lettera
Vangelo e Zen
Carissimi, l’atteso rigore invernale ci sta attenagliando, ma non regala ai nostri bimbi la poesia della neve, almeno qui a Desio. La lettera di questa settimana è un po’ cruda e qualcuno potrebbe ritenerla anche un po’ dissacrante. Ma proprio lì c’è la sua sacralità. Informo anche che il 10 febbraio, venerdì, nella nostra Villa Vangelo e Zen di Desio, ore 20,45, si terrà la serata di apertura di una mostra sul Giappone, patrocinata dai Missionari Saveriani, che durerà fino a giugno. Per l’inaugurazione è stata chiesta al sottoscritto una conferenza su: “Giappone: ricerca dell’armonia nelle tradizioni che diventano cultura”. Insieme con il sottoscritto darà la sua testimonianza anche Anna Casella Paltrinieri, docente di Antropologia culturale. Può essere una bella occasione anche per stare assieme e, chi lo vuole, pernottare per il ritiro del giorno dopo, sabato. Potete avere maggiori informazioni cliccando qui.
Auguri. p. Luciano f
(estratto)
“… Gesù poi ritornò a Nazareth con i genitori e ubbidiva loro volentieri. Sua madre custodiva gelosamente dentro di sé il ricordo di tutti questi fatti. Gesù intanto cresceva, progrediva in sapienza e godeva il favore di Dio e degli uomini…”.
Il calendario ambrosiano dedica l’ultima domenica di gennaio alla “sacra famiglia”. Questa, nell’intenzione del liturgista, è ovviamente la famiglia di Nazareth: Maria, Giuseppe e Gesù. Di quella famiglia i Vangeli ci raccontano pochissimo. L’unico episodio avvenuto prima che Gesù iniziasse la predicazione del Vangelo, ossia nell’arco di 30 anni, è quello raccontato nel Vangelo di oggi: Gesù dodicenne, senza dire nulla ai genitori, rimase a Gerusalemme, suscitando serie preoccupazioni in Maria e Giuseppe. Questi lo sgridano, ma lui non chiede scusa. Maria e Giuseppe non comprendono il suo comportamento. Degli altri 30 anni abbiamo solo un sunto: Maria digeriva le vicende famigliari nel silenzio, e il ragazzo Gesù cresceva, caro al cielo e alla terra. Come tante famiglie di tutti i luoghi della terra.
Oggi la famiglia è luogo per alcuni di sacrifici nella speranza, ma per altri di sacrifici nella disperazione. Molti legami si infrangono. I figli non seguono la tradizione dei genitori. Che ha da dire la “sacra famiglia” alle famiglie odierne? Se guardiamo le oleografie con cui i devoti hanno dipinto la sacra famiglia, con Gesù, Maria e Giuseppe aureolati di luce, sembra dover dire che non hanno niente da dire a famiglie che faticano ad arrivare alla fine del mese; o, peggio, hanno figli abulici o anoressici o drogati in casa, oppure i due genitori fanno solo il dovere burocratico di nutrire i figli, ma fra loro non vivono più l’affetto e nemmeno il rapporto sponsale. Il marito fa il manager a tempo pieno e la moglie fa l’educatrice a tempo pieno: vittime ne sono i colleghi nel primo caso e i figli nel secondo. Dev’essere proprio pesante l’attenzione di una madre che scarica sui figli anche ciò che dovrebbe risolvere nel legame d’affetto col suo sposo.
Abbandoniamo le oleografie devozionali e cerchiamo nei Vangeli l’identità della “sacra famiglia”. Straordinariamente ci ritorna vicina; anzi, vicinissima. In realtà la famiglia di Nazareth, come ce la descrivono i Vangeli, conobbe tribolazioni molto simili alle nostre. Anzitutto in quella casa, oltre Gesù, Maria e Giuseppe, vivevano i fratelli e le sorelle di Gesù, di cui ci parla il Vangelo. Quando Gesù fece la sua prima predica nella sinagoga del suo paese Nazareth, noi ci saremmo aspettati un plauso generale. La gente avrebbe dovuto esclamare: Ce l’aspettavamo questa autorevolezza di Gesù, perché abbiamo ammirato la sua fisionomia umana e quella di sua madre Maria! E’ una famiglia straordinaria! Invece il Vangelo narra che i suoi compaesani si scandalizzarono: “’Donde gli vengono queste cose?… Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?’. E si scandalizzavano di lui…” (Mc 6,1-3). Un giorno tutta questa famigliona (forse Giuseppe era già morto, dato che non viene citato), preoccupata che Gesù avesse perso il senno, andò a prenderlo mentre stava predicando, con l’intenzione di ricondurlo a casa e farlo rinsavire. “Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poché dicevano: ‘E’ fuori di sé’” (Mc 3,21). “Giunsero sua madre e i suoi fratelli, e stando fuori, lo mandarono a chiamare. Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: ‘Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano’” (Mc 3,31-32). Forse questo episodio va collocato all’inizio della predicazione di Gesù e, in parte, è comprensibile come sulle prime quelli di casa non capissero la scelta di Gesù di lasciare sia la famiglia sia il lavoro. Però quell’incomprensione durò a lungo. Fu forse due anni dopo, quando Gesù era ritornato in Galilea, ossia presso Nazareth, “perché i Giudei cercavano di ucciderlo. Si avvicinava intanto la festa dei Giudei, detta delle Capanne, i suoi fratelli gli dissero: ‘Parti di qui e va’ nella Giudea perché anche i tuoi discepoli vedano le opere che tu fai. Nessuno infatti agisce di nascosto…’ Neppure i suoi fratelli infatti credevano in lui” (Gv 7,1-5). In queste righe del Vangelo secondo Giovanni, i fratelli di Gesù, quelli di cui Marco ci ha dato i nomi riportati sopra, non solo non gli credono, ma fanno i cattivi: infatti gli suggeriscono di andare in Giudea, là dove volevano ucciderlo. Sembra quasi che volessero disfarsi di lui. E Maria dov’era? Qui il Vangelo non dice nulla. Era assorta con il suo crepacuore, come tante e tante mamme…
La “sacra famiglia” ci è molto vicina, molto simile. La mistificazione ha svilito il messaggio cristiano, riducendolo a una fiaba: è senz’altro il primo motivo per cui molti si allontanano, non riconoscendo nelle prediche dei preti, nelle liturgie che sembrano recite, nell’anonimato della comunità cristiana, nel fraintendere la fede come soggezione e non come ricerca viva nel pensiero e nella fatica. Gesù fu criticato da quelli di casa: “ Neppure i suoi fratelli infatti credevano in lui” (Gv 7,5). Nell’asperità di quei rapporti crebbe il testimone dell’amore. Di quell’amore che non è sdolcinatura, ma robustezza, sacrificio, aroma.
p. Luciano
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