Lun 3 Mag 2010 Scritto da Pierinux AGGIUNGI COMMENTO

lettera

Vangelo e Zen

25 aprile 2010

Vangelo secondo Giovanni 15,9-17

9 Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. 10 Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 11 Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. 12 Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati.
13 Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. 14 Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. 15 Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. 16 Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. 17 Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.”
voi siete miei amici … amatevi gli uni gli altri.

In religione si parla sovente di amore, raramente di amicizia. L’amicizia risuona come una parola bella sì, ma alquanto profana, nel senso che dice il rapporto specifico e particolare con qualcuno, mentre l’amore può abbracciare l’universo. Poi, la parola amore mette più in risalto che chi ama è una persona santa, nobile, superiore in confronto con chi è oggetto di tanto amore; mentre la parola amicizia sembra esaurire il suo significato nei rapporti tra pari. L’amore può lasciar intendere che chi ama è il buono, chi è amato è il bisognoso. L’amicizia, invece, ignora il sopra e il sotto.

La parola amicizia – amici è senz’altro rara in religione, anche in quella cristiana non ostante le parole di Gesù del Vangelo di oggi. Se tali parole sono usate, sovente altro non sono che una variante di amore. L’amore assorbe l’amicizia. E la svuota di senso proprio. Amicizia e amore hanno delle sfumature molto differenti e confonderle, oppure assimilarle indiscriminatamente, uccide ciò che è più bello del linguaggio: il profumo o sapore o colorito particolare. L’amicizia e l’amore, pur avendo un fondo comune come gli alberi che tutti hanno le radici nello stesso terreno, maturano frutti molto differenti in sapore, profumo e colorito. Un genitore ama i figli, ma non può essere amico dei figli. Se i genitori vogliono fare gli amici, i figli si ribellano e gli amici se li vanno a trovare fuori, nel posto giusto. I genitori sono padre e madre, non amici. Solo rimanendo così, per i figli sono le due esistenze più preziose della terra; ma se invadono l’ambito dell’amicizia, i figli li ripudiano. Racconto un episodio di cui fui spettatore. Eravamo sul treno regionale da Milano a Parma. Il treno regionale ha quei vagoni senza scompartimento, dove tutti possono sentire ciò uno dice. In sedili contrapposti sedevano due coppie giovani, ciascuna con un bambinetto di 3 o 4 anni. Uno dei due rivolto a suo padre esclamò “Papà, papà …” . L’altro bambinetto guardava stupito e silenzioso, finché anche lui si rivolse a suo padre e gli gridò: “Papà, papà …”. Allora suo padre, con faccia arcigna: “T’ho detto che non mi devi chiamare Papà, ma Luigi (ricordo ancora quel nome), perché io sono il tuo amico Luigi. Capito?”. Il bimbo scoppiò a piangere. L’altro bimbo, invece, già stava giocando allegramente con suo padre! “Papà, papà …!”. Un genitore non può essere l’amico dei suoi figli, ma per loro deve essere padre o madre. L’amicizia non può scaturire come corollario di un altro titolo. Io prete sbaglio se voglio fare l’amico di chi si rivolge a me per la guida spirituale. In questi giorni sentiamo molto parlare di amicizia terribilmente falsa. Pedofilia, parola greca, significa “amico/a dei bambini”. Ugualmente io non posso essere amico dei miei nemici, ma posso pregare per loro mentre nel cuore ribolle l’astio. Posso amarli, ma non essere loro amico.

Davanti all’amicizia, anche l’amore si fa dei riguardi. Sarebbe strano che io mi dichiarassi amico di una persona, allo scopo di correggerla o fosse anche per redimerla dal male. Così posso amarla, ma l’amicizia è un’altra cosa. Gesù ha pronunciato la parola “amici” verso i suoi discepoli solo una volta, qualche ora prima di morire. L’amore verso di loro si era affinato in amicizia. L’avvicinarsi della morte fa setacciare tanti rapporti e lascia vivere solo ciò che è vero. Due sposi si sono amati una vita e hanno amato i figli; alla fine, divenuti inutili anche per i nipoti ormai cresciuti, nella loro solitudine diventano profondi amici. L’amicizia è più fine dell’amore e durante il viaggio terreno, mentre siamo chiamati ad amare tutti compresi i nemici, possiamo avere solo alcuni amici. Sarà nella risurrezione che saremo capaci di amicizia universale. L’amicizia limitata di questa vita terrena ne è come l’assaggio.

Ultimamente è stato pubblicato in lingua italiana il primo testo scritto da un occidentale in lingua cinese (1598). Si tratta del “Discorso sull’amicizia” (交友論) del gesuita Matteo Ricci (1607), Edizioni Quodlibet, Macerata. Dicono i cronisti che davanti al palazzo imperiale a Pechino si era formata una lunga fila di saggi che attendevano il loro turno per accedere a leggere il manoscritto. In quel libro Matteo Ricci narra vari aneddoti che celebrano l’amicizia. e cito alcuni: “Chi ha troppi amici intimi, non ne ha nessuno”. “Metto alla prova e scopro l’amico, che non cambia, nelle mie cose che cambiano”. L’autore afferma che l’amicizia è come il rapporto dei due occhi, orecchi ecc. del nostro volto: mai sovrapposti, sempre a una certa distanza e inseparabili. Aggiunge: “Nell’antica scrittura il carattere “amico” era composto da “due mani” (手+手) delle quali non possiamo fare a meno; il carattere “compagno” era composto da “ala e ala” *(羽), cioè due ali, con le quali soltanto l’uccello può volare. Non sarebbe forse così che gli antichi saggi hanno considerato gli amici?”. Riassumo un altro aneddoto che voglio dedicare in particolare ai nostri capi politici che pretendono l’immunità per governare. Un re aveva un amico saggio e pensò bene invitarlo a vivere nella sua reggia, pensando che essendo amico e saggio gli avrebbe dato buoni consigli e, quando necessario, anche qualche severo rimprovero. Passarono due anni ma l’amico saggio non si fece mai sentire. Allora il re lo licenziò. Pensò, infatti, che se fosse un vero saggio, non poteva non vedere i difetti del re; e se fosse un vero amico non poteva tacerli. Un vero amico saggio è la vera immunità dal ricadere nei propri errori.

Francesco e Chiara erano amici. Dice la storia francescana che l’ultima volta che i due santi si incontrarono alla Porziuncola, rimasero in silenzio per tre ore l’uno seduto vicino all’altra. Non dissero nessuna parola e nemmeno mangiarono ciò che era stato preparato per l’occasione. Quindi, Chiara tornò al convento di San Damiano. E’ proprio dell’amico lo stare vicino; le parole sono superflue. L’amicizia è condivisione di destino. Se mi si chiede cos’è il prete, risponderei che è l’amico di Gesù. Gli sta vicino, partecipando della sua infinita pazienza che redime l’uomo. “Dio nessuno l’ha mai visto” (Gv 1,18), dice il Vangelo. Dio rimane sempre domanda misteriosa, senza risposta se non la fede. Non posso essere amico di Dio, perché in Dio esisto; perché davanti al disastro dei terremoti non so più chi è Dio. Se lo penso onnipotente, mi pare non buono; se lo penso buono, mi pare non onnipotente. Così non lo penso, soltanto vi esisto dentro. Ma l’uomo della croce lo sento amico. Sento di condividere la sua inesauribile pazienza, quando anch’io nel confessionale sento e risento gente che chiede perdono sempre degli stessi peccati, e non smette mai di chiedere perdono. Ha detto che risusciteremo tutti all’ultimo giorno (Gv 6). Quella sua paziente attesa la sento amicissima dentro di me e dentro gli altri. Gli sono amico non perché sono prete. Sono prete perché gli sono amico.

p. Luciano

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