«Gli apostoli dissero al Signore: «Aumenta la nostra fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe. Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà quando rientra dal campo: Vieni subito e mettiti a tavola? Non gli dirà piuttosto: Preparami da mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu? Si riterrà obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare».
* Onnipotenti e inutili
Il Vangelo di questa domenica mette l’uomo di fronte a un dilemma che intreccia la sua esistenza. E proprio questo stesso dilemma diviene Vangelo. Dichiara: Oh uomo! Tu sei onnipotente: se hai un granellino di fede ottieni ciò che vuoi. Ancora: Oh uomo! Tu sei inutile: ottenuto tutto, hai fatto né più né meno ciò che devi. Onnipotente e inutile assieme!
«Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe». Nella fede l’uomo sogna e attua ciò che sogna. Si dischiude oltre i suoi limiti, mentre li accetta cordialmente. La fede infatti è la manifestazione della potenza divina insita nel limite dell’uomo. Si può dire che la fede è la strada di ritorno della creazione verso il Creatore. Quando Dio crea fa abitare l’idea perfetta dell’uomo e delle cose, che egli da sempre custodisce nel suo cuore, dentro il limite di questo o di quell’uomo, di questa o di quella cosa. Soffia il suo alito sul fango e il fango diviene l’uomo vivente. Dio sacrifica la perfezione delle sue idee, preferendo dare loro l’umile forma dell’esistenza. Dio crea, perché non vive compiaciuto della sua intoccabilità. Dio è amore! Come Dio, creando, racchiude ciò che è senza limite dentro il limite; così l’uomo, nella fede, dischiude ciò che è limitato nell’illimitato. Dalla valle del suo limite scala la montagna della sua natura divina. La creazione è la via di Dio, la fede quella dell’uomo. La creazione manifesta l’onnipotenza di Dio; la fede quella dell’uomo.
Senza la fede l’uomo prende paura dei suoi limiti e si autodichiara impotente verso gli ideali che professa. Dice di desiderarli e poi, lui stesso, afferma che sono difficili e irraggiungibili. Proclama difficile e irraggiungibile ciò che professa di desiderare ardentemente. Si fa vittima del suo stesso desiderio. Il Vangelo è quella parola dirompente che sveglia la fede; e la fede svegliata sveglia l’audacia. Con l’audacia della fede l’uomo chiede così intensamente che ciò che chiede si attua.
L’uomo onnipotente nella fede è il servo inutile, afferma il Vangelo. Onnipotente e inutile assieme, simili a Dio che tutto opera in perfetta gratuità. Gratuità e inutilità comunicano. «Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare». Servi inutili sono i genitori quando, dopo decenni di fatiche, danno l’addio ai figli che partono da casa per seguire la loro via. I figli ritorneranno qualche anno dopo a chiedere ai genitori diventati nonni di badare ai nipotini. Serva inutile è la Chiesa nei suoi ministri quando, dopo aver contribuito alla formazione degli individui, rispetta il loro cammino autonomo di laici. Serva inutile è la natura tutta, quando, dopo aver dato i suoi frutti, si ritira nel letargo invernale. Servo inutile è Cristo che, vero maestro, ritorna al Padre affinché i discepoli compiano la loro parte: «Chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre» (Gv 14,12). I discepoli comunicheranno direttamente col Padre: «In quel giorno chiederete nel mio nome e io non vi dico che pregherò il Padre per voi: il Padre stesso vi ama» (Gv 16,26-27). Morendo sulla croce altro non fa che eseguire la volontà del Padre e adempiere le Scritture: fa il suo dovere! Inutile è soprattutto. Dio: ovunque presente, ovunque operante, ma sempre invisibile. Dio abita nella parte più intima delle cose, come conviene a chi serve. Quando l’uomo segue i suoi capricci, Dio ritira il suo volto e lo lascia a tu per tu con le conseguenze del suo peccato, fino al momento in cui si converte e ricorre a lui. Dio infatti — insegna il Vangelo — non esiste per se stesso, ma per il regno di Dio, ragione ultima di tutto ciò che esiste, eschaton universale. «In verità vi dico, [il padrone, Dio] si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli» (Lc 12,27).
Servo inutile sono io, sei tu, è lui, è lei, è ogni uomo. Basta guardare il cielo stellato e chiedersi che significato ha la nostra esistenza, computabile in alcune decine di anni, di fronte alle miriadi di stelle dai miliardi e miliardi di anni. Esse ci ignorano. Eppure noi siamo qui, con nel cuore la fede che ci rende onnipotenti! Onnipotenti e così piccoli. Ma questo è il segreto della gioia. Dovremmo chiedere ai fiorellini che sbocciano sulla montagna rocciosa, dove nessuno andrà a vederli, il perché del loro esistere. Inutili, eppure così veri!
p.Luciano
* Il metro oltre misura
Le parole del Vangelo ci colgono in pieno, perché mettono a nudo una contraddizione insita nel nostro modo di pensare. Chi di noi, come persona religiosa, non si identifica nel padre dell’epilettico quando rivolge al Signore quella preghiera e chi non la fa propria? «Aumenta la mia fede!». Questa ci appare la richiesta più disinteressata, più sincera, più profondamente religiosa. Non sto chiedendo benefici, non sto domandando la pace interiore o la felicità per me: chiedo semplicemente di aver più fede di quanta me ne trovo nel cuore e nei miei atteggiamenti, per poter affrontare la vita aderendo in modo più autentico alla volontà di Dio. Mi rendo conto che senza la fede, che è credere quando non vedo, non ci può essere conversione, e che solo la fede mi può attirare verso il regno di Dio; mi rendo conto della mia debolezza e fragilità, della inadeguatezza della mia fede: e allora sorge spontanea dal cuore la preghiera di avere più fede. Mi attenderei, in risposta, la comprensione benevola di Cristo: in fondo non chiedo che di aumentare la potenzialità dello strumento che mi permette di seguire il suo insegnamento.
Così ragionando dimostro soltanto di trattare la fede come merce comune. Dimostro di credere di sapere che cosa è la fede. La voglio tirare dentro, nell’ambito delle mie valutazioni e dei miei strumenti, in modo da poter applicare a essa le mie categorie. La risposta di Gesù mi dice invece che la fede è intangibile. Mi dice che la fede non è soggetta ad aumenti o diminuzioni, non cresce né decresce, non ha niente a che fare col mondo delle quantità. La fede è quel tutt’altro assolutamente incondizionato da qualunque categoria, definizione, limite, valutazione. Se ne può parlare solo come ne parla Gesù, dicendo: se aveste un microscopico granellino di fede sapreste che quel granellino è tutta la fede che regge l’universo! Se ascoltassimo con fede le parole di Gesù, sapremmo che fede non vuol dire credere in questo o in quello, non significa superare il dubbio, non sta a indicare una monolitica credenza. Fede è il salto nell’assoluto: non è né piccola né grande, né lunga né corta, né tanta né poca. Fede è il salto nell’assoluto che si fa restando qui dove sono. Restando: deponendo cioè tutto quanto, e lasciandomi inondare dall’essere che è la forma concreta della fede. Io sono quel gelso sradicato dalle sue illusioni e trapiantato qui, nel mare sconfinato del mio esistere. Dove altro devo chiedere di andare, che senso ha domandare che aumenti la profondità dell’oceano?
Il metro con cui misurare le parole di Gesù è incommensurabile: eppure è un metro. Il fatto che non sia un metro comune, che va da qui a là e poi finisce, ma un metro oltre misura, non significa che sia aleatorio e indeterminato, che non sia un metro preciso per misurare. Anzi, è il metro che arriva ovunque, lungo quando serve lungo, corto quando serve corto. Quel metro coincide con la mia vita, non ne lascia fuori neppure un millimetro. Però non è lungo o corto secondo il mio capriccio, secondo la mia valutazione: è il metro che rimette le cose al loro posto. Il criterio di quel metro è: «Siamo servi inutili».
Quando chiedo che la mia fede sia aumentata, è perché sento di aver bisogno o di meritare più fede. Proprio così dimostro di non aver fede: se dessi a fede il valore che ha, saprei che, ovunque io sia, lì sono esattamente al posto che mi compete, dove la mia vita mi ha portato, dove la mia vita, che è il campo della fede, si manifesta ed esprime. Essere servo qui, dove mi trovo ora, vuol dire dar forma alla fede nella mia vita. Essere inutile vuol dire fare quanto dovevamo fare. Né più, né meno. Nessun merito in questo, nessun demerito. Che liberazione, in questo mondo dove l’utile è la pietra di paragone! Però è bene fermarsi su questa parola: inutile, molto dura, anche nella lingua greca in cui il Vangelo ci è giunto: «akreios» vuol dire inutile, che non serve a nulla, da nulla. Vediamo meglio l’etimologia: è la negazione della parola «kreia» che significa uso, utilità, guadagno, e anche occupazione, faccenda, opera. Deriva dal verbo «kraomai» che significa usare, nel senso più esteso del termine. Un servo inutile: un servo che non ricerca alcuna utilità, alcun guadagno, che non usa il proprio essere servo per nessuno scopo che non sia essere quello che è. Anche una montagna, anche il mare e l’immenso cielo sono servi inutili. Un servo inutile: se mi sento sminuito da questa definizione, se penso di essere servo, sì, ma non inutile, perché faccio tanto, o vorrei fare tanto, per il bene, di tante altre persone e mio, e quindi sono utile, o vorrei esserlo, a un disegno di bene, ho ancora un’idea distorta di cosa sia la fede. Un servo inutile è un servo libero: non è schiavo dell’idea di servizio, non ha nulla da guadagnare. Quando sediamo in zazen, siamo servi inutili. Anzi, lo zazen è il servo inutile della fede: sedendomi in zazen, io mi rivesto di quel manto del povero.
«Oh discepolo, guarda! La fisionomia di ogni cosa è l’infinito: non è il nascere, né il perire, non l’inquinare, né il purificare, non il crescere, né il diminuire. [ … ] davvero! Nulla è da guadagnare, perciò, l’uomo della Via, siccome riveste il comportamento di perfetta sapienza, il suo cuore non è ostruito. Siccome il suo cuore non è ostruito, non c’è l’aver paura. Tiene lontano ogni suggestione che capovolge. Ecco la soglia del nirvana!».
Jiso
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