Alcuni anni fa nel nostro giardino abbiamo trapiantato un alberello di cachi. A questo alberello devo un insegnamento importante che voglio condividere con gli amici, soprattutto con quelli ancora giovani come il nostro alberello.
Al sopraggiungere della primavera, l’alberello di cachi improvvisa una inflorescenza pallida, quasi impercettibile, tanto umile se paragonata a quella vistosa del melo o del ciliegio. Come gli esili fiori cadono, ecco comparire tanti e tanti minuscoli cachi verdi, incoronati da delle alette a forma di stella. Questi piccoli cachi, come perle verdi, trapuntano i rami dell’albero. Nel frattempo anche le foglie si fanno robuste e sfoggiano un verde intenso. Queste fanno la guardia ai minuscoli frutti che di giorno in giorno vanno crescendo. In autunno, a frutti maturi, le foglie decorandosi di venature gialle e rosse faranno ritorno a casa, alla madre terra che le aveva generate. Adesso, invece, sono all’opera, vigorose, imperterrite anche di fronte alla siccità di questi giorni.
Il nostro alberello, dal suo trapianto nel nostro giardino, ha compiuto solo cinque anni ed è ancora adolescente; tuttavia i suoi rami stanno gestendo centinaia di piccoli frutti. Di tutti questi forse solo una decima parte giungerà a maturazione. Ogni giorno l’albero madre ne lascia cadere una decina, forse una ventina. Cadono anche senza che il vento soffi. Sono caduti l’anno scorso, anno di piogge continue. Cadono quest’anno, anno di siccità. L’anno scorso fu la prima volta che constatai il fenomeno, e sulle prime mi prese il timore che l’alberello avrebbe lasciato cadere tutti i suoi frutti, uno dopo l’altro, deludendo la mia attesa. Invece, già l’anno scorso, che fu il primo del suo rendimento, ci maturò tanti succosissimi cachi da saziare la voracità degli abitanti del giardino, degli uccelli in primis e poi degli esseri umani.
Sempre rievocando l’anno scorso, fu una mattina di metà agosto che constatai che l’alberello di cachi all’improvviso non aveva lasciato cadere più alcun piccolo frutto. Osservai quelli che teneva ancora sui rami e vidi che erano tutti di un bel colore verde, come conviene ai frutti ancora acerbi. Mi prese la voglia di contarli: alcune decine. Da allora non ne cadde più nemmeno uno. In ottobre, uno dopo l’altro, si offrirono a deliziare prima gli uccelli e poi anche gli esseri umani.
Come l’anno scorso, anche quest’anno nel mese di luglio il terreno sotto l’alberello si cosparge ogni giorno di minuscoli cachi, staccatisi dal ramo. Alcuni sono verdognoli, altri un po’ ingialliti. Nella mia istintività ne ho addentato uno, dal colore giallo paglia. Disgustosissimo: né acerbo, né dolce. Sapore inqualificabile! Ci voleva anche questa sciocca esperienza per prepararmi ad apprendere la lezione che l’albero madre di cachi intende darmi.
Come l’anno scorso, anche quest’anno un bel giorno l’alberello cesserà di lasciar cadere i piccoli frutti. Sarà quando nella sua sapienza avrà verificato di aver mollato quanto gli è di sovrappiù. Quindi, con tutte le sue forze porterà a maturazione la porzione giusta, quella che corrisponde alle sue energie. In ottobre ci offrirà, a noi esseri umani e agli uccelli, i suoi cachi maturi, panciuti di delizioso nettare.
Ed ora, con parole mie, interpreto la lezione ricevuta dall’alberello madre, che voglio condividere con gli amici, soprattutto con gli amici giovani. La preziosa lezione è questa: liberandosi dal sovrappiù si matura a essere se stessi. La via della libertà non è aggiungersi delle cose, ma è liberarsi dalle cose.
L’alberello, senza rimpianto alcuno, ha restituito alla terra madre la maggior parte dei frutti che aveva concepito sui suoi rami. Tra i frutti concepiti ha riconosciuto quelli meno consistenti, che tendevano a maturare troppo presto, quelli che non ci stavano a maturare pazientemente nel tempo. E li ha lasciati cadere. L’albero stesso aveva percepito che non ce l’avrebbe fatta a maturarli tutti. Quindi li sacrificò, senza rammarico. Eppure, anche loro ci volevano per poter discernere liberamente quali trattenere e quali lasciar cadere. Senza il passaggio del discernimento non matura nulla, ma tutto rimane mediocre, trascinato, pesante. Dopo tutto, i frutti restituiti senza averli maturati sono il grazie dell’albero alla madre terra. Sono anche la prova della signorilità dell’albero, che rimane identico alla sua portata, senza eccedere oltre. Nemmeno se l’albero vicino, forse con alcuni anni in più, sfoggi una produzione maggiore. Restituisce i frutti in sovrappiù, affinché nella grande trasformazione la terra li porti a maturare altrimenti. Non fa così anche il vitellino che ci condivide il latte della mucca madre, per il nostro cappuccino mattutino?
La punta di diamante della lezione è proprio questa: la vera libertà non è quella di ghermire qualcosa in più, ma è quella di sacrificare i tanti qualcosa in più che ci tiriamo dietro. Michelangelo ha scolpito il Davide togliendo, non aggiungendo.
Sì, si diventa liberi e forti spogliandosi. E, meraviglia, spogliandosi ciascuno scopre quel qualcosa che è proprio suo, la sua identità. Nessuno può amare fino in fondo ciò che non gli è intimo. Non si può amare il sovrappiù, perché il sovrappiù sovrasta il proprio vigore, inaridisce la propria radice. Il sovrappiù appiattisce, squalifica. Eppure il sovrappiù ci voleva, per snellire la nostra coscienza a discernere cosa mollare e cosa conservare. Il discernere è la prima libertà, è la prima maturazione.
Oggi è in voga la convivenza. Non pochi giovani vivono assieme, ma trattengono dei dubbi e delle riserve che sono di sovrappiù al loro rapporto. Sono come un albero di cachi che volesse trattenere tutti i frutti dei suoi rami. Non c’è amore se rimane qualcosa di sovrappiù all’amore. Nemmeno c’è libertà, se rimane qualche attaccamento che è di sovrappiù alla libertà.
Due giovani si amino, senza sovrapporre nulla al loro amore. Quando questi dicono il loro “SI’” senza alcuna aggiunta e riserva, davanti a Dio, davanti all’universo, sono l’amore senza riserve. Sono l’amore che matura fino in fondo. Sono l’amore che trasforma le difficoltà in un più profondo amore.
I cachi che maturano al loro delizioso sapore, così apprezzato dagli uccelli e dagli esseri umani, non hanno fretta di maturare prima del tempo. E nemmeno ritardano a maturare al di là del tempo. Sono liberi da ciò che è di sovrappiù. Gli uccelli e gli uomini fanno festa. Armonia cosmica!
Alberello di cachi, grazie per il prezioso insegnamento!
Auguri a Mari (giapponese) e Francesco, a Daniela e Alessandro, a Elena e a Tsukasa (giapponese), a Verusca e Stefano! Sono le quattro coppie che ho la grazia e l’onore di benedire in questi mesi estivi. La gioia del loro amore educa anche me ad amare.
p. Luciano
Cachi è parola giapponese (identica pronuncia come in italiano). L’ideogramma è: 柿. La prima radicale è <albero>, la seconda è <città>. Quindi: l’albero cittadino.
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