Pentecoste 2011
Oggi, Pentecoste, è la festa più intimamente cristiana delle feste cristiane; ma proprio per questo è gustata solo da chi diviene intimamente cristiano. Molti battezzati la ignorano. La Pentecoste è’ la festa dell’effusione dello Spirito. Tutta la missione di Gesù verte a uno scopo: disporre l’uomo e la creazione tutta all’effusione dello Spirito. Per questo Gesù, portata a termine questa opera di predisposizione, si ritirò per lasciare spazio allo Spirito. Non voleva affatto che i discepoli restassero cristiani attaccati alla sua veste. “Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Paraclito (lo Spirito)” (Gv 16,7), disse all’ultima cena poche ore prima della sua morte. Queste parole di Gesù sono un rimprovero per noi sacerdoti che ci crediamo insostituibili, e anche ai fedeli che forse si attaccano troppo al loro parroco. E’ un rimprovero per tutti quei settori di chiesa dipendenti da un leader carismatico. Forse – così crede il sottoscritto – anche per le solenni beatificazioni o canonizzazioni, quasi a voler trattenere il santo a propria disposizione, mentre la vocazione cristiana non è la devozione ai santi, ma la maturazione alla santità. La “comunione dei santi” è stupenda; ma l’attaccamento ai santi ostacola la gioia della Pentecoste. Senza la partenza del maestro, lo Spirito, ossia il soffio divino che consola e profuma l’esistenza, non si effonde. Un brano che immancabilmente viene letto nella liturgia della Pentecoste, preso dalla lettera di Paolo ai Galati, dice: “Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è legge” (5,22-23).
“Contro queste cose (l’opera dello Spirito) non c’è legge”: questa affermazione di Paolo, al primo ascolto, sembra un inno libertino; eppure è l’inno della Pentecoste, la festa più intimamente cristiana. Nelle sue lettere Paolo parla molto della legge, che egli intende come la contrapposizione alla grazia. Legge è la vita intesa come se non avesse in sé la sua genuinità, ma la dovesse elemosinare da fuori attraverso un codice di mortificazioni, sacrifici e vittime, suppliche, pellegrinaggi a santuari miracolosi: attraverso un codice di leggi, appunto. Ovviamente, se la salvezza viene da fuori, prendono enorme importanza i riti, le gerarchie, l’istituzione. “Per grazia siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo per le opere buone che Dio ha predisposto” (Ef 2,8-9). In questa testimonianza Paolo contrappone le opere fatte secondo la legge e le opere secondo la grazia. Sono le stesse opere, conformi alla morale; eppure sono opposte. Le opere secondo la legge sono mercenarie, mirando al raggiungimento della salvezza pensata come qualcosa da acquistare da fuori con il prezzo, appunto, delle buone opere. Le opere secondo la grazia, invece, germogliano da una qualità interiore: perché “opera sua noi siamo”.
Nel Medioevo in Calabria visse Gioacchino da Fiore, un grande mistico che ebbe una finissima intuizione, troppo fine per essere facilmente compresa sia dai suoi contemporanei come da noi oggi. Gioacchino intravide nella storia il divenire di Dio, evidenziando nell’Antico Testamento l’era del Padre, nella storia della chiesa cristiana l’era del Figlio e nel futuro l’era dello Spirito.
Nell’era del Padre, Dio operò come creatore e come tale fu compreso e venerato. La religione del Padre era fatta di riti, di sacrifici, di osservanza di precetti, di guerre sante, di suppliche. Il Padre è l’Assoluto, l’uomo è la creatura contingente. Il culto dell’era del Padre è la preghiera che l’uomo, pellegrino sulla terra, eleva rivolto verso il cielo. Molti salmi sono preghiere della religione del Padre.
Nell’era del Figlio, Dio pone la sua tenda fra gli uomini. Dio diviene l’Emmanuele, il Dio con noi. L’uomo si sente fratello di Dio, che è il primogenito tra i fratelli. Il rapporto con Dio diventa liturgia, ossia rappresentazione che coinvolge Dio fatto uomo e gli uomini tutti fatti divini. La grazia scorre tra Dio incarnato, il fratello maggiore, e i suoi fratelli minori attraverso i sacramenti. La spiritualità cristiana dell’era del Figlio tende a farsi anima dei comportamenti storici. Gioacchino, morto nel 1202, aveva profetizzato la conclusione dell’età del Figlio nel 1260.
La terza era, quella che Gioacchino percepiva come imminente, è quella dello Spirito. Allora Dio scioglierà la sua forma personale che lo tiene sopra come padre, o presso come figlio di Dio e fratello degli uomini, per permeare l’intimo dell’uomo e della creazione tutta, divenendone l’anima. Sarà l’era che Gesù indica con quelle parole: “è bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Paraclito”. Nell’età dello Spirito l’umanità vivrà di grazia e, attraverso una vita vissuta in un clima di purezza e libertà, porterà frutti squisiti. La qualità dell’era della grazia è la libertà. Il Padre crea, il Figlio redime, lo Spirito santifica.
Proviamo a riversare sul proprio itinerario di vita l’intuizione che Gioacchino ha colto scrutando il divenire della storia. Anch’io – questo io sono io che scrivo e insieme ciascuno di voi che legge – ho percorso l’epoca in cui Dio mi appariva come padre e creatore, e io lo veneravo come figlio e creatura. Nella giovinezza ho cominciato a percepire Dio come l’Emmanuele, il Dio che cammina con me; e abbiamo stretto amicizia. L’ho stimato e seguito come mio fratello maggiore che mi istruisce, mi corregge e mi sostiene. Ho accettato di collaborare con lui diventando suo sacerdote. Ora, sperimento Dio come l’anima divina che mi inabita, quasi un soffio che mi rende leggero, agile e amabile ciò che prima avevo interpretato come sacrificio da offrire al Padre, oppure in seguito come pegno dell’amicizia con il Figlio. Soprattutto gusto la libertà dalla legge, perché la mia libertà s’è purificata e ora vuole senza sbavature, vuole le cose semplici, il puro necessario. Vuole ciò che in questo momento devo. Libertà umana e volontà divina si sono fusi. E’ l’opera del calore dello Spirito.
Anche il voto referendario può nascere dalla religiosità dell’era del Padre, e sarà segnato dalla preoccupazione di non manipolare la creazione di Dio. Può nascere dalla religiosità dell’era del Figlio (Fratello) e sarà segnato dalla preoccupazione della giustizia sociale, perché l’acqua è un bene di tutti e non di qualcuno. Ma può nascere dalla religiosità dell’era dello Spirito, e allora sarà un voto alla bellezza, alla poesia, alla perfetta letizia di Francesco per cui l’uomo, libero, gusta la vita semplice, armonica, naturale.
Termino con l’immagine con cui Edith Stein parlava della Trinità divina. Il Padre è la mano che stringe, il Figlio è la mano che si offre per essere stretta, lo Spirito è il calore che si sprigiona dalla stretta delle due mani. Una santa Pentecoste!
p.Luciano
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