Quando Martini parlò di accidia politica
di Aldo Maria Valli | 05 marzo 2011
Un intervento pronunciato nel 1999 che vale la pena di rileggere nel clima di oggi. Compresa una citazione di sant’Ambrogio sul rischio di lasciarsi adulare…
La vicenda Rubygate e dintorni quale sfida comporta per chi partecipa alla politica secondo un’ispirazione cristiana?
Ho pensato di poter dare un contributo rifacendomi a una pagina del cardinale Carlo Maria Martini che risale al 1999. Era la vigilia della festa di sant’Ambrogio e quel giorno, nel tradizionale discorso alla città di Milano (intitolato Coraggio, sono io, non abbiate paura!) l’arcivescovo parlò dell’accidia politica, o pubblica accidia, definendola come l’esatto contrario di quella che la tradizione classica greca e il Nuovo testamento chiamano parresìa, ovvero la libertà di chiamare le cose con il loro nome. “Si tratta – disse il cardinale – di una neutralità appiattita, della paura di valutare oggettivamente le proposte secondo criteri etici, che ha quale conseguenza un decadimento della sapienzialità politica”.
Ecco qua spiegato, in poche righe, un fenomeno al quale abbiamo assistito con grande dolore in questi anni. Da parte di molti, di troppi, dentro la Chiesa c’è stata una mancanza di parresìa. Chierici e laici, politici e intellettuali troppo spesso, pur fregiandosi con ostentazione dell’etichetta di cattolici, sono caduti nell’accidia politica, arrivando a coprire, giustificare, relativizzare. L’espressione più clamorosa sta nello sciagurato commento di monsignor Fisichella alla bestemmia pronunciata da Berlusconi, quando l’alto esponente vaticano invitò a “contestualizzare”. Su questa strada si perde tutto: credibilità, profezia, testimonianza.
“Normalmente – diceva il cardinale Martini in quel discorso di dodici anni fa – lo scadimento etico della politica, in un corpo sano, dovrebbe essere rilevato e punito da un calo di consenso”. Già: normalmente. Se da noi questo non è avvenuto vuol dire che il corpo non era, e non è, sano. Aristotele diceva che il male è destinato a distruggersi da sé, ma oggi non sembra più così. Perché? E’ questo il terreno sul quale i credenti (preferisco usare questa espressione rispetto a quella, troppo abusata e strumentalizzata, di “cattolici”) devono interrogarsi seriamente.
Martini già nel 1999 dava una risposta. Sosteneva che se il degrado etico della politica non viene chiamato con il suo nome e “punito consequenzialmente” (diceva proprio così: punito) ciò avviene a causa della mancanza di un’opinione pubblica degna di questo nome. Laddove questa opinione, questa capacità di elaborazione critica dei dati politici, è debole o non esiste quasi più, la politica è svincolata da ogni limite. Se al posto di una sana opinione pubblica, capace di esprimere una “resistenza condivisa e critica”, la politica trova davanti a sé solo individui, ognuno mosso da interessi particolari, il gioco è fatto: il male può dilagare.
Ecco l’operazione tentata dal berlusconismo: far morire l’opinione pubblica riducendola a massa formata da individui ispirati soltanto da un tornaconto personale. Ed ecco perché il berlusconismo non può tollerare le manifestazioni come quella del 13 febbraio: quel mare di donne, ma anche di uomini, è per il berlusconismo il pericolo mortale, la dimostrazione che, per quanto ci abbia provato a lungo e tenacemente, il mondo di plastica del Silvio’s show non ha ancora soppresso e sostituito del tutto il mondo vero.
Martini diceva che il livello d’allarme lo si raggiunge quando “lo scadimento etico della politica non è neppure più percepito come dannoso per la polis”. Diciamo che il berlusconismo è arrivato a un soffio (stavo per dire un pelo, absit iniuria verbis) da questo traguardo: riuscire a non far percepire più il male come tale. Non c’è riuscito, c’è ancora un margine di manovra, ed è su questo che occorre lavorare.
Cito ancora Martini, veramente profetico: “Non dovremmo più aspettare decadenze dolorose per aprire gli occhi”. Ma i credenti dove sono? Che cosa fanno? Come reagiscono?
Il cardinale invitava a invocare lo Spirito (che per i credenti è l’aiuto, il difensore, l’avvocato, il rappresentante della giustizia). Bisogna invocarlo “perché guidi a mettere le ragioni del consenso al di sopra dell’ansia del consenso”, è perché, là dove lo scoraggiamento si fa strada “scatti un sussulto di profezia pieno di speranza, che faccia aprire gli occhi a quella visione di futuro che in linguaggio filosofico si può chiamare utopia”.
E’ un vero parlare da pastore che guida il suo gregge. E trovo bellissimo il riferimento all’utopia, la meta che va considerata non come irraggiungibile ma come stimolo continuo.
Ma state a sentire che cosa aggiungeva il cardinale. I cattolici, diceva, vanno spesso incontro a un grande rischio, quello di lasciarsi adulare. Lo spiegava già sant’Ambrogio: “Dobbiamo stare attenti a non prestare ascolto a chi ci vuole adulare, perché lasciarsi snervare dall’adulazione non solo non è prova di fortezza, ma anzi di ignavia”. Non è formidabile? Noi sappiamo come Dante sistemò gli ignavi. Poiché in vita non agirono mai in base al principio di bene e di male, limitandosi ad adeguarsi alle convenienze, il poeta li piazza nell’antinferno, una specie di non luogo che non è paradiso, non è purgatorio e non è nemmeno inferno, qualcosa di neutro e incolore, come neutri e incolori furono loro in vita, incapaci di parlare chiaramente e di prendere posizione. Ecco, dice Martini, quando ci viene detto che la posizione dei cattolici in politica deve essere ispirata alla moderazione, io sento puzza di ignavia. E’ vero, c’è certamente una moderazione buona, che si esprime nel rispetto dell’avversario, ma (sentite bene!) “l’elogio della moderazione cattolica, se connesso con la pretesa che essa costituisca solo e sempre la gamba moderata degli schieramenti, diventa una delle adulazioni di cui parlava Ambrogio, mediante la quale coloro che sono interessati all’accidia e ignavia di un gruppo, lo spingono al sonno”.
Mi sembra che ce ne sia a sufficienza per riflettere e discutere. Ma non prima di aver aggiunto che Martini, in quello scritto, esortava i credenti a essere non moderati, ma audaci. Rappresentanti di “una socialità avanzata che non scollega mai la libertà dalla responsabilità verso l’altro”. Meditate gente, meditate.
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