lettera
Vangelo e Zen
Vangelo secondo Matteo 13, 24/43
La parabola del buon grano e della zizzania – il brano di Vangelo di questa domenica – è attualissimo. Dice la parabola che un signore fece seminare del buon grano nel suo campo, ma ecco con il buon grano spuntò anche la zizzania. Lo stelo della zizzania è molto simile al grano, quindi molto ingannevole. Gli agricoltori, alla infelice scoperta, volevano sradicare la zizzania per garantire solo la crescita del buon grano. Ma il signore del campo li rimproverò: “No, rispose, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura”.
Sui giornali oggi in Italia leggiamo a iosa sentenze assolutistiche. Ciascuno ha tutta la ragione, gli altri tutto il torto. Quasi è impossibile criticare una aspetto sbagliato di una persona senza squalificarla del tutto e in tutto. Certamente la nostra non è la cultura della Via di Mezzo, indicata dal Buddha. Così, facendo di tutte le erbe un fascio, sradichiamo il buon grano insieme con la zizzania. Non solo! Ma anche perdiamo la distinzione fra il buon grano e la zizzania. Questo fenomeno è segno della debolezza del pensiero. Quando il pensiero è debole, l’anima sta rinchiusa nel suo recinto e non passeggia. E’ Agostino che ci ha tramandato la bella espressione: “Il tempo è la passeggiata dell’anima”. Oggi non passeggiamo; piuttosto col computer voliamo virtualmente dove vogliamo, senza però fare un passo. Così, arroccati nella propria posizione, non si accettiamo alcuna critica. Epoca dal pensiero debole.
Il pensiero approfondisce la sua radice passeggiando il tempo, ossia lasciandoci indicare e stimolare dal tempo; e, nel tempo che ci parla, facendo la propria parte come uomini. Per noi il tempo nasce e finisce con la propria nascita e la propria fine. Per noi il tempo chiude; mentre il tempo originariamente è respiro e apertura. Sarebbe inimmaginabile ai nostri giorni iniziare la costruzione del duomo di Milano, che comportò 501 anni di lavoro, non solo senza vedere l’opera finita, ma anche senza la certezza che l’opera sarebbe mai stata finita. Quando l’anima passeggia, non trova pesante attendere la mietitura, perché si muove con il frumento che cresce; anzi, l’attesa distende la mente e apre il cuore, guida alla scoperta di tanti e tanti aspetti che ignoravamo. Invece, l’esordire con delle sentenze che dividono col coltello il bene e il male, chiude la porta a qualsiasi passeggiata. Toglie la voglia di passeggiare.
Il signore del campo descritto nella parabola indica, ovviamente, Dio. Il titolo dell’ultimo testo scritto dal filosofo giapponese Kitaro Yoshida, fondatore della cosiddetta Scuola di Kyoto, è: “La logica del luogo e la visione religiosa del mondo”. Il logica del luogo è la dimensione dell’ampiezza, per cui, camminando, il luogo si fa sempre più ampio e vario. L’esperienza di abitare e camminare il luogo educa l’uomo a scoprire la sua natura di auto superamento continuo, mettendo l’uomo nel bel mezzo della contraddizione di abitare il luogo approfondendo le radici e di camminare oltre. Il filosofo chiama il luogo: Dio. Ossia il seno di Dio in cui si genera la nostra esperienza religiosa, nella morsa della tendenza di consolidare il proprio sé e nella vocazione a superarlo. Dio è il luogo senza luogo. E Dio è la nostra più intima natura, secondo un’altra bella espressione di Agostino.
Occorre attendere la maturità del tempo storico per comprendere i fenomeni che ora avvengono. Compreso il fenomeno del male e del grande male come il terrore, radicandosi nel tempo presente al punto di sentirne tutto il peso e, così, superandolo oltre. Chissà quale valore nel pensiero di Dio ciò che mi tormenta in questo momento. E ciò che mi dà gioia!
Chissà quale senso nei fatti politici che oggi accadono! L’anima che passeggia vede la direzione.