Il mio impegno principale di ogni venerdì è accogliere fratelli e sorelle che chiedono il sacramento del perdono. Ad ogni goccia di grazia che attraverso la mia mediazione è versata sulle ferite di un fratello o di una sorella, percepisco sollievo anche sulle mie inveterate ferite. Il luogo di questa esperienza esistenziale è il Duomo di Milano. Mentre il fratello o la sorella che ha ricevuto il perdono si allontana e un altro o un’altra si avvicina, alzo lo sguardo verso le vetrate da cui la luce del sole casca nello spazio rifratta in molteplici colori. E’ un attimo di riposo e di ringraziamento, come una boccata d’aria fresca che dispone, ad ogni incontro, a piangere con chi piange e a gioire con chi gioisce, senza strascico.
Venerdì scorso un signore di mezza età, dopo aver ricevuto il sacramento del perdono, mi ha chiesto di pregare con lui. “Padre, vengo dalla Sicilia e ho accompagnato a Milano mio figlio per un ultimo esame specialistico”. Mi spiegò che suo figlio, quindicenne, era affetto di una deformazione cardiaca che non gli avrebbe permesso di continuare a vivere. “Padre, ho una buona notizia: dopo tante peripezie ora mio figlio è finalmente il primo nella lista d’attesa in Italia per il trapianto del cuore. Lo possono chiamare da un momento all’altro, quando ci sarà un donatore. E’ urgente. Preghiamo insieme affinché tutto vada bene. Siamo poveri e non potremmo attendere a lungo”.
Affidò le sue mani nelle mie e poi chiuse gli occhi. Dai suoi occhi alcune lacrime silenziose. Mi unii alla sua preghiera. Chiedevo con tutto il cuore, con tutte le forze. Ma non chiedevo nulla. Chiedevo con tutto il cuore, ma non sapevo cosa chiedere.
Il giorno prima, giovedì, di ritorno da Giussano dove avevo tenuto la lezione a una classe dell’Università del tempo libero, mi ero fermato a fare visita al cimitero di Carate dove riposano le ceneri di Rosanna. Di fianco alla foto che la ritrae sorridente, sta quella di Roberto, di cui lei parlava così: “il mio Roberto che adesso vive dentro di me”, anche lui sorridente. Aveva 15 anni quando un tir lo sottrasse al vigore della vita.
Più la preghiera si fa profonda e ampia, e più diventa muta.
Isacco, il giovane universitario che vive con me, quando è il suo turno di guidare la preghiera del mattino, sostituisce l’elenco di suppliche che concludono la lode con il silenzio orante. Le cosiddette preghiere dei fedeli delle celebrazioni eucaristiche, non poche volte lasciano l’impressione di trovarsi al supermercato delle grazie con in mano la lista degli ordini.
“… nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi con gemiti inesprimibili…” (Rom 8, 26). La preghiera è anzitutto l’ascolto del gemito dello Spirito dentro di sé, dentro la storia, dentro il cosmo. La nostra voce ne è il riverbero.
Domenica prossima è la festa dello Spirito che si effuse sulla prima comunità cristiana. «Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui» (Atti degli Apostoli, 1, 14). In tutto erano 120. Cosa chiedevano così assiduamente? Forse non lo sapevano, ma chiedevano con tutte le forze.
Fra loro c’erano gli apostoli, rimasti undici dopo il suicidio di Giuda, che ancora non riuscivano a capire il senso del loro essersi impicciati con quell’uomo. L’ultima volta che lo videro, una settimana prima, gli avevano chiesto: “Signore. È questo il tempo in cui ricostruirai il regno di Israele?” (Atti 1,6). Per loro restava un restauratore politico. Non lo avevano capito non ostante i tre anni trascorsi assieme.
C’erano anche i suoi fratelli, quelli che un giorno, all’esordio della sua predicazione, «uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: E’ fuori di sé» (Mc 3,21). I loro rapporti verso il fratello Gesù non migliorarono, non ostante tanta gente accorresse ad ascoltarlo entusiasta. Erano passati forse due anni e la Pasqua, durante la quale sarebbe stato crocefisso, si avvicinava. Gesù inviò a Gerusalemme i discepoli, ma lui rimase a casa, in Galilea. Sembrava indugiare di fronte al destino che l’attendeva, e allora «i suoi fratelli gli dissero: “Parti di qui e va nella Giudea (Gerusalemme) perché anche i tuoi discepoli vedano le opere che fai. Nessuno infatti agisce di nascosto”. Neppure i suoi fratelli infatti credevano in lui» (Gv 7,3-5).
Discepoli, alcune donne, i fratelli, la madre Maria, in tutto 120 persone, stavano riuniti in preghiera. Cosa chiedevano? Cosa potevano chiedere? Eppure, “tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera”.
Spesso ci troviamo in situazioni in cui non sappiamo cosa chiedere. Non riusciamo a vedere verso dove evolve la storia. Le grazie magiche, le appartenenze a gruppi che detengono il potere, le religioni o sette che promettono la spiegazione su tutto, sono tentazioni forti. Resistere e rimanere nella propria nudità esistenziale, pregando assiduamente! Allora si ode il gemito dello Spirito orante, dentro di sé, dentro la storia, dentro il cosmo.
In quel gemito, l’ultimo respiro e l’ultima preghiera di chi dona il suo cuore per il trapianto. E il vigore ritrovato di chi riceve il dono.
Congiungendo le mani: GRAZIE.
Nascosto da un grosso cespuglio il rododendro del nostro giardino è fiorito.
p. Luciano
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