di Enzo Bianchi
in “Jesus” del novembre 2011
In una recente intervista, il card. Carlo Maria Martini, interrogato sulla situazione della chiesa oggi e sulle sue tentazioni più manifeste, ha espresso poche ma significative parole: “Una chiesa che vuole vincere”. Per un cristiano della mia generazione, questa tentazione non è nuova: si può anche dire che siamo cresciuti con quell’anelito nel cuore che ci faceva desiderare una chiesa vincitrice e per questo forte, grande, imponente…
Poi venne un’ora, inaugurata da papa Giovanni ma da tempo in maturazione in molti spazi della vita ecclesiale: il fuoco del vangelo resta infatti sempre vivo nella comunità dei credenti, anche se coperto di cenere. Alcuni profeti e molti cristiani anonimi e santi seppero scoprire la brace, gettare qualche pezzo di legno e… il fuoco riprese ad ardere. La chiesa si rendeva conto della sua povertà e delle sue mancanze, voleva rinnovarsi con un “aggiornamento” che fosse obbediente alla grande tradizione e ai segni dei tempi, scrutati ascoltando l’umanità, la storia con le sue opacità e i suoi faticosi cammini di umanizzazione. La chiesa reimparò ancora una volta che nella debolezza manifesta la grazia di Dio, che nella povertà è arricchita dalla povertà di Cristo, cioè dalla sua presenza, che quando non gode privilegi mondani la chiesa è più libera e più capace di profezia.
Per tutti noi fu una chiamata a una migrazione, a una conversione di sguardi e giudizi. Certo, in questo scoprire la brace e riattizzare il fuoco del vangelo ci fu chi patì scandalo e inciampò, chi non riuscì a sopportare il cambiamento e anche chi, abbagliato, si perse su strade anche generose ma non più munite di fede e di comportamento cristiano.
Ma oggi questa stagione è passata e appaiono le vecchie e, oserei dire, abituali e normali tentazioni delle religioni e dunque delle chiese. Così si dà tanta importanza a iniziative che non vanno certo condannate ma che non andrebbero sopravvalutate: ormai la vita ecclesiale sembra ritmata da “grandi manifestazioni”, “estese adunanze” in cui si cerca di unire numero, identità e potere vincente. In verità, per un cristiano che lascia che il suo sguardo sia formato dal vangelo, non è decisivo che a un raduno ci sia un milione di giovani né il loro numero (sovente accresciuto ad arte, sintomo di un confidare nella grandezza delle cifre) autorizza a dire che hanno ragione o che sono portatori di autentiche ragioni cristiane: proprio la mia generazione ha conosciuto tirannie che radunavano giovani e meno giovani in adunate oceaniche, senza contare che ancora oggi numeri così elevati di giovani li si possono trovare anche ai concerti degli “idoli” della musica.
Perché a noi cristiani di oggi dovrebbe accadere il contrario di quello che è accaduto a Gesù, la cui venuta al mondo è stata riconosciuta da pochi poveri e anziani, e la cui predicazione ha avuto sì folle di ascoltatori alle quali tuttavia egli si rivolgeva chiamandoli pusillus grex, piccolo gregge di pochi discepoli disposti a seguirlo.
Il gusto del numero va di pari passo con la negazione della relazione, del dialogo, del confronto: non si dimentichi che nella celebrazione dei sacramenti – che devono sempre conservare anche la dimensione umanissima della “materia” – un numero eccessivo di partecipanti ne deforma forzatamente la comprensione e la stessa celebrazione. In ogni caso l’identità cristiana non risiede né in grandi raduni né in “eventi” creati a ripetizione, quasi si vivesse con fatica l’ordinarietà e il quotidiano della fede. Dovremmo chiederci senza scetticismo dove sono tanti giovani nella veglia pasquale, dove sono alla notte di Natale, dove sono alla domenica…
L’identità cristiana è un’identità di incarnazione, di umanizzazione, legata quindi all’incontro, alla relazione, all’ascolto reciproco, alla volontà di camminare insieme, riconoscendo non solo l’alterità dell’altro, ma l’alterità che abita ciascuno di noi nello svolgersi del tempo e nel mutamento dei luoghi.
Sì, ciò che deve stupirci è la ripresa del fuoco sotto la cenere, il fuoco del vangelo che è sempre vivo nella comunità cristiana anche se in certe stagioni pare spento. Non temiamo, riprenderà ancora…
Enzo Bianchi
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