“Il più piccolo nel Regno di Dio è più grande”
omelia nell’Eucaristia di addio a Stefano
Roma, Chiesa di San Saturnino, 31 ottobre 2015
Ecco, siamo qui per ringraziare un uomo che tutti noi abbiamo stimato e amato. Siamo qui per affidarlo a quell’oltre che nessuno può descrivere perché è l’oltre, quell’oltre che chiamiamo il cuore di Dio.
Stefano è cresciuto in una terra aspra e contemporaneamente stupenda: la Puglia. E’ cresciuto insieme agli ulivi. Lui coltivatore degli ulivi, ma contemporaneamente lui stesso coltivato dagli ulivi. L’ulivo è forse l’immagine che lo dice più intimamente.
L’ulivo è un albero di piccola statura e il suo tronco è sempre contorto. Cresce in terre aspre, a tu per tu con il sole, con il vento, con la pioggia; e cresce secondo la sua natura: libero! Ma contemporaneamente obbediente e docile, in accordo con la madre natura.
E quell’albero ci dona l’olio. Quell’olio che ci porta tenerezza e insieme fortezza, sapore, salute, profumo, luce. Nell’ulivo c’è l’essenza dell’universo.
E Stefano è cresciuto con gli ulivi, coltivato dagli ulivi. E’ stato lì sia quando il sole batteva, sia quando il vento soffiava, sia nei momenti aridi, sia nelle intemperie. Presente lì, nel campo, contemporaneamente libero, contemporaneamente obbediente alla situazione e al momento. Proprio come gli ulivi.
Ecco una espressione che lui trasse da un articolo sul filosofo Eraclito, apparso sul giornale La Repubblica, e che mi girò come suo saluto:
“non ci sono le acque da una parte e il fiume dall’altra; il fiume è l’acqua che scorre. L’identità è nel cambiamento e non serve postulare l’esistenza di una realtà stabile al di là del nostro mondo; identità e cambiamento, molteplicità e unità coesistono: si appartengono l’un l’altra perché niente esiste da solo. E allora ecco questa propria natura solatìa in ciascuno di noi in rapporto all’universo.”
Così Stefano ha vissuto la vita come esperienza diretta: camminava, e camminando segnava la traccia del suo sentiero. Il sentiero avveniva insieme al suo cammino. Voleva essere presente nelle cose e quando era il momento di gustare voleva gustare, nel momento del dolore assaporava il dolore.
Mi scrisse alcune settimane fa:
“la terapia prevista in un primo momento è stata modificata rendendola decisamente più pesante e l’oncologo – nel prescriverla – mi ha detto che la situazione è seria. D’altra parte non è tanto la morte che mi spaventa – o almeno non mi sembra – quanto il resto di un lungo percorso doloroso per me e per quelli che mi stanno vicini. D’altra parte è un’esperienza del tutto nuova che sto vivendo con grande intensità e come tutte le esperienze forti può essere solo attraversata e non descritta. Può essere grande fonte di arricchimento e di crescita. Un abbraccio.”
Ecco, questo suo essere presente era incontro. Amava l’incontro con le persone. L’incontro con una persona, per lui diventava come le due sponde del sentiero: lui e l’altro le sponde di un comune sentiero.
Fra le tante persone che ha conosciuto e che nel suo cammino gli furono importanti c’è anche un monaco dello Zen, Jiso. E c’è anche il sottoscritto, prete missionario. Ecco quanto mi ha scritto in gennaio, poco prima che il suo male fisico si manifestasse :
“ti sembrerà strano ma non mi è facile dire quello che sto dicendo. L’incontro con te e con Jiso avvenuto nel lontano 1994 è stato indubbiamente l’avvenimento più importante della mia vita spirituale. Non mi ha fatto riabbracciare la chiesa cattolica da cui mi sono sentito e mi sento molto lontano e tanto meno abbracciare il buddismo zen come mio credo; eppure grazie a questo incontro ho accettato serenamente di riconoscere i valori fondamentali del cristianesimo come i valori fondanti del mio vivere quotidiano e la pratica dello zazen, la meditazione zen, come la pratica meditativa e in qualche modo il rito che mi riporta continuamente alla ricerca del mio vero essere.”
Abbiamo ascoltato, or ora, il Vangelo di Gesù. Stefano per me è stato uno stimolo a comprendere le sfumature del Vangelo. Sfumature per la mia disattenzione, ma che invece fanno parte del cuore del Vangelo. Un giorno un giovane si presentò a Gesù e gli chiese: “Maestro buono che devo fare per avere la vita eterna ?” (Mt. 10, 23). Tale domanda a me sembra la più ovvia e la più santa che un giovane possa rivolgere a Gesù. Ma Gesù replicò: “Perché mi chiami buono ? Nessuno è buono se non Dio solo”. Gesù rifiutò energicamente l’appellativo buono rivoltogli dal giovane. Non accettò di essere adulato da chi, con le belle parole, intendeva incensare i propri attaccamenti e nascondere la propria mediocrità. Quel giovane, infatti, se ne andò triste quando Gesù gli disse di lasciare tutto e seguirlo. Possedeva, infatti, molte cose…
Stefano ammirava questa radicale onestà di Gesù. La ammirava, osservandola nella sua pura nudità, senza aggiungervi abbellimenti. La natura divina si cela nel fondo della natura umana, quando la si lascia scaturire come l’acqua dalla roccia.
Stefano amava una espressione di Gesù, di cui diceva; “Questa parola nessun altro maestro di religione l’ha mai detta, è sua, solo sua.” Eccola (Lc 7, 28):
“Il più piccolo nel Regno di Dio è il più grande”
Gesù aveva lodato l’eremita Giovanni Battista come il più grande tra i nati di donna. Grandi sono pure tutti i monaci, tutti gli asceti per la loro scelta radicale. Tuttavia nel regno dei cieli il più piccolo è più grande. I criteri sono capovolti.
Gesù temeva che l’uomo approfitti del Vangelo e lo addomestichi al servizio della sua pretesa di afferrare Dio. “Perché mi chiami buono, nessuno è buono se non Dio solo”. Poco fa è stato proclamato il Salmo della cerva che ha sete di acqua. Stefano aveva sete di verità, ma non voleva accontentarsi di un’acqua alterata, voleva arrivare alla fonte e sapeva che la salita è costosa e aspra.
Mi viene di applicare a Stefano l’espressione di un filosofo della storia, Ernest Bloch (tra l’altro di nascita ebreo): “solo un cristiano può essere un vero ateo e solo un ateo può essere un vero cristiano”. Frase che fa allibire me prete; ma se sto in silenzio, sento quelle parole come un ammonimento soprattutto per me prete, così abitudinario nell’uso del nome di Gesù e delle sue parole. Quante volte la religione, con risposte preconfezionate, è l’ostacolo per aprirsi a Dio, all’infinito! L’assetato che trova la sorgente, lì si ferma, non va oltre mettendo le mani sulla via della sorgente. Non la profana.
Stefano sondò l’infinito dentro il limite dell’esistenza. Il limite di un ulivo con quel tronco contorto dice la disciplina al compendio dell’armonia, della bellezza, dell’ordine. Non solo: dice anche la forza e la violenza che costituisce l’universo. Anche nel Vangelo ora ascoltato Gesù dice : “i violenti se ne impadroniranno”.
Stefano non voleva annacquare la sua sincera ricerca della verità. Preferiva riconoscerla indicibile per non profanarla con frasi di comodo.
L’incontro.
Per lui l’incontro con un’altra persona – come dicevo all’inizio – costituiva come le due sponde del suo sentiero. L’altro diventava l’altra sponda del suo sentiero. Così è stato anche per me e gli dico: Grazie. Partecipava all’Eucaristia che io celebravo e mi diceva:
“condivido il tuo credere, credo perché tu credi”
E io devo dire a lui: Stefano ti ringrazio. Sì, perché attraverso di te io posso dire: condivido la severità del tuo conoscere. La condivido. Il tuo esempio mi ha purificato dallo svendere il Vangelo e la verità.
Ed ora voglio concludere con un brano dell’ultima lettera che mi ha inviato:
“in questi giorni molte sono le emozioni e i pensieri che si accavallano nella mente ma (il pensiero) quello dominante e che più mi commuove – ho spessissimo le lacrime agli occhi – è l’affetto da cui sono circondato. A tutti vorrei dire grazie per tutto quello che mi hanno fatto e a coloro a cui ho fatto del male – in alcuni casi consapevolmente – vorrei chiedere un doppio perdono: il primo per quanto gli ho fatto e il secondo per non aver avuto il coraggio di farlo di persona nel momento in cui mi sono accorto del dolore che provocavo. Nei momenti in cui riesco ad essere tranquillo e con qualche energia, in quei momenti in cui riesco ad avere qualche energia una delle attività che più mi distrae e mi dà consolazione è la trascrizione dei Sabati (un corso di approfondimento spirituale che si è tenuto a Desio presso l’Associazione Vangelo Zen di cui Stefano era socio)…ma nonostante la profondità del pensiero e la grande capacità di cogliere e unire le grandi contraddizioni (si parlava di Cristianesimo e Buddismo) com’è difficile il distacco , l’affrontare il qui ed ora, l’accettare le proprie debolezze, soprattutto avendo di me l’immagine dell’uomo forte che chiede sempre il meno possibile. Eppure affidarsi alle cure della mia dolcissima Marisa, a provare emozioni davvero mai provate prima. Il sentimento dominante – forse mi ripeto – è la gratitudine. Anche in questo momento devo dire grazie alla vita che mi ha dato tanto e che mi permette – senza alcun mio merito particolare – di essere accompagnato nel migliore possibile dei modi in questo frangente che davvero è, per molti aspetti, doloroso…”
Stefano nutrì grande stima verso suo figlio Andrea, al quale pure tutta la nostra stima.
Gesù disse: “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8). Ecco, Stefano mi ha insegnato a fare il prete, a dare i sacramenti, a celebrare l’Eucarestia, a sedermi in meditazione, a correre di qua e di là dove mi chiamano, … mi ha insegnato a fare tutto questo fuori dal vanto perché se qualcosa posso fare è perché tanto ho ricevuto.
In questo non rimanere nulla, ricevere tutto, dare tutto: lì c’è il cammino di fede. Lì c’è ciò che con gli occhi noi non vediamo. Lì c’è il cuore di Dio. Grazie!
p. Luciano
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poesia per Stefano, letta da Cecilia a nome degli amici
“La MORTE non è niente.
Sono solamente passato dall’altra parte:
è come fossi nascosto nella stanza accanto.
Io sono sempre io e tu sei sempre tu.
Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora.
Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare;
parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato.
Non cambiare tono di voce, non assumere un’aria solenne o triste.
Continua a ridere di quello che ci faceva ridere,
di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme.
Prega, sorridi, pensami!
Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima:
pronuncialo senza la minima traccia d’ombra o di tristezza.
La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto:
è la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza.
Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente,
solo perché sono fuori dalla tua vista?
Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo.
Rassicurati, va tutto bene.
Ritroverai il mio cuore, ne ritroverai la tenerezza purificata.
Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami:
il tuo sorriso è la mia pace.”
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