lettera
Vangelo e Zen
Vangelo secondo Giovanni 11,1-57
un brano del Vangelo indicato sopra
“Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella. 2 Maria era quella che aveva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. 3 Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, il tuo amico è malato». 4 All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato». 5 Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro. 6 Quand’ebbe dunque sentito che era malato, si trattenne due giorni nel luogo dove si trovava. 7 Poi, disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». 8 I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». 9 Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; 10 ma se invece uno cammina di notte, inciampa, perché gli manca la luce». 11 Così parlò e poi soggiunse loro: «Il nostro amico Lazzaro s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo». 12 Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se s’è addormentato, guarirà». 13 Gesù parlava della morte di lui, essi invece pensarono che si riferisse al riposo del sonno…”
- alcune riflessioni
Si avvicina la Pasqua, e la liturgia oggi ci annuncia il vangelo della risurrezione di Lazzaro. Abbiamo appena assistito alla morte di decine di migliaia haitiani e cileni sotto le macerie del terremoto: adulti, infanti, anziani, donne gravide, giovani sono stati inesorabilmente soppressi dalle macerie. Che senso ha il fatto che Lazzaro invece, quale amico di Gesù, abbia avuto la fortuna di risorgere? Accostato così, questo vangelo è insignificante. Non è il racconto di un miracolo e di un miracolato; è piuttosto il vangelo che sonda nel profondo del mistero della vita e vi getta un raggio di luce.
La parola più pregna della fede cristiana è “risurrezione”; e la Pasqua è la festa madre di tutte le celebrazioni cristiane. Risurrezione è il bacio dei due opposti che sono la vita e la morte; i due opposti che ciascuno di noi ha nel sangue. Ne è il bacio: quindi li unisce e li feconda. La risurrezione non è il ritorno della vita di prima, come farebbe pensare l’interpretazione del racconto di Lazzaro in chiave miracolistica. Noi risorgiamo quando sperimentiamo che l’onda di questa esistenza è il mare della vita eterna. La risurrezione non è l’esenzione dalla morte: è invece il non morire morendo: “anche se muore”. Siamo inclini è intendere la risurrezione come la vittoria della vita sulla morte: allora sarebbe solo la riparazione di un guasto. La Pasqua è vicina; perché l’uomo d’oggi deve festeggiarla? Ma c’è proprio la risurrezione? Ogni qual volta un terremoto seppellisce migliaia di innocenti, condannandoli a morire per asfissia o per schiacciamento nel buio, isolati da tutti, non può non sgorgare la domanda: ma dov’era Dio? Perché permette che le travi dell’edificio scolastico crollino sugli alunni, sottraendo loro la vita mentre stavano imparando proprio le nozioni della vita?
Gli irrigidimenti delle posizioni politiche, per cui una parte non ha nulla da imparare dall’altra perché sempre ha tutta la ragione dalla sua, e simili atteggiamenti anche nella religione, hanno creato nella nostra Italia un clima di grigia apatia e assuefazione. All’orizzonte non spunta alcuna aurora, non c’è alcun sole nascente; domani sarà la ripetizione di oggi, come oggi l’è di ieri. La posizione geografica della nostra penisola ci fa apprezzare il passaggio delle quattro stagioni; ma il clima sociale e culturale di questo momento storico è molto monotono. Pare, perfino, che proviamo gusto nel dirci che domani sarà come oggi, che tutto continuerà come prima.
L’apertura al cambiamento scaturisce dalla fede. Sì, perché la fede è la certezza che l’oltre il visibile ai nostri occhi è reale; così l’oltre l’udibile alle nostre orecchie, l’oltre l’osabile alle nostre forze. Quell’oltre me, è veramente mio, mi costituisce. Io sono, sì, la parte di me che vedo, che odo, che si muove; ma contemporaneamente io sono la parte di me che non si vede, non si ode, non si muove. Io sono più profondo della mia esperienza; anzi, è proprio la mia esperienza a spingermi oltre la mia esperienza. L’esperienza è una molle che mi rimbalza oltre i suoi confini. Mi rimbalza oltre ciò che conosco, come il piccolo seme ha la potenza di germogliare un albero dall’alto fusto, milioni di volte più grande del seme madre.
In una notte insonne può accadere che la vita ci appaia ormai al termine di un cunicolo senza via d’uscita. Ci sfiora perfino il pensiero che non valga più la pena insistere per andare avanti. Poi, accade qualcosa che ci libera dall’ossessione; allora, all’orizzonte compare un raggio di luce che rimette addosso una nuova voglia di vivere.
Il seme sepolto nella terra a un certo punto cessa di essere seme e inizia a essere germoglio. Quel passaggio avviene nel silenzio; ma avviene realmente. C’è, quindi, un attimo in cui il seme non è più seme, ma non è ancora germoglio. E’ l’attimo del puro nulla, quando la cosa di prima non è più e quella a venire non è ancora. E’ l’attimo della morte di ciò che era prima e della risurrezione in ciò che diviene dopo. Dio è quella forza che conduce il seme a morire nel nulla e il germoglio a spuntare dallo stesso nulla. La risurrezione è un fenomeno naturalissimo, regolatore delle funzioni normali della vita. Asta osservare il respiro: inspirazione, pieno silenzioso, espirazione, vuoto silenzioso; ecc. Ogni respiro è risurrezione: morte – vita, vita – morte.
A Marta che piange la morte prematura del fratello Lazzaro Gesù dice: “Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vive”. Gesù si sente risurrezione e fonte di risurrezione per gli altri. Si sente risurrezione, mentre si offre alla morte. Risorge, “anche se muore”. La risurrezione non è il ritorno alla vecchia forma precedente, ma è l’ingresso nella “novità di vita”, scrive Paolo. Il chicco sepolto nel terreno cessa di essere chicco e rispunta come pianticella. Lo stelo d’erba si affida alla provvidenza del cielo che nell’economia ciclica della vita lo fa nascere, crescere, seccare, morire, trasformarsi in terriccio, riaccogliere un seme, rigermogliare ecc. Anch’io mi affido alla carità del Cristo nella cui provvidenza nel passato non ero nulla di me, poi fui un seme fecondato, un germoglio, un bambino, un adulto, ora un anziano, un giorno sarò ritornato polvere, e tutto questo apparire e scomparire altro non è che la vita eterna di Dio da cui mai fui separato. Paolo scrive: “Nessuno di noi vive per se stesso”. Quando uno giunge a riconoscere se stesso in questo non vivere per se stesso, allora sperimenta la risurrezione. E’ tolto il velo dell’apparenza e assaggia la realtà.
Un invito a non programmare la Pasqua come festa dell’apparenza, fuggendo chissà dove; ma dimorando la nostra ordinarietà festeggiamo la “novità di vita”. Festeggiamo la vita eterna a cui partecipiamo nella carità di Cristo. Cristo, ossia Dio in noi e con noi, è il fermento della nostra risurrezione. Perfino il peccato risorge in grazia. Anzi, proprio il peccato risorge in grazia. Proprio la notte dischiude alla meraviglia della luce. Il superbo non può ancora risorgere.
In questi giorni prima della Pasqua ho dato la disponibilità quotidiana per le confessioni in duomo. La prossima lettera a dopo Pasqua.
ALCUNI APPUNTAMENTI DI RISURREZIONE NELLA NOSTRA CAPPELLANIA
- 28 marzo, domenica delle palme: santa messa a Desio, villa Vangelo e Zen, ore 11,30
- 1 aprile, giovedì santo, ore 18,00 ritiro-meditazione, ore 19.00 lavanda dei piedi e santa messa della cena del Signore; nella chiesa della Cappellania P.zza Duomo 18
- 4 aprile, Pasqua, ore 11.30 santa messa solenne con i battesimi di Toshie e di Ryutaro, nella chiesa della Cappellania, P.zza Duomo 18
p. Luciano Mazzocchi
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Le riflessioni di Padre Luciano a riguardo di questo brano evangelico, nascono dalla purezza di chi conosce la profondità della meditazione Zazen. Queste riflessioni sono (come evidenzia spesso Raimon Panikkar), la parola che nasce dal silenzio.
Invito tutti alla lettura o alla rilettura di questi commenti evangelici dopo una profonda meditazione, e per chi non ne conoscesse alcuna,l’invito è di cercare il rilassamento accompagnato magari da una musica dolce dolce.
Ricordatevi:” la parola vera è quella che nasce dal silenzio”.