lettera
Vangelo e Zen
Vangelo secondo Matteo capitolo 24,1-31 e secondo Luca capitolo 21, 14-18
1Gesù era uscito dal tempio e andava via. Si avvicinarono a lui i suoi discepoli e gli fecero osservare le costruzioni del tempio. 2 Ma Gesù disse loro: «Vedete tutto questo? Vi assicuro che non rimarrà una sola pietra sull’altra. Tutto sarà distrutto». 3 Quando giunsero al monte degli Ulivi, Gesù si sedette e i suoi discepoli si avvicinarono a lui in disparte e gli chiesero: «Puoi dirci quando avverranno queste cose? E quale sarà il segno del tuo ritorno alla fine di questo mondo?». 4 Gesù rispose: «Fate attenzione e non lasciatevi ingannare da nessuno! 5 Perché molti verranno e cercheranno di ingannare molta gente. Si presenteranno con il mio nome e diranno: “Sono io il Messia!”. 6 Quando sentirete parlare di guerre, vicine o lontane, non abbiate paura: bisogna che ciò avvenga, ma non sarà ancora la fine. 7 I popoli combatteranno l’uno contro l’altro, un regno contro un altro regno. Ci saranno carestie e terremoti in molte regioni. 8 Ma tutto questo sarà come quando cominciano i dolori del parto.
12 Il male sarà tanto diffuso che l’amore di molti si raffredderà. 13 Ma chi persevererà fino alla fine sarà salvo.
Dal Vangelo secondo Luca capitolo 21
14 “Mettetevi bene in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò lingua e sapienza… 18 ma nemmeno un capello del vostro capo perirà. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”.
Con questa domenica (14 dicembre) il rito ambrosiano dà inizio all’Avvento, il periodo che prepara al Natale. Nel rito romano, seguito dalla stra-maggioranza delle comunità cristiane a cui appartengono anche molti amici che ricevono questa mia lettera, l’Avvento comincerà due settimane dopo, dal 28 novembre. Coll’Avvento ha inizio il nuovo anno liturgico; quindi, un nuovo cammino! Conseguentemente il Vangelo di questa domenica (14 novembre) ci fa ascoltare le parole di Gesù che indicano il finire e l’incominciare di ogni cosa. Non c’è il cominciare di qualcosa nuovo se prima non c’è il finire di qualcosa vecchio. Cominciare, maturare, finire! Nascere, crescere, morire! E’ il divenire di cui è intrisa la nostra esistenza e che poneva tante domande già ai filosofi greci. Parmenide diceva che il divenire non ci può essere, perché mentre una mela è acerba non c’è l’essere matura; e quando è matura non c’è più l’essere acerba. Anche Dogen nel Genjokoan afferma la stessa cosa: quando la legna è legna, allora è solo legna! Quando è cenere, allora è solo cenere! Eppure il Buddhismo insegna l’impermanenza di tutto ciò che è, e l’affermazione di Dogen resta per me misteriosa.
Ogni cosa ha nel suo intimo la natura della sua fine. Ma oggi ci si fa forza, anche artificialmente, per sostenere l’illusione contraria. I malati in cura all’ospedale dovrebbero sempre guarire e si fatica ad accettare che, non ostante le cure più attente o forse proprio grazie a tali cure, sia giunto il momento della morte. Il caso Englaro e Welby dimostrano come anche per certi uomini di chiesa la morte rimanga un fenomeno negativo da non accettare. La morte non ci appartiene! Probabilmente la non accettazione cordiale della morte è la prima causa di depressione psichica. Senza la morte non c’è la nascita.
Gesù afferma: “Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”. La religione di Gesù è la Pasqua: ossia, il passaggio. Tutto è passaggio! Quindi ogni tempo è Avvento: è attesa. Ed ogni tempo è anche la fine dell’attesa. Per Gesù l’essere è divenire, al punto che anche Dio non è mai un punto fisso, ma lo sgorgare della fonte (il Padre), lo scorrere del fiume (il Figlio) e, quindi, il rifrangersi nella miriade di goccioline della pioggia che irrora e feconda la terra (lo Spirito).
Nessuno può afferrare Dio, perché Dio non è alcun punto fisso da afferrare. Dio è divenire e ne si coglie la presenza nel flusso del divenire! Giovanni riassume il Vangelo in tre parole: “Dio è amore” (1 Gv 4,8). Amore è la qualità profonda dell’essere che realizza il massimo di se stesso, non avendo mai alcun se stesso in cui dimorare. Una madre è il massimo di se stessa, proprio là dove si percepisce se stessa nel non esistere né vivere per se stessa. E quel non esistere, né vivere per se stessa è la dimora del suo essere se stessa. Così Dio è amore perché in nulla è Dio per la sua gloria; ma è la funzione divina che offre il fondamento a tutte le cose affinché siano, e siano creazione “divina”. Ossia, siano senza alcun sé in cui rinchiudersi, ma veramente se stesse nel non esistere per se stesse. Così la madre Natura testimonia il suo essere creazione divina, proprio attraverso il divenire delle stagioni e l’interconnessione creativa di tutti i suoi fenomeni. Una foglia che, madida di pioggia autunnale, marcisce nel pantano è convergenza della funzionalità cosmica; è a sua volta fonte di convergenza cosmica, per cui, grazie alla foglia che marcisce, le stelle brillano nel cielo.
La concezione di Dio come persona è sembrata una grande scoperta per i Padri della Chiesa che, proclamando così la trascendenza di Dio come persona, intendevano liberare l’uomo greco romano dal pantano del politeismo, in cui ognuno aveva il suo dio che altro non faceva che proteggere gli interessi del suo devoto. Quindi, altro non faceva che consacrare l’uomo nei suoi attaccamenti e schemi. Ma il dio personale e trascendente, nel tempo, è stato ridotto ad essere il dio della propria religione, dei propri dogmi, delle proprie credenze, al punto da vidimare l’inquisizione e la persecuzione religiosa. E’ diventato un dio che ha una dimora fissa. Sembra che l’uomo, immerso nel mare dell’impermanenza, trovi consolazione nel credere che un punto fisso c’è e lo chiama Dio. Del resto Gesù fu condannato a morte, proprio perché aveva contaminata la trascendenza di Dio, proclamandosi figlio di Dio.
L’Avvento è il tempo che ci prepara ad adorare Dio che nasce in una capanna spoglia sotto il cielo stellato. Ci fa ripercorrere il viaggio di Maria e Giuseppe, due giovani sposi che dimoravano la non dimora delle steppose lande del Sud della Palestina. Così simili a noi, uomini moderni, che dimoriamo i sentieri contorti di un progresso che non sappiamo dove ci conduce; ma anche tanto differenti, perché noi, al contrario, presumiamo il diritto di proprietà su questa landa e consumiamo il tempo nel difendere i nostri interessi, anziché nel camminare contemplando le foglie che germogliano in primavera e marciscono in autunno. Ci alletta così tanto la suggestione di possedere, che concepiamo nella mente l’immagine di un dio che a sua volta è possessore della sua divinità, di cui ha l’esclusiva; anzi, che è il garante a conferma della nostra mania di possedere. Concepiamo dio come persona nel senso di un ente esclusivo, appunto perché ci beiamo nell’impressione di essere anche noi, a nostra volta, proprietari esclusivi. Profaniamo l’immagine di Dio persona con il nostro concetto profano di persona. Così il dio, persona esclusiva, è qualcosa di estraneo a noi, che dimora un altrove da noi. E’ onnipotente di una onnipotenza che si nutre della nostra impotenza. E’ onnipotente per se stesso, e non potente in ogni cosa: omni potens. La sua potenza dimora in lui, e non in me. Nei secoli è proliferata la devozione al dio al quale l’uomo demanda la sua salvezza.
“Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”. La potenza che salva è la mia perseveranza. La mia perseveranza è la potenza di Dio. La mia perseveranza è Dio in me che fa la parte di Dio. La mia perseveranza si fa debole se io la declasso dalla sua natura divina. La fede è non declassarsi, anche quando tutto sembra voler declassare.
In un recente viaggio – pellegrinaggio in Giappone, ho ammirato molto la dignità di quel popolo, la compostezza dei suoi comportamenti, la funzionalità delle sue strutture. Ho avuto la forte impressione che a coltivare l’anima giapponese abbia contribuito la loro religiosità che non conosce il dio trascendente a cui rimandare ciò che a ciascuno spetta. I cristiani giapponesi, su quella nobile religiosità, hanno versato il Vangelo: “Dio è amore”.
p.Luciano
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caro luciano!
leggendo il suo commento e il vangelo di questa settimana mi è tornata in mente l’immagine dell’incenso, o della candela, che bruciando produce qualcosa, un profumo o la luce.
non ci rassegnamo mai al fatto che per vivere dobbiamo bruciare qualcosa, c’è di mezzo un sacrificio, una rinuncia, vivere significa in qualche modo accettare di lasciar morire/trasformare qualcosa.. è questo rimane un gran mistero e un bel paradosso…
spesso vogliamo tutto e subito come se ogni cosa ci fosse dovuta… è dura accettare che ogni cosa ha un prezzo “naturale”, fissato dalla vita…
mi tengo questo mistero per questa settimana.
un abbraccio e cerchiamo di vederci (e abbracciarci) prima di Natale!
un abbraccione