Allora cominciò a dire: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi». Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose: «Di certo voi mi citerete il proverbio: Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui, nella tua patria!». Poi aggiunse: «Nessun profeta è bene accetto in patria. Vi dico anche: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova in Sarepta di Sidone. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato se non Naaman, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio.
Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò.
* Guastare la festa
Questo Vangelo ci sorprende non poco: come mai gli abitanti di Nazaret, i suoi compaesani, i suoi amici d’infanzia, i clienti della sua bottega di falegname, i suoi parenti di sangue, comunque coloro che lo conoscevano più da vicino, all’inizio lo ascoltarono «meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca», e subito dopo «furono pieni di sdegno», al punto di tentare di ucciderIo? Ma a sorpresa si aggiunge sorpresa: infatti a suscitare quella reazione violenta fu lo stesso Gesù, il quale, come noi diremmo, guastò l’allegria di tutta Nazaret in festa per il ritorno del suo insigne cittadino Gesù.
Ci meravigliamo perché noi, quando ci accorgiamo di essere ammirati, facciamo di tutto per coltivare tale ammirazione, forse anche fingendoci umili con parole come queste: tanta stima non me la merito! Ma mentre diciamo così colle labbra, sentiamo una grande soddisfazione nel cuore. Gesù invece guastò la festa, citando gli episodi della Bibbia che dimostrano come un profeta nella sua patria non è ben accetto. Se è accolto, lo è come compaesano che dà lustro al paese, ma non come profeta della verità. Proprio come noi accettiamo ed esaltiamo i politici, quelli ovviamente che fanno i nostri interessi!
«Nessun profeta è bene accetto in patria». ci ricordiamo di altre parole di Gesù riportate nello stesso Vangelo secondo Luca: «Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti» (Le 6,26). Nella cultura in cui il consenso popolare è ambìto da tutti, politici, insegnanti, attori, e non meno uomini di Chiesa, le parole di Gesù sono una spina nel fianco. Naturalmente i politici motivano la ricerca della popolarità in nome della stabilità sociale, gli insegnanti in nome dell’efficacia educativa, gli uomini di Chiesa in nome della pace religiosa. Anche i genitori spesso si comportano verso i loro figli come ricercatori di popolarità. I figli intuiscono e abilmente ne approfittano.
Gesù guastò la festa. Anche Shakyamuni lasciò la famiglia e il castello principesco. Anche Francesco d’Assisi, il santo della tenerezza, contrastò le intenzioni del padre e lasciò la casa nudo di tutto. Perché? Gli affetti che nascono dalla relazione di sangue o di paese, che per loro natura sono buoni e santi, diventano molto restii agli appelli del Vangelo qualora li usiamo come paravento di tranquillità. La prima reazione che all’annuncio del Vangelo scatta nell’uomo attaccato ai suoi affetti è quella di addomesticare il Vangelo stesso, rabbonirlo e così incasellarlo nelle proprie abitudini, tradizioni, relazioni, interessi. Non poche volte questo avviene.
Anche l’affetto verso la propria cultura, compresa la cultura più fine e nobile, può imprigionare il Vangelo addomesticandolo secondo le proprie misure e riducendolo a dire impunemente solo ciò che la nostra cultura dice. Si usano le parole più belle del Vangelo per coprire le proprie chiusure. Così i colonizzatori possono chiamare civilizzazione le loro invasioni nei paesi poveri e indifesi; così i capitalisti possono chiamare libertà la concorrenza economica più sfrenata; così gli oppressori possono chiamare sistema di pace le dittature; così i missionari possono chiamare evangelizzazione il loro proselitismo. Tutti abbiamo la nostra patria di interessi a cui il Vangelo non deve né può nuocere. Allora si incensa il Vangelo con parole lusinghiere per metterlo da parte. Nella cultura dell’occidente, dove la parola è sovrana, si riversa una caterva di parole sul Vangelo: lo si analizza, lo si spiega, si pubblicano libri e libri su quelle poche e sobrie pagine sacre. Così il Vangelo è soffocato.
L’ostacolo più subdolo che impedisce all’uomo il vero incontro con il Vangelo non è dovuto tanto all’attaccamento verso le cose cattive; ma piuttosto è costituito dagli affetti verso le cose buone, di cui uno non vuole privarsi. Gesù guastò la festa che il suo paese aveva inaugurato così solennemente al suo ritorno. La rovinò così drasticamente che gli ebrei, i suoi connazionali, tuttora non l’hanno ripresa. Quante altre feste da guastare, finché non sia inaugurata quella vera! Gesù e i bambini affamati aspettano.
p.Luciano
* Udire, intendere
Il Vangelo odierno comincia là dove era finito quello di domenica scorsa. Si lega a esso tramite il versetto cerniera che fa parte di entrambi i brani «Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi». Se il Vangelo di domenica scorsa trattava del dire e dell’udire l’enunciazione della verità, quello di oggi tratta dell’intendere. E mentre finora tutto sembrava chiaro, convincente e consolante, ecco che ora le acque cominciano ad agitarsi. «Nel pieno della luce, ecco l’oscurità».[1] Nel quadro idilliaco in cui Gesù parla e tutti gli rendono testimonianza e si meravigliano per la sua sapienza (di lui, noto fino a quel momento solo per essere il figlio di Giuseppe) si produce improvvisamente uno strappo. È uno strappo intenzionale, che Gesù provoca. Tutti erano in un quieto atteggiamento di lode, nessuno pensava a fare il contraddittorio a Gesù. La verità è stata detta e udita: tutti erano soddisfatti così, consci di aver riconosciuto un parlare ispirato e convinti che tanto bastasse. Ci pensa Gesù a scuotere quelle coscienze addormentate, andandole a provocare proprio nel momento dell’appagamento: hanno sì udito, ma non hanno inteso. Improvvisamente l’atmosfera cambia: messi in discussione personalmente, privati delle loro sazie certezze, gli astanti si ribellano. In un attimo si passa dalla lode e dal rendere testimonianza a un tentativo di linciaggio. Il repentino totale mutamento esprime a meraviglia cosa è successo: Gesù ha tolto ogni appiglio e ciò che prima era miele è divenuto amaro: «in bocca lo sentii dolce come il miele, ma come l’ebbi inghiottito ne sentii nelle viscere tutta l’amarezza» (Ap 10,10). La verità toglie i veli e le finzioni, lascia nudi, e questo può essere molto sgradevole. La verità siamo anche disposti ad ascoltarla da uno sconosciuto, ma quando ce la dice uno di casa, uno che ci conosce bene e che conosce la nostra inclinazione a velare e a fingere, allora non la vogliamo più sentire. Capita spesso in una famiglia: la verità su un nostro difetto detta da una moglie o da un marito è più difficile da accettare che se detta da un amico esterno alla casa.
I due esempi che Gesù cita sono lampanti: chi appartiene al popolo dei fedeli di Dio si aspetta da Dio un riconoscimento di precedenza, si aspetta che nel momento del bisogno Dio soccorra gli appartenenti al suo popolo: e invece il segno si posa, in entrambi i casi, su di un estraneo, su un infedele. La verità non fa preferenze.
Queste parole di Gesù le sento molto adatte a me, occidentale buddista. «Nessun profeta è gradito in patria» mi fa interrogare se non sono andato a cercare altrove (rispetto alle indicazioni della religiosità della mia cultura occidentale) solo perché la profezia nostranami era sgradita, suonava sgradevole alle mie orecchie: e allora sono andato a cercare là dove mi pare che il messaggio mi assomigli. di più. Sono convinto di dovermi interrogare con sincerità su questo punto. La verità non è tale perché ci assomiglia o perché suona bene alle nostre orecchie: bisogna saperla riconoscere quale che sia la forma in cui si esprime e quale che sia la nostra sensibilità nell’accoglierla. La verità che non sia anche sgradevole è sospetta. Infatti per accedere alla verità bisogna sempre far tacere se stessi; il che comporta un sacrificio che non è mai gradevole. Chi afferma di non fare nessuna fatica a rinunciare, per amore della verità, alla sua idea di verità, o mente o non sa cosa sta facendo.
C’è ancora un aspetto che i due esempi della vedova e del lebbroso ci invitano a considerare. Gli esempi ci dicono chiaro che non bisogna mai attendersi nulla dalla semplice appartenenza religiosa: lo Spirito opera liberamente, non è ingabbiato da nessuno steccato. Cosi scende su di una vedova che non se lo aspettava, e non su quelle che forse credevano di aver diritto di priorità in quanto parte del popolo di Dio; scende su di un lebbroso straniero, e non sui tanti lebbrosi del popolo eletto. Questo ci ricorda il rapporto fra la nostra azione e il frutto di essa: non capita forse di pensare che, siccome opero per il bene, seguo con zelo un cammino religioso, rinuncio a tante cose per amore della verità, allora io merito un premio? Non penso, a volte, di aver diritto all’illuminazione o al paradiso in virtù del mio impegno nella pratica, del mio comportamento nella vita, o addirittura, di averne più diritto di altri, meno zelanti, meno devoti? Grande è la tentazione di stabilire meccanismi di causa ed effetto, di modellare la verità sulla misura delle nostre aspettative e di lasciare che si insinui il pensiero che ci meritiamo il premio in virtù delle opere, che sono faticose sia spiritualmente che materialmente. Gesù oggi ci ricorda una verità universale: il cammino religioso, con la sua pratica e le sue opere, è premio a se stesso, per questo più intenso è, più premiati siamo. Per il resto, chi è testimone della verità si rallegra di essa, ovunque e comunque si manifesti, senza accampare diritti né pretese.
jiso
[1] Sekito KISEN, Sandokai [Cantico della profonda unione]
Nessun tag per questo post.