Lun 25 Ago 2008 Scritto da Pierinux AGGIUNGI COMMENTO

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

* Chi dite che io sia?

Noi cristiani, dai missionari che annunciano itl Vangelo ai paga­ni, ai catechisti che lo annunciano ai battezzati, agli insegnanti di re­ligione nelle scuole, un po’ tutti intendiamo l’annuncio e la testimo­nianza come una risposta da dare all’uomo, o forse da fargli impara­re a memoria. Una risposta chiara ed evidente, che non lasci dubbi. In base a questa preoccupazione, la prima cosa che insegnamo a chi viene da noi per conoscere il Vangelo è che Gesù è il Cristo, il Figlio unigenito. Così assodiamo il punto per noi fondamentale: che il cri­stianesimo è l’unica vera religione. Sarà poi da questa base che pro­cederemo a parlare delle otto beatitudini, dei miracoli, della croce e risurrezione, della Chiesa.

Il metodo di Gesù fu opposto al nostro. Se c’erano persone ve­ramente interessate a conoscere chi fosse Gesù, questi sono i suoi discepoli. Per seguirlo avevano lasciato la casa, la famiglia, il lavo­ro. Invece Gesù tacque a lungo; forse per circa la metà dei tre anni che visse con loro. Gesù non ha alcuna risposta da fare imparare a memoria; nemmeno che Dio è il Padre, che lui è il Figlio e che lo Spirito Santo è il loro alito vivificatore. Non fece imparare nessuna risposta, ma fece qualcosa di molto più vero e fecondo: suscitò la domanda.

«Voi chi dite che io sia?». La domanda è feconda, la risposta è sterile. La domanda accende l’attenzione e avvia la ricerca; la ri­sposta spegne e addormenta. La salvezza dell’uomo si attua quan­do in lui si accende la domanda per cui lui stesso diviene protago­nista del suo cammino. Nell’era dei prefabbricati e dei pasti istan­tanei surgelati, il Vangelo di oggi significa cambiare direzione di marcia. Non è Vangelo soltanto ciò che ci fa andare avanti; ma an­che ciò che ci fa tornare indietro, quando la direzione dell’andare avanti è quella errata. Anche all’interno della Chiesa la cultura del prefabbricato e del surgelato è in voga. I catechismi contengono risposte a tutti i quesiti immaginabili e possibili; i documenti ufficiali della Chiesa spesso sono una serie di risposte ai vari problemi. L’uomo moderno affoga nella pubblicità che gli dice tutto del come e del dove deve vivere.

Al cristiano d’oggi manca la domanda che precede le risposte, per cui queste gli scivolano via senza incidere nella sua vita. Non in­cidono i documenti della Chiesa, anche se perfetti nella forma e nei contenuto. Se all’orizzonte compare una domanda, come quella sul sacerdozio ministeriale femminile, l’autorità della Chiesa ha fretta di non lasciare spazio alla ricerca. Un certo agire della Chiesa asso­miglia ai cibi confezionati. Così la domanda non ha spazio e non sti­mola il cammino.
La religiosità che ha a cuore la domanda è cosciente che non esi­ste altro canale di comunicazione con Dio che il cuore umano che lo cerca. Sa attendere che l’uomo giunga a percepire il bisogno di Dio, come Gesù attese un anno e mezzo, metà del tempo trascorso con loro, che nei suoi discepoli nascesse la domanda: ma chi è costui?

«Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli». La carne e sangue sono i legami etnici e culturali: indicano quelle tante persone che appartengono a una religione solo per tradizione familiare ed et­nica. La loro fede è semplicemente il loro adattamento al luogo geo­grafico e culturale dove sono nate e cresciute: cristiani se europei, musulmani se arabi, buddisti se orientali. Spesso la loro fede ha con­notati fondamentalistici: sono rigidi nell’interpretazione dei messag­gi religiosi e non disposti al dialogo. Come gli alberi senza radici ne­cessitano della serra.

Non fu Gesù a insegnare a Simone che egli è il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Fu solo il Padre a rivelarlo: il Padre da cui sia Gesù che Simone provengono. La fede di Simone è radicata nel Padre! Per questo Gesù lo chiama beato! Alla robustezza della fede di Si­mone, Gesù affida la cura della sua Chiesa, a garanzia che ogni membro della Chiesa giunga a credere perché il Vangelo gli è rivela­to direttamente dal Padre nella personale esperienza della vita. Si­mone, nominato Pietro, sarà il garante della comunione di tutti nella variopinta differenza di sensibilità e di carismi. Il termine greco cat­tolico (universale) era già utilizzato nei primi secoli per esprimere la comunione universale dei credenti in Cristo, la cui fede non era vi­ziata da particolarismi culturali o religiosi.

«Allora ordinò agli apostoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo». Io, missionario di Cristo, ho ritenuto che il mio precipuo dovere fosse quello di annunciare Cristo a chi non lo conosce. A monte è la mia sicurezza che Cristo consista in risposte da inse­gnare, di cui io sono il detentore. Il Vangelo di oggi mi converte e mi annuncia che Cristo anzitutto è sempre una domanda.

«Voi chi dite che io sia?».

p.Luciano

* Roccia

Il brano di Vangelo oggi in lettura è, solitamente, considerato il sostegno del primato di Pietro è una pietra angolare della costruzio­ne istituzionale della Chiesa cattolica. Limitarsi a questi aspetti ap­pare quantomeno riduttivo, soprattutto se l’interpretazione è frutto di una speculazione a posteriori, che va a cercare nella fonte, cioè nel Vangelo, delle affermazioni che giustifichino una realtà successi­va, cioè la struttura gerarchica della Chiesa cattolica come è oggi­giorno. Comunque, ci sono ben altri spunti contenuti nel testo, che riguardano direttamente ognuno di noi, ognuno di quella reli­gione che è la propria vita.

Innanzitutto non si può non notare che, all’epoca di Gesù, in Pa­lestina, doveva essere di dominio comune una sorta di teoria della reincarnazione. 0 quantomeno che era normale pensare che alcuni grandi profeti non vivessero una volta soltanto, ma si incarnassero successivamente sotto diverse spoglie. In questo caso qualcosa di si­mile alla teoria indiana dell’avatar, incarnazione che periodicamente si manifesta per aiutare l’uomo a trovare la via giusta. La domanda di Gesù è in questo senso illuminante come la risposta dei discepoli. Gesù vuol sapere che cosa gente pensa di lui: vuole conoscere (o meglio, vuole sentirsi dire) quale è il corrente, uniforme, quello che si comunica fra la gente e a cui tutti si adeguano per sim­biosi. Quel pensiero comune è che egli sia una reincarnazione di qualcun altro: chi dice di Giovanni, morto da pochi mesi, chi dice di Elia, sparito in cielo su un carro di fuoco, chi dice di Geremia o di al­tri più antichi profeti: sempre, comunque, altro già conosc­iuto , nella visione rassicurante che tutto si svolge in un ambito pre­determinato. Allora Gesù fa la domanda chiave: «Voi chi dite che io sia?». Indipendentemente da quello che dice la gente, da quello che dice, da quello che ti dicono, tu chi dici che sia? Ecco la domanda, la cui risposta qualifica la fede. Ecco perché Simone, rispondendo come risponde, diviene Pietro. Perché non dà una risposta stereoti­pata, sentita da altri, che aveva già in testa. Né la carne né il sangue gli suggeriscono la risposta: né la tradizione, né il comune sentire, né l’aspettativa, né le elucubrazioni o le fantasie: nasce dalla profon­dità insondabile che è certezza oltre ogni paragone o interpretazio­ne. Simone risponde come risponde perché sa che è così: lo sa e basta, senza perché. Una fede con una simile base fa di lui una roccia: è Pietro, perché la sua fede ha fondamento in se stessa. E’ come rispondesse: «Tu non sei quello che dicono che sei: tu sei tu e solo tu sei tu». E come dicesse: «Io lo so non perché me lo ha detto qualcuno: lo so perché io lo so, e lo so solo io». Questa è la trasmissione della fede.

In ambito buddista si narra che un giorno Sakyamuni, salito sul monte detto dell’Avvoltoio, si rivolgesse a un gran numero di discepoli e fedeli. Raccolse un fiore da terra e lo sollevò. A quella vista Mahakasyapa sorrise, unico fra tutti i presenti. Il Budda disse: «Mahakasyapa riceve la trasmissione della custodia della visione della, realtà autentica (Shōbōghenzō)». Mahakasyapa è il primo Patriarca dello Zen, da allora ha inizio una trasmissione che continua ininter­rotta fino a ora: chiunque riceve e trasmette la custodia della visione della realtà autentica a come Budda e come Mahakasyapa. Anche questa è la trasmissione della fede.

Un altro punto di fondamentale importanza è it fatto che Gesù proibisca di dire ad alcuno che egli era il Cristo. Il testo greco dice addirittura «minacciò i discepoli affinché non dicessero…». Gesù non vuole che qualcuno sappia da qualcun altro che lui è Cristo. L’annuncio che i discepoli devono fare a tutti, il Vangelo, è: «Con­vertitevi, il regno dei Cieli e a portata!». II resto bisogna che a ciascu­no, come a Pietro, sia rivelato nel segreto di sé, dal Padre che sta nei cieli. Se la mia fede è la fede di un altro, nel senso che chiamo fede credere in ciò che un altro, chiunque egli sia, mi dice di credere, al­lora non è la roccia sicura su cui posso edificare la casa, e che mai crollerà perché è con me, in me, è me. Il regno di Dio è un seme, non la costruzione tutt’intera già bella prefabbricata. Bisogna man­tenere il segreto per non sciupare l’autenticità della rivelazione co­me è per ciascuno: non possiamo fare la parte di Dio, standardizzan­do la sua voce. Altrimenti la verità diventa di nuovo ciò che la gente dice che sia, fatiscente immagine di un’immaginazione omologata.

In ambito buddista Budda ammonì i suoi discepoli: «Non dovete in me, fare di me e del mio insegnamento oggetto di culto. Dovete credere nel sé che è ciascuno di voi, come io vi ho indicato». Anche questo è essere Pietro, una roccia che l’onda non scioglie.

Jiso

* Sulla soglia di un mondo conosciuto

Immaginiamo di entrare in un territorio il cui interno non sia mai stato esplorato; dapprima si incontrano paesaggi noti, si parla con popolazioni di cui si conosce la lingua; poi, se si oltrepassa il limite del territorio conosciuto e si giunge nell’interno inesplorato del paese, si incontrano popolazioni che parlano lingue sconosciute: per poterle conoscere veramente occorre imparare a poco a poco il loro modo di esprimersi, le loro abitudini di vita così diverse dalle nostre. Se ci ostiniamo a utilizzare i nostri parametri culturali, i nostri pre­concetti, le nostre idee riguardanti ciò che è vero o falso, giusto o sbagliato, la nostra conoscenza sarà falsata fin dall’inizio; se invece noi mettiamo da parte le nostre idee, dimentichiamo la nostra lingua preoccupandoci solamente di imparare e comprendere, a poco a po­co riusciremo a entrare in questa nuova realtà, a conoscere le abitu­dini di vita, it linguaggio, ecc. di quelle popolazioni.

Nella nostra realtà interiore la situazione è analoga: viene il momento in cui si oltrepassa il limite conosciuto, cioè quello che la mente è in grado di perlustrare, e si accede in una zona inesplorata che potremo conoscere veramente a condizione di liberarci dei no­stri preconcetti, del nostro abituale modo di pensare. Certo, per co­noscere questa realtà occorre molto tempo, ma quello che più conta
l’atteggiamento corretto: trovarsi sulla soglia di questo mondo sco­nosciuto spogliati di noi stessi, del nostro pensiero e della nostra mente.

Gesù è ancorato a questa realtà interiore più profonda e di con­seguenza il suo insegnamento e le sue opere sono in contrasto con la logica comune, che presuppone una comprensione più superficiale di tutto quanto è oggetto di conoscenza e di esperienza. Egli allora vuole mettere alla prova i suoi discepoli chiedendo loro: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Gesù vuole conoscere la rispo­sta di chi ancora non è pervenuto alla realtà interiore profonda, di chi ancora è legato alle personali valutazioni della sua mente. E la ri­sposta a scontata: Gesù viene identificato con persone ben definite di cui cioè si ha una precisa esperienza: Giovanni il battista, Elia, Geremia, ecc. A questo punto però egli si rivolge ai discepoli (e a tutti noi) e chiede: «Voi, chi dite che io sia?»; è Pietro che risponde: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente», dimostrando di aver compreso che Gesù è colui che è saldamente ancorato a quella realtà profonda, a quella zona inesplorata nella quale ciò che conta non so- no le categorie della nostra mente, ma lo Spirito che guida e che fa comprendere; nella quale dunque Dio e l’uomo diventano una sola realtà perché Dio vive attraverso l’uomo. Ma se Pietro intuisce que­sto a perché lui stesso, essendo pervenuto a questa realtà, a guidato dallo Spirito: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la came né it sangue te l’hanno rivelato, ma it Padre mio che sta nei cieli». Acce­dere a questa realtà profonda vuol dire andare oltre le divisioni reli­giose e i dogmatismi: vuol dire entrare a far parte di una Chiesa ve­ramente universale.

Annamaria Tallarico

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