido, non inquinato dagli attaccamenti. «State ben attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e quel giorno non vi piombi addosso… come un laccio».
Vivere attenti! Vigilare e vegliare! Se non viviamo con attenzione e nella consapevolezza, nella nostra vita nulla finisce e nulla incomincia, perché tutto è strascico e confusione. Oggi la grande cultura è quella del non avere attenzione e consapevolezza proprie, adagiandosi sulla moda, sul facile guadagno, caso mai sulla fortuna di vincere a un quiz televisivo, sull’apparenza esteriore, sui titoli, sulla laurea. Vigilare e vegliare sono percezione chiara e lungimirante di se stesso, del proprio spazio, della propria via. Vigilare e vegliare sono i verbi di chi illumina il proprio catmnino con la luce alimentata dall’olio della prQpria esperienza: «Va’, la tua fede ti ha salvato» (Me 10,52).
Ci sono tanti atteggiamenti religiosi che ubriacano. Il popolo eletto, ubriacato di Scritture e di esaltazione religiosa, non riconobbe Cristo. I due discepoli di Emmaus, delusi perché Gesù di Nazaret era stato crocifisso, abbandonarono tutto e fecero ritorno al loro paese natale. Lungo la strada della loro disfatta incontrarono Cristo e con Cristo conversarono su Cristo; ma non lo riconobbero. Alla fine, quando cessarono di disquisire, mentre egli spezzava il pane della cena, lo riconobbero. Così, alla fine ,della giornata, riciminciò tutto da capo: in gran fretta ripresero la strada per Gerusalemme, il luogo di tutti quegli avvenimenti. Alla fine del viaggio avevano capito perché stavano viaggiando. E subito ripresero a viaggiare. Quella fine fu ancora il principio. È l’Avvento!
p. Luciano
* Dalla fine l’inizio
Si sente comunemente dire che c’è un aspetto che differenzia in modo particolare la visione buddista da quella cristiana, ed è la concezione della fine, la visione escatologica. C’è del vero in questa osservazione, ed è logico che sia così. Nella visione cristiana la storia umana è la sede del Vangelo e la liberazione, la salvezza, non pUÒ che coincidere con il riscatto finale della storia nella sua interezza e di tutto il popolo di Dio nel suo complesso: una concezione escatologica universale è quindi assolutamente consequenziale e imprescindibile.
Nella visione buddista, invece, la sede della Via è il singolo individuo, la sua vicenda interiore nel rapporto con gli eventi esterni che fanno da scenario, per cui la liberazione e la salvezza sono prima di tutto un fatto individuale: in quest’ottica, una concezione escatologica universale appare sovrastrutturale ed estranea.
Questa distinzione è certo un po’ grossolana e non tiene conto né delle sfumature di ciascuna delle due visioni né delle grandi differenze che si ritrovano nell’ambito del buddismo e del cristianesimo: specialmente nel buddismo, dove, a seconda della tradizione cui si fa riferimento, ci sono notevoli discrepanze al riguardo. Ciò nonostante ritengo onestamente innegabile che la differenza di cui sopra esista e non sia né possibile né opportuno ignorarla.
Ciò premesso, è necessario anche dire che le differenze, anche quelle di tale portata, non devono scoraggiare chi sinceramente ripone la propria fiducia e speranza nell’incontro e nel dialogo. In religione il principio logico di non contraddizione non è un dogma, e la vita ci insegna che due enunciati antitetici possono essere entrambi veri. Sono proprio le differenze a rendere significativo il dialogo, che sarebbe altrimenti più simile a un monologo, a patto di non voler a tutti i costi redimere le questioni, stabilendo, per confronto o addiritura per pre-giudizio, quale verità è più veritiera.
Lasciamo quindi in sospeso, dopo averla rilevata, la questione della diversità delle concezioni riguardo alla fine, per venire a un aspetto che precede tale differenza e che invece unifica le due visioni religiose: il fatto cioè che la fine viene prima dell’inizio. O meglio, che il cammino religioso comincia dalla fine. Se il mondo non crolla, se non viene meno la visione convenzionale e consueta che siamo soliti applicare alla realtà, non si può dischiudere il mondo nuovo, la nuova visione che illumina la realtà di nuova luce. «Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».
La fine spaventa sempre, anche quando è la fine di una lunga schiavitù. La religione non propone valori antitetici a quelli cosiddetti mondani per gusto moralistico o mortificatorio, ma per il semplice fatto che i valori mondani non danno garanzia di verità. Nel buddismo è insegnamento fondamentale il fatto che tutto ciò che vediamo, sentiamo, ideiamo, concepiamo, è transitorio, perituro e dunque intrinsecamente inaffidabile, se per fede intendiamo basarsi su ciò che non viene meno. Per questo se non muore quell’io che basa le sue valutazioni sulla realtà come appare, quell’io che si erge a metro di valutazione perché si considera imperituro e immutabile, non può aver inizio il percorso della Via. La morte dell’io illusorio, la morte delle illusioni riguardo all’io è, nel buddismo, la fine del mondo che conosciamo e l’inizio del mondo come è, in eterno. Senza quella fine non c’è inizio. Non altro dicono le parole di Gesù: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno». Nulla sembra solido e duraturo come il cielo e la terra: eppure, proprio l’ammonimento che anche cielo e terra sono passeggeri fa da preambolo al Vangelo. Passeggeri, e quindi non adatti come sede della fede che riposa sull’eternità. Mentre le parole che annunciano il regno di Dio, portate ovunque dal vento, hanno la consistenza dell’eternità stessa. Da questo ribaltamento, da questo crollo del mondo consueto, prende spunto la visione religiosa che riscatta e libera.
Che la fine sia il preambolo dell’inizio non deve indtlrci a un’idolatria della fine o a una visione millenaristica. La fine, individuale o collettiva, della storia come dell’io, è sempre un passaggio di dolore e nel dolore. Non si deve prendere a ctlor leggero. Ma è, comunque, l’unico passaggio, la condizione necessaria: il richiamo all’attenzione e al risveglio posto all’inizio del Vangelo è richiamo a non lasciare che la fine avvenga invano, ma che sia la porta, il tuffo nel vuoto che segna l’inizio del mondo che è oltre la fine.
jiso
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