Lettera inviata il 26 dic. 2011 da p. Daniele Sarzi a Rosa Maria Cusmai. p. Daniele vive al Shinmeizan, centro cristiano di spiritualità del dialogo, che sorge sulle montagne del Kyushu, Giappone. Subito dopo il disastro tsunami – centrale nucleare p. Daniele si è recato sul posto, collocandosi al margine dell’area dichiarata contaminata e inacessibile, per prestare il suo servizio con altri volontari. Ha scritto questa lettera di getto, con qualche imprecisione grammaticale. Mi sono permesso di correggerne alcune, senza lederne il calore umano. p. Luciano
* * * * * *
Sono appena rientrato da Fukushima, dove abbiamo vissuto nei prefabbricati dei rifugiati e vicino alla costa, nella piccola chiesa rimasta come avamposto fra la terra evacuata e quella incontaminata. Confine, frontiera essa stessa. E tanti volti, storie e fremiti del cuore,soprattutto di sera quando sale di tono un silenzio che glissa persino il vento e indugia sull’imbrunire, come di un giorno che raccoglie gli ultimi raggi, cercando di intuire l’ora dalle meridiane dipinte su quanto resta delle case, talora solo le fondamenta, altre volte solo archi voltati e cumuli di detriti, o pareti intatte con finestre spalancate, vuote, come se non fossero mai state abitate. Sono scene che si imprimono nel cuore come ferite sottocutanee, senza fare rumore, eppure scavano dal di dentro, fino ad implodere in un grido altrettanto silenzioso che sale come incenso e preghiera.
Ho visto demolito il confine del mare, infrante le mura di cinta, ho visto il deserto dove prima c’erano pascoli e campi di riso, rovi; dolore, ma accanto, anzi proprio nel cuore del deserto, la meraviglia di nuovi covoni, un piccolo agnello a cercare il suo posto in un prato di salsedine. Quanti covoni, quanta forza ha la vita capace ancora di germinare, proprio li`. E quale vigore la fede… in quelle spighe pronte a portare ancora frutto, anche se nessuno mai le raccoglierà, come se fossero solo uva acerba. Le autorità hanno ribadito la non contaminazione dei prodotti del suolo, ma in pochi sono disposti a crederci. Arare un terreno che per anni non porterà frutti, o raccogliere frutti che non sazieranno mai la fame di nessuno, se non i fiori del campo e gli uccelli del cielo. E’ un po` vivere come Gesù, che proprio mentre sapeva di essere tradito, proprio allora amò Giuda, disposto a dare la Sua vita per Lui. Quello è il momento in cui dà la vita, in cui “Tutto e` compiuto”… Avviene cosi` anche nella nostra vita, nella vita della Chiesa. Una voragine allora che si riapre nel cuore della speranza, un continuo confine fra vita e morte, una frontiera, come quella a cui ci si può solo avvicinare, dove inizia l’area di evacuazione, una terra desolata. Ma mai come ora quella frontiera e` nostra casa, e` un appello a restare.
Davvero Lui non è mai a corto di meraviglie, ricomincia dalle pietre scartate…. Ho avuto la gioia di celebrare la Messa nella chiesa ricostruita dopo lo tsunami , la più vicina alla centrale… Fra le crepe e le ferite non ho mai visto cattedrale più bella… Ho nel cuore poi costantemente l’immagine di una piccola città rasa al suolo dallo tsunami, il cui nome, Shinchimachi. Significa “Terra nuova”. Vivere lì il Natale, contemplare proprio nel deserto la speranza a cui siamo chiamati, vederla come fiorire, invisibilmente ma profondamente scolpita nel profondo. Quante rovine ho visto in questo anno, insieme ai Fratelli di Madre Teresa, nei volti, nei corpi, nella terra, nei cuori, quanta morte, quanta disperazione e quanto amore, quanta sete in quei silenzi e in quei gridi che sono anche i miei.
Che grazia poter essere proprio qui, aver potuto vivere quest’anno con i fratelli più poveri, ritrovare qui i miei stessi Natali in Gesù, qui fra i piccoli, tutti i fratelli che per diverse ragioni viaggiano ai limiti dell’esistenza. E contemplandoli, e contemplando in essi come Cristo regna, ti senti come naufragare, fino a toccare l’Abisso. Con la loro fragilità infatti, specchio e rivelazione della mia, mi obbligano costantemente a confrontarmi con le cose estreme, con la vita a rischio, metafora di fallimento e di morte. Ma sono anche maestri di fede perché incarnano l’evidenza che tutti noi viviamo solo perché custoditi da altri, che esistiamo solo perché accolti da Qualcuno, qualcuno che, anche se il vaso non è riuscito bene, non butta via l’argilla, ma la rimette sul tornio e la plasma di nuovo, fino a che realizza il suo progetto. E dall’abisso, toccati dalla vita dolente, sembra di sfiorare il cielo di Dio. Dove entreremo solo se saremo prima entrati nella vita di chi soffre, di chi incarna non i nostri sogni, ma le nostre paure e i nostri dolori. Ed e` proprio il luogo dove Gesù sta, nell’ultimo posto, fissando sempre il Suo sguardo sul bene ancora possibile. Che bello pensare come sia anche un bene concreto e l’umiltà della materia a cui Dio ha legato la salvezza, legandola ad un po’ di pane e ad un bicchiere d’acqua, ad un vestito donato, ai passi di una visita. E non avere che quella porzione di poveri e di lacrime come pegno del Regno.. E pensavo…questo sto imparando, e chiedo perdono al Signore per capirlo solo ora…il grido di chi va in cerca solo di briciole, di pane perduto. Dio è più attento alla vita e al dolore dei suoi figli che non alla fede che professano. Non ha la fede dei teologi, ma quella delle madri che soffrono per la carne della loro carne: esse conoscono Dio dal di dentro, lo sentono pulsare nel profondo delle loro piaghe, all’unisono con il loro cuore di madre. E sempre più mi convinco che la missione e` l’uomo, è nell’uomo… E non abbiamo altro da dire e da dare che Cristo, che tanto si rivela fra le ferite e le pieghe dei volti, con tante lacrime rimaste dentro, come a riportarne alla luce la bellezza… Diceva don Primo Mazzolari: “Gesù torna perché si e` legato con il vincolo della carità invincibile al nostro destino, fino a diventare uno di noi. Fino a prendere il posto di ognuno di noi”. A volte penso che ci vuole dell’incoscienza o della disperazione per chiamarlo ancora qui. Chi di noi tornerebbe? Ci sono follie che non si possono commettere che una volta sola, ma il ripeterle, ogni anno, ogni giorno, ogni momento, questa e` la storia di Gesù con ognuno e` fuori dell’uomo. Ecco la luce più chiara, la letizia più sicura del nostro Natale di quest’anno. Una carità che resta fedele a chi non e` più fedele e viene all’appuntamento con la nostra indegnità nel sorriso di un bambino che tutto sa e nulla ricorda , che tutto soffre e di nulla ci incolpa. C’è già qualche cosa di nuovo oggi. Ci sei tu che torni… Nel Suo ritorno è la nostra casa e la nostra missione, la nostra Chiesa e il nostro sogno pieni della stessa incoscienza e disperazione. Nel buio di un grembo dove sta la luce della vita. Lì in quella zona d’ombra che Gesù predilige. In quella zona c’è la sua luce. C’è la sua culla, la sua casa, il suo cenacolo, il suo Getsemani, la sua croce, il suo sepolcro, la sua Chiesa; in quella zona c’è soprattutto il suo amore, la sua resurrezione. Lì dove dire grazie, dove continuare a completare nella carne e nella vita ciò che manca alla passione di amore di Gesù al Suo tormento per la nostra salvezza. Lì poter finalmente pregare in un gemito di somigliare a Gesù, particolarmente nel suo Natale: piccolo, misero, nascosto, ignorato dal mondo, rivelato solo ad un drappello di poveri, i pastori, ma sempre Salvatore del mondo.
Nel Signore poniamo le nostre speranze, ripartendo dalla mangiatoia e dalle fasce per poter imparare da Lui a gemere e a sorridere, a camminare e vivere, a offrire ed amare, a scegliere e accogliere, a benedire e ringraziare… e così stendere, sul fremito di cose e di eventi, il cielo notturno del silenzio… di quella notte a Betlemme per scorgere le stelle e il sorgere di un gemito dal cuore. Le giornate ricominciano ad allungarsi. Un altro Natale, un altro anno e un altro abbraccio…
Con tutto il cuore, Buon Natale!
p. Daniele