Diceva anche ai discepoli: «C’era un uomo ricco che aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore. L’amministratore disse tra sé: Che farò ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno. So io che cosa fare perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua. Chiamò uno per uno i debitori del padrone e disse al primo: Tu quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento barili d’olio. Gli disse: Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta. Poi disse a un altro: Tu quanto devi? Rispose: Cento misure di grano. Gli disse: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta. Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Ebbene, io vi dico: Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne. Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto. Se dunque non siete stati fedeli nella disonesta ricchezza, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire a Dio e a mammona».
* La cura fedele della disonesta ricchezza
Dopo il Vangelo delle parabole della misericordia ascoltato domenica scorsa, eccoci oggi ad ascoltare il Vangelo della severità nella parabola del fattore astuto. Il testo evangelico scorre con molta naturalezza dall’annuncio della misericordia illimitata del Padre a quello della severità del Padrone. Chi cammina nella verità scopre nella sua vita che la misericordia è sempre collegata con la severità e la severità con la misericordia; anzi, la misericordia rende autentica la severità e la severità rende autentica la misericordia. Chi cammina nell’errore invece approfitta della misericordia per vivere dissolutamente o fa della severità il motivo delle sue paure e violenze.
Spesso nella nostra vita delimitiamo un’area neutra, dove la nostra condotta non è chiara. È l’area di confine tra lo spirituale e il materiale. Chiamiamo spirituale tutto quanto è pratica religiosa, rito, lettura di testi sacri. Chiamiamo materiale quanto invece è legato ai bisogni fisici della vita stessa. Diamo per scontato che i due ambiti siano separati e quindi poniamo tra loro una zona di confine, dove non è evidente né l’uno né l’altro aspetto. Questo è lo spazio della nostra ambiguità: a seconda della tendenza del momento voliamo nel cielo dello spirito, oppure sprofondiamo sotto il peso della materia. Ovviamente durante i ritiri spirituali saremmo spirituali, mentre sul lavoro e negli affari economici saremmo materiali.
Il Vangelo di oggi ci propone l’esempio di un fattore disonesto, ma ammirevole nella cura delle sue cose. Ci pare strano che Gesù abbia scelto un esempio del genere; eppure la parabola è evidente: chi si dedica e si ingegna nelle sue cose, fossero pure disoneste, in quanto a dedizione e ingegnosità è sempre un esempio da ammirare. Invece, afferma Gesù, è deplorevole l’esempio di coloro che, sedutisi sulla cattedra di Mosè, insegnano in un modo e vivono in un altro. Il peccatore, che è un tutt’uno col suo peccato, ha qualcosa da insegnare. P più vicino alla verità un peccatore schietto, che un santo ambiguo. Forse noi spesso ci comportiamo come santi ambigui! Per questo ci è difficile comprendere! «Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce».
Segue poi un insegnamento molto chiaro sull’uso del denaro: «Se non siete stati fedeli nella disonesta ricchezza, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?». Per Gesù è ovvio che il discepolo non deve avere due facce: «non potete servire a Dio e a mammona». Tuttavia la vita esige che ogni uomo, quindi anche il discepolo di Cristo, prenda tra le mani il denaro e lo usi. Allora lo fa con cura, con precisione, con fedeltà. Come il denaro così sono tutte le convenienze che la vita richiede. Non sono la vita, ma custodiscono la vita, come il guscio custodisce il tuorlo e l’albume dell’uovo. Ci vuole un cuore umile per non disprezzare ciò che nella vita è guscio e non contenuto: come guscio ha la sua importanza insostituibile; ma è guscio e non contenuto!
L’annuncio centrale nel Vangelo di oggi è senz’altro qui: «Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto». Alcune sette religiose, che si dicono cristiane o buddiste, insegnano che c’è un rapporto immediato tra il cammino religioso e il benessere della vita, cominciando dal denaro. Asseriscono che la preghiera e la pratica religiosa fruttano lo stare bene, la ricchezza! Altri gruppi invece insegnano la non conciliabilità tra il mondo religioso e quello materiale. Alcuni religiosi disdegnano di toccare il denaro! Hanno il comportamento contrario dei primi, ma sono fratelli nello stesso errore. Infatti se il mondo spirituale e quello materiale sono inconciliabili, l’uomo è dispensato dal volerli mettere in accordo e vive cronicamente la schizofrenia fra spirito e materia.
Lo spirituale separato dal materiale scade nell’evanescenza e presunzione, generando quel modo di vivere che chiamiamo spiritualismo. Il materiale separato dallo spirituale diventa la matrice di ogni attaccamento libidinoso alle cose e origina quel modo di vivere che chiamiamo materialismo. Lo spirituale e il materiale sono due aspetti dell’unica realtà della vita, distinti, ma inseparabili, l’uno integrante l’altro. Quando in una sola fedeltà l’uomo ha cura sia della pratica spirituale come del denaro e lega tutto in un solo cammino, allora quell’uomo è religioso. La religione infatti è il legame vivo, animato dall’amore, del molteplice nell’uno. Ha ugualmente cura della pratica religiosa e del denaro, sapendo che la pratica religiosa è la pratica religiosa e il denaro è il denaro.
p.Luciano
* Scaltro o assennato ?
Dicono che Luca fosse un medico, e deve essere vero: quando meno te lo aspetti somministra drastici rimedi che ti mettono di fronte alla malattia che facevi finta di non avere.
Dobbiamo sviscerare questa storia dell’amministratore disonesto, perché ci urta, ci sembra meschina: ci sembra una storia di calcoli, di mezzucci. Invece è la storia di un’autenticità. Pensiamoci bene: l’amministratore colto in fallo cosa fa? Non nega la sua colpa, non chiede sconti di pena, non si rifà sugli altri, che sono in posizione più debole della sua, per riconquistare la fiducia del padrone. Invece continua a essere se stesso, e tratta gli altri come tratta se stesso. Non li costringe a rendere tutto il dovuto, approfittando della sua posizione, per cercare di tamponare le falle nelle casse del padrone, e recuperare la fiducia perduta: invece va avanti per la sua strada, fino in fondo, senza ipocrisia. Non mostra un volto diverso da quello che si vede allo specchio: piuttosto cerca di trovare una via d’uscita essendo semplicemente se stesso con tutti. Condonando a ciascuno parte del debito si fa, è vero, degli amici, ma continua ad arrecare danno al padrone, e si espone a una pena ancora più severa. Quest’uomo sarà anche disonesto, ma certo non è un ipocrita. Non mostra agli altri una faccia diversa da quella che ha. Per questo il padrone, che è un buon padrone, più attento al valore dei suoi uomini che al valore dei suoi beni, lo loda. Ma qui, proprio qui, il traduttore del testo greco è stato traditore. Ha voluto mettere il suo tocco di moralismo, e ha fatto un guasto. Leggiamo il testo: «Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza: I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce». Ora, al mio orecchio c’è qualcosa di strano: la parola scaltrezza, scaltro suona fuori posto. Comunica a tutto il brano un’impressione ambigua, sembra tutto un trucco: scaltro è uno che vuol farla franca, un tipo che non si presenta per quello che è. Tutto l’opposto di quell’amministratore, che non faceva mistero della sua disonestà. Che senso ha lodare un tipo scaltro, che oltretutto si fa anche cogliere in fallo? Ma il testo greco del Vangelo non dice così; dice: Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con assennatezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più assennati dei figli della luce. Comunque si rivolti il vocabolario, «frovimos» non può voler dire con scaltrezza: vuol dire con senno, con prudenza, con saggezza, con giudizio, di testa, con intelligenza… derivando da «fren» che significa diaframma, petto, animo, mente, intelletto, senno, o, in altre parole, quello che gli antichi ritenevano essere la sede della mente umana. Qui l’unico scaltro, e neppure tanto, è stato chi ha tradotto, che non ce l’ha fatta ad accettare che Gesù potesse lodare un disonesto, purché sincero, e additarlo a esempio di coerenza.
Perché il problema non è di natura morale, nel senso di stabilire cosa è giusto e cosa è sbagliato, ma di natura etica, nel senso di sapere dove uno sta, dove si trova realmente: «ethos» = dimora, stato dell’animo, natura. Gesù qui dice chiaramente che è meglio un figlio del mondo che sa quel che fa e da che parte sta, di un figlio della luce che sta un po’ di qua e un po’ di là. Così come altrove dice: le prostitute vi passeranno avanti… Le prostitute pubbliche non possono raccontare storie, sono quel che sono e fanno quel che fanno, sanno dove sono: eticamente sono più a posto di chi può permettersi di essere diverso da quello che è. I religiosi, invece, spesso sono, siamo, ipocriti e ambigui: pronti a tenere il piede in due posti diversi. Ma questo è impossibile: non si tratta di giusto o sbagliato, è semplicemente impossibile. Gesù non è un moralista: non dice non è giusto servire a due padroni. Dice: nessun servo può servire a due padroni. È un’impossibilità, non una cosa inopportuna.
Ma chi sono i due padroni che non è possibile servire contemporaneamente? Devono essere due padroni antitetici, perché sappiamo che è possibile servire due padroni che danno lo stesso ordine, anche se ce lo comunicano in modo diverso. Anche qui il traduttore non ci aiuta. Butta là un «mammona» che nessuno sa bene cosa significhi. Sarà il diavolo? E che cosa è il diavolo? Mi pare che una sobria lettura del testo originale greco ci possa aiutare. Il greco dice, in effetti, «mamona». Solo che in greco mamona è la personificazione del guadagno, del denaro: e infatti, anche là dove in prece denza è scritto: «Procuratevi amici con la falsa ricchezza» e «se non siete stati fedeli nella falsa ricchezza», la parola greca per ricchezza è, appunto, «mamona». E allora, è opportuno e più semplice dire: «Non potete servire Dio e il guadagno». Questi sono i due padroni antitetici, le due staffe in cui non è possibile mettere lo stesso piede. Se serviamo il guadagno, fino in fondo il guadagno: se serviamo Dio, fino in fondo Dio. L’unico a guadagnarci, dal servizio di Dio, è Dio stesso: e solo Dio conosce qual è il suo guadagno. Chi, servendo Dio, ci guadagna, quale che sia la natura del suo guadagno, sta servendo il guadagno, non Dio. Il guadagno di Dio è perdita delle mie idee di guadagno: non c’è altro criterio per evitare l’ipocrisia.
Jiso
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