lettera
Vangelo e Zen
Ho ritardato a scrivere questa lettera non solo per gli impegni concomitanti il congresso delle famiglie, ma anche perché per scrivere qualcosa bisogna avere chiarito dentro di sé qualcosa che valga la pena dire ad altri. A volte ci vuole tempo. Sento d’obbligo, quindi, dire quel qualcosa che mi è chiaro dall’evento “Congresso delle famiglie” che in questi giorni ha coinvolto Milano nei giorni 30 maggio – 3 giugno. Mi sono restano chiari due luoghi di questo evento: la messa di domenica 3 giugno nel Parco Nord (Bresso) presieduta dal papa, e la piccola ma significativa esposizione allestita durante il congresso dalla cappellania giapponese.
Anzitutto un accenno alla messa del 3 giugno presieduta dal papa nel Parco Nord di Bresso. Per l’occasione la stagione ha regalato quel cielo semi nuvoloso che accontenta tanto chi teme il sole quanto chi disdegna la pioggia. L’area era gremita di famiglie. Molti i giovani e bambini. Durante la messa i bambini, figli di italiani e di immigrati, giocavano assieme. I filippini erano circa dieci mila, poi molti venuti dai paesi dell’Est: Polonia, Slovacchia, Croazia, Lituania, Romania. I giapponesi un centinaio. In tutto un milione e oltre. Migliaia di famiglie milanesi hanno dato alloggio gratuito a migliaia di famiglie venute da lontano. Quegli incontri fiato a fiato sono stati la parte più genuina del congresso. Ricordo la marea di gente che domenica mattina si riversava verso il Parco Nord dalla stazione metropolitana di Sesto Rondò. Attraversando un quartiere popolare, dalle finestre e dai balconi gli anziani salutavano i pellegrini, e questi si fermavano per rispondere al saluto e i giovani per esibire una suonatina alla chitarra. Quel clima fu come l’assaggio di ciò che tutti noi sogniamo: l’umanità divenuta una sola famiglia. Il papa, a sua volta, nella predica ha detto una cosa importante. Disse che la famiglia che vive la pace e la concordia deve comunicare con le famiglie che vivono la separazione e la sofferenza: solo così può conoscere la realtà famigliare. Ugualmente la famiglia che soffre deve comunicare con le famiglie che vivono la pace e la concordia: solo così conosce cos’è essere famiglia. Ossia, una sola visione è illusoria, perché l’essere famiglia prima o poi è tutti e due gli aspetti. Ha raccomandato il rapporto orizzontale fra famiglie, come l’ambiente più proprio in cui le famiglie possono crescere. La famiglia che si richiude solo nel rapporto verticale, e trattiene i suoi problemi dentro il recinto della parentela, facendo ritorno alla famiglia d’origine, manca dell’apertura necessaria per trovare le soluzioni. La famiglia non è per il casato, ma per l’universo, per la vita, per l’umanità. Questo messaggio, capito veramente, rivoluziona i nostri criteri di patrimoniale.
Contribuire a fare del mondo una famiglia è il motto anche della mia congregazione missionaria. Nella chiesa cattolica sono varie le esperienze che testimoniano che questa famigliarità universale, vissuta con semplicità e, direi, con allegria, è possibile; anzi, c’è già. E’, appunto, un assaggio di quanto sogniamo.
Anche in questo congresso, come quasi sempre nelle manifestazioni religiose. c’è stata molta zavorra: la zavorra che accompagna le uscite del papa: gendarmi, transenne, salamelecchi. Ultimamente sentiamo parlare della zavorra che c’è in Vaticano; e non può non esserci, perché una struttura fuori posto è essa stessa zavorra. Il papa è il primo fra i discepoli ai quali il maestro disse: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali…” (Mt 10,8-9). Distinguendo ciò che è zavorra, si fa evidente ciò che è autentico. Sogniamo un futuro Congresso delle famiglie a cui il papa partecipa viaggiando su un aereo low cost, e i battimani sono dedicati alle mamme e ai papà che si tirando dietro 3 o 4 o 5 bambini. Per convertirci a quel giorno, dobbiamo amare la sostanza semplice delle cose. Dopo aver battuto le mani alle famiglie, le batteremo senz’altro anche al papa e ai tanti parroci, suore, volontari che dedicano il loro tempo a stare assieme alle famiglie che attraversano le difficoltà, anche se non possono risolvere nulla.
La cappellania giapponese, durante il congresso, ha allestito in due stanze l’esposizione di alcuni oggetti originali che narrano come le famiglie cristiane giapponesi durante la persecuzione di 259 anni (1614-1873), senza la presenza di alcun sacerdote né di alcuna chiesa, hanno custodito la loro libertà interiore. Avere un tesoro spirituale da custodire tiene la famiglia nell’atteggiamento della vigilanza, dell’attesa, dell’apertura verso il cambiamento. Tra questi oggetti, una statuetta di Maria Kannon di cui allego la foto. Kannon è il Buddha misericordioso che viene raffigurato con il volto più femminile che maschile. I cristiani perseguitati trovarono consono rappresentare Maria nella sembianza di Kannon, con l’accorgimento di un piccolo segno che ai cristiani diceva essere Maria, come una crocetta su qualche lembo del vestito. In questo modo eludevano i controlli dell’onnipotente persecuzione dello shogun. Di notte tiravano fuori questi oggetti e pregavano. Così quando il Giappone si aprì ai rapporti internazionali e accolse di nuovo i missionari, si scoprirono decine di migliaia di cristiani nascosti. Una breve spiegazione stava posta presso ogni oggetto da noi esposto. Una signora italiana lesse la spiegazione sulla statuetta di Maria Kannon. Si commosse e rimase a lungo inginocchiata in preghiera. Probabilmente in famiglia starà affrontando difficoltà simili a quelle dei cristiani perseguitati.
Vito Mancuso, verso la fine del suo libro Io e Dio, afferma l’importanza del sentimento in religione e rimprovera ai teologi di enunciare formule religiose inaridite di ragionamenti. Cita Simon Weil: “ Quando leggo il catechismo del Concilio di Trento, mi sembra di non aver nulla in comune con la religione che vi è esposta. Quando leggo il Nuovo Testamento, i mistici, la liturgia, quando vedo celebrare la messa, sento con una specie di certezza che questa fede è la mia” (Lettera a un religioso). Durante la messa presieduta dal papa io seguivo su un grande schermo (uno dei tanti disseminati nel parco). Il regista della ripresa televisiva alternava la scena del papa che presiedeva attorniato dai vescovi e sacerdoti concelebranti, con le tante scene della gente seduta sull’erba del prato. Da una parte noi preti rigidi nei nostri paramenti, dall’altra papà che rincorrevano i bambini e mamme che allattavano i loro piccoli, inframmezzando baci e preghiere. Sentivo molta venerazione verso le famiglie con tre, quattro, cinque figli che popolavano quella assemblea seduta sull’erba. Immaginavo le difficoltà e le perplessità attraversate, senza smarrire mai la convinzione che la vita è un dono che ha l’intima natura della gratuità: un dono che si riceve, un’offerta che si restituisce. Proprio quello che sia nel Vangelo sia nello Zen sempre si predica: la presenza senza attaccamento. Presenza senza attaccamento che può rimanere quella scialba e mesta di un prete o monaco scontento, oppure quella ilare di due sposi che quotidianamente la sera prima di dormire baciano quei bimbi che durante il giorno li hanno consumati. E a quel bacio, si rigenerano. La religione che non rigenera, è morta.
La lettera si fa lunga. Il cenno all’esposizione allestita dalla cappellania giapponese durante il congresso sarà per la prossima volta.
Il 3 giugno nel calendario della chiesa fu la domenica della Trinità. Col sentimento comprendiamo di più che con la sola ragione. Guardando la scena famigliare comprendiamo la vita in modo più immediato e profondo, che se dovessimo studiarla in laboratorio. Comprendiamo che la vita è origine grazie a quell’uomo e a quella donna che sono genitori; comprendiamo che la vita è figlio o figlia in quei bambini che papà tiene stretti per mano e mamma abbraccia al suo seno; comprendiamo che né i genitori né i figli trattengono la vita perché la vita è amore, è Spirito Santo che si effonde. La vita è così e quell’alveo divino in cui la vita scorre, che noi chiamiamo Dio, è padre, figlio e spirito. Padre, figlio e spirito dentro ciascuno di noi. Dio è relazione che plasma e scioglie le esistenze: plasma e scioglie anche il concetto di Dio. Infatti nessuno può dire: Dio eccolo qui! Se lo rinchiude in un aspetto, non è più Dio. Dio è amore. Eppure il pezzo di pane e il calice di vino sono l’Eucaristia: Dio diventato materia e la materia diventata Dio. Perché sia Dio, sia la materia sono dentro l’amore. Giovedì 7 giugno abbiamo celebrato la festa del Corpus Domini.
p.Luciano
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