lettera
Vangelo e Zen
Vangelo secondo Luca 10, 29 – 37
29 settembre 2009
Ieri, domenica, nella messa a Milano abbiamo ascoltato il brano di Vangelo comunemente chiamato “La parabola del buon samaritano”. Un dottore della legge (della Bibbia) domanda a Gesù qual è il primo comandamento. Gesù non risponde ma glielo fa scoprire da solo. Il primo comandamento è amare Dio con tutto il cuore e il secondo amare il prossimo come se stesso. Da notare come insegna Gesù: fa scoprire da soli perché tutto è già nel fondo del cuore di ogni uomo che lo ascolta. Certamente per Gesù il primo comandamento, quello dell’amore, era già iscritto nel cuore di chi gli faceva la domanda. Basta viaggiare tra i popoli detti non cristiani perché non battezzati, e vedere scene di purissimo amore. La parte di Gesù in questo Vangelo non è quindi quella di insegnare il primo comandamento, quello dell’amore, ma di insegnarne la modalità interiore. Lo fa con la parabola che noi – proprio perché non abbiamo capito a fondo la parabola – chiamiamo del “Buon Samaritano. I Samaritani erano ebrei che vivevano nella campagna al Nord di Gerusalemme e, siccome trasgredendo le tradizioni ebraiche si sposavano con donne non ebree, erano trattati da eretici dagli ebrei ortodossi di Gerusalemme. Nemmeno veniva permesso loro di entrare nel tempio. Nella parabola un ebreo, probabilmente di Gerusalemme, viene depredato dai briganti e lasciato mezzo morto al margine della strada che scende giù a Gerico (l’attuale Gerico dei Palestinesi). Passa un sacerdote del tempio di Gerusalemme, lo vede e, evitandolo, passa oltre. Così un levita, ossia uno della tribù privilegiata di Levi da cui venivano eletti i sacerdoti, come dire la casta braminica in India. Per caso passa poi un samaritano, un eretico odiato dagli ebrei di Gerusalemme: accorre, disinfetta le ferite e affida quell’uomo a una locanda pagando di tasca sua il disturbo. Gesù non chiede al dottore della legge quale dei tre ha amato, ma quale fu prossimo al malcapitato. “Chi ha avuto compassione di lui” risponde il dottore della Legge. “Va, anche tu fa lo stesso” replica Gesù. E’ evidente l’insegnamento. L’amore vero non proviene dall’appartenenza: il sacerdote apparteneva al ministero religioso, ma non ha amato. Non appartiene all’ortodossia, perché il samaritano era eretico e ha amato. Nemmeno l’amore consiste nelle attività che si fanno per negli altri; infatti la domanda di Gesù riguarda solo quale dei tre è stato prossimo. Si può fare vistose opere di carità, senza però essere prossimo a chi soffre. Si può perfino fare la carità per allontanare. Farsi prossimo senza alcun filtro di appartenenza o di partito o di religione: la prossimità creaturale, nuda e semplice. Farsi prossimo perché “accade” di incontrarsi. I Testimoni di Geova si aiutano tantissimo tra loro e aiutano anche te, se ti fai testimone di Geova. Così i partiti, così le religioni. La prossimità di Gesù è l’opposto: mi faccio prossimo a te perché tu hai bisogno e io posso, perché la vita mi ti fa incontrare.
Noi cristiani facciamo molta fatica a comprendere la parabola di Gesù e l’abbiamo chiamata del “Buon Samaritano”. Ossia, è come se volessimo dire che i samaritani sono gentaglia, ma questo invece è buono. Un tunisino di Mazara del Vallo fu invitato alla cena di Natale da amici cristiani. “Ma tu sei proprio bravo, sei come noi!”, lo lodarono. Mi confidò quel fatto, perché ne sentiva ancora viva la ferita. Gesù dice semplicemente “Un Samaritano, che era in viaggio …”. Si accostò al malcapitato proprio perché non era etichettato come “quello buono”, oppure come “il volontario”, oppure come “il missionario”. Infatti non fece pesare minimamente il suo aiuto. Anzi, fu lui a diventare un po’ più leggero: “estrasse due denari e li diede all’albergatore …”. Di fatto, chi si prodiga per fare del bene nella società, pecca più di chi tiene le mani in tasca. Una donna che mette al mondo figli, fa più sbagli della velina che passa il suo tempo davanti allo specchio. Forse, la paura di sbagliare ci relega insensibilmente sulla riva degli ebrei per bene di Gerusalemme, e ci impedisce l’amore spoglio del Samaritano. Quando aggiungiamo qualcosa in più all’amore, fosse anche la ricompensa del paradiso, non è più quello del Vangelo. “Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e ne ebbe compassione …”.
Domenica 4 ottobre non c’è la messa delle 11.15 nella Cappellania giapponese di Milano, perché ci rechiamo in pellegrinaggio alle chiesette romaniche nella campagna lodigiana. Raduno alle 9.00 alla stazione ferroviaria di Lambrate (parcheggio orientale) e ritorno alle 17.00. La messa a Muzzano alle ore 11.00 e quindi la polentata con gli amici di Muzzano. Chi può venire, mi contatti.