* Rabbì, dove abiti
Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: «Che cercate?». Gli risposero: «Rabbì (che significa maestro), dove abiti?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia, che significa il Cristo» e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa, che vuol dire Pietro».
* Il Pensiero Divino si fa Carne: la Casa
Molti riconoscono Gesù quale uomo divino; ma pochi lo riconoscono quale uomo umano, uguale agli altri uomini. Esaltano in lui il cielo che scende e non la terra che sale; e così ritengono di tributargli onore. Anche in me prete è forte la tentazione di disumanizzare l’umanità di Gesù, allo scopo di far risplendere la sua divinità.
Gesù non solo è uomo, ma è umano. Ha una casa dove abita; ha un indirizzo. Forse sulla porta stava la scritta: Gesù figlio di Giuseppe, falegname. Lo incontrano Giovanni e Andrea, due amici e soci della locale cooperativa di pesca, e gli chiedono dove abiti. Alla distanza di una cinquantina d’anni, quando si accinse a stendere il testo del Vangelo, Giovanni ricordava ancora l’ora in cui quell’incontro era avvenuto: erano circa le quattro del pomeriggio.
Osserviamo come quell’incontro avvenne. Gesù passava lungo la strada, come per caso, e quel Giovanni che alcuni giorni prima gli aveva conferito il battesimo lo riconobbe. Il testo dice: fissando lo sguardo su Gesù che passava. Camminare lungo la strada e imbattersi con altri viandanti è un’esperienza che tutti facciamo, ogni giorno. È infatti lungo la strada che molti incontri, fra quelli più profondi, avvengono. Quanta e quale amicizia è sgorgata da incontri brevi e fortuiti, accaduti come per caso lungo il cammino! Trascorrendo una notte nello stesso rifugio in alta montagna, oppure attraversando il mare sulla stessa imbarcazione, o sedendo fianco a fianco durante un lungo viaggio in treno, o appartenendo alla stessa camerata durante il servizio militare! Quando l’uomo si mette in cammino risveglia dentro di sé la fisionomia più originale: ritorna a sentirsi un viandante sotto il cielo stellato, da una parte bisognoso del sostegno altrui, ma disposto ad aiutare il compagno di viaggio nel bisogno! Percepisce la sua povertà esistenziale; ma anche la sua potenzialità umana. Viaggiare insieme, aumenta la domanda di compagnia fraterna.
Il Vangelo è proprio la lieta notizia che nell’altro che passa accanto lungo la strada della vita si fa presente il Cristo. Il Cristo infatti è quell’altro che, incontrandolo, rende vero me stesso. È la goccia d’olio che con la sua unzione sana, alimenta, illumina, profuma la mia esistenza. È l’altro che arricchisce di senso e di funzione il mio io.
Fra i numerosi incontri che l’uomo compie lungo il viaggio della vita, sono particolarmente pregni di senso religioso quelle scelte durature che coinvolgono completamente la propria persona, come il matrimonio, l’accoglienza di un bimbo, la partenza missionaria verso altri popoli, il voto di dedicarsi alla vita religiosa, la riconciliazione con chi abbiamo prima odiato, chiedendo e dando il perdono. Ogni incontro rende l’uomo più se stesso.
Perché sono qui, ora? Quante volte ci facciamo questa domanda! Allora dobbiamo fissare con uguale attenzione religiosa e uguale affetto umano, sia il proprio mondo interiore e il cuore, sia il mondo che ci circonda. Soprattutto dobbiamo fissare l’altro, i suoi occhi, al punto di riconoscervi la visita del Cristo. Camminiamo con lui, entriamo nella sua casa, osserviamo le sue convinzioni, le sue tradizioni, le sue gioie, i suoi dolori. Dobbiamo comprendere perché l’altro abiti in una casa così diversa dalla nostra. Comprendere ciò che è diverso da me stesso è il passaggio per entrare nella comprensione del Pensiero divino che fonda la realtà come me stesso e come altro da me stesso, in una intima correlazione di grazia. L’altro, essendo altro da me, è grazia; così questo io, essendo me stesso, è grazia. Quel rapporto vivo e personale che salva l’altro attraverso me stesso e me stesso attraverso l’altro è il Cristo. È il Pensiero divino che abita la carne della realtà.
Giovanni il battista incontrò Cristo e lo additò ai suoi discepoli. In seguito Giovanni fu decapitato e i suoi discepoli divennero discepoli di Gesù. Giovanni, l’autore del Vangelo, fu uno di loro.
Le sempre numerose cose da fare, la fretta, il frastuono e anche il dilettantismo religioso per cui vaghiamo qua e là in cerca di emozioni spirituali, non ci permettono di ricercare la casa dove abita il Cristo, entrare e fermarci.
«Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio».
L’uomo è persona: ossia è soggetto libero, di diritti e di doveri. La persona è la punta di diamante di ogni uomo: è unica, è incomunicabile. C’è l’incontro che avviene meccanicisticamente, in forza di un caso fortuito che la nostra coscienza non può interpretare; ma c’è pure l’incontro personale, in cui la punta di diamante di un uomo, ossia la sua coscienza personale e libera, incontra la punta di diamante di un altro essere umano, ossia la sua coscienza personale e libera. La coscienza personale e libera è la propria casa. Giovanni il battista riconobbe la presenza del Cristo in Gesù che passava accanto a lui perché la sua coscienza personale era libera, resa tale dal cammino ascetico del deserto.
Andrea e Giovanni, i discepoli di Giovanni il battista, si misero in cammino per andare a vedere dove abitava Gesù. Giunsero e videro! «Erano circa le quattro del pomeriggio». Anch’io, un giorno qualsiasi le quattro del pomeriggio, incontro Cristo lungo la strada della mia vita. Viene sotto le sembianze di ogni uomo e di ogni cosa. Se lo seguo e vado a casa sua, se fino in fondo fisso il mistero che è dentro di lui, posso riconoscerlo. Cristo è nel fondo di ogni esistenza, è il fondo di ogni esistenza, sia quella di Francesco d’Assisi, come quella del criminale.
L’augurio è che ognuno di noi, lungo la strada della vita, senza averne scelto né il modo né il tempo, forse le quattro del pomeriggio, s’imbatta in una persona che gli trapeli il volto di Cristo. Bisogna osservare attentamente e seguire con cuore per giungere a vedere in un volto umano il volto divino.
Ama veramente non chi abbraccia tutti in modo indistinto e staccato, ma chi entra nella sua casa e si ferma. In un ora ben precisa! «Erano circa le quattro del pomeriggio».
p. Luciano
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* dalla Parte del Discepolo
La narrazione dell’incontro di Gesù con i suoi primi discepoli è presente in tutti e quattro i vangeli. La scena è la stessa, ma la prospettiva da cui è osservata e narrata è completamente differente. In Marco, Matteo e Luca, è messo in rilievo senza mezzi termini l’aspetto della chiamata: è Gesù a chiamare i discepoli, a invitarli a seguirlo in modo quasi perentorio, con la promessa di fare di loro, pescatori di pesci, dei pescatori di uomini, e in Luca addirittura con il segno convincente di un miracolo eclatante. La scena è vista e descritta dalla parte di Gesù: è lui che chiama, è lui che convince e i quattro uomini seguono obbedienti. Questo è il punto saliente, il resto è contorno. Nel Vangelo secondo Giovanni, invece, lo stesso episodio è visto da tutt’altro punto di osservazione: è visto dalla parte del discepolo. La cura di Giovanni sta nell’essere testimone fedele, come se chiudesse gli occhi e riferisse ciò che ha visto e vissuto. Mentre gli altri evangelisti lo nominano, perché vedono la scena come dall’alto, abbracciando tutti i presenti, lui non si nomina, perché è l’osservatore e il testimone: la sua presenza è l’occhio che vede e abbraccia la scena. Le differenze che notiamo non stanno nel fatto che dei due (i tre sinottici da una parte e Giovanni dall’altra) uno non dice come davvero sono andate le cose: stanno nel fatto che le cose sono viste da un diverso punto di osservazione. Il Vangelo è fatto storico, ma non lo si deve mortificare con l’analisi delle concordanze dei resoconti: non da questo è data l’obiettività storica del Vangelo, ma dalla carica di verità delle differenti visioni dello stesso evento.
Perciò è evidente che Giovanni, che osserva la scena dalla parte del discepolo, ci narri l’episodio con l’obiettività della sua visione: e qui l’impulso non è nella chiamata, ma nella ricerca. È sempre Gesù a parlare per primo, così come avviene in Marco, in Matteo, in Luca: ma non parla per chiamare a sé, ma perché riconosce lo spirito di ricerca dei due che lo seguono: Che cercate? I due, Andrea e lo stesso Giovanni, sono uomini della via, discepoli del Battista, che si sono messi a seguire Gesù dopo aver udito la testimonianza del loro maestro su di lui: Ecco l’agnello di Dio! Si muovono avendo fiducia in quell’annuncio, ma per verificare di persona. Qui è tratteggiato il risveglio dello spirito che cerca la via (così come è chiamato nel buddismo) a partire dall’uomo: quel complesso di fiducia e titubanza, di slancio e di bisogno di esperienza che danno forma ai primi passi di un vero cammino in prima persona. Gesù non forza minimamente la situazione. Si limita a chiedere e a indicare: Venite e vedrete, sarete voi stessi a giudicare se la mia dimora è il luogo che cercate. Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio. La cura con cui Giovanni riferisce i particolari non dice solo la sua volontà di comunicarci che lui c’era: dice soprattutto la delicatezza di un momento così importante nella sua vita, il momento di una scelta che cambia il corso della sua esistenza e che è fatto di piccoli particolari che si fissano nella memoria di chi lo sta vivendo: l’ora del giorno, il conflitto fra lo slancio e la titubanza, le poche parole in un grande silenzio. Forse tutte le volte che uno si converte gli angeli nel cielo suonano le trombe e ballano di gioia, ma vista dalla parte dell’uomo la conversione è più spesso un atto semplice, quasi inavvertito, che la memoria registra notando i particolari che lo riportano nel movimento della normalità della vita.
Dopo questo assestamento, dopo il primo reciproco studiarsi, i discepoli riconoscono Gesù e Gesù riconosce loro. Andrea va da suo fratello ad annunziare: Abbiamo trovato il Messia, e sono le uniche parole che pronuncia in tutto il Vangelo. Gesù vede Pietro e subito lo riconosce. Il discepolo cerca, il maestro aspetta: questo è il doppio movimento di un unico meccanismo. Se non ci fosse il maestro che aspetta, il discepolo non saprebbe cercare; se non ci fosse il discepolo che cerca, il maestro non saprebbe cosa aspettare.
Questo brano di Vangelo andrebbe, mi pare, letto insieme a quello che lo segue (Gv 1,43-51). Qui vediamo anche il Gesù che chiama, a completare il quadro. E troviamo ancora la frase Vieni e vedi, l’invito a scoprire in prima persona che riconoscere ed essere riconosciuti sono due momenti di un unico evento, elementi entrambi fondamentali della testimonianza veritiera, che è il motore della trasmissione da persona viva a persona viva.
Jiso
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