Vangelo e Zen, 20 febbraio 2017
la pura contingenza, l’humus della libertà
“Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato. Perciò il figlio dell’uomo è signore anche del sabato” (Mc 3,27). Oggi il figlio dell’uomo, signore del sabato, mette al vaglio le tradizioni e le sicurezze religiose. E non le trova più convincenti. E’ la crisi delle religioni.
Nel vuoto della crisi delle religioni l’uomo può irrigidirsi o sciogliersi, incupirsi o purificarsi. L’uomo che invertiva l’ordine indicato dal Vangelo, ossia che faceva del sabato il suo signore e se stesso il suddito del sabato, quell’uomo oggi si trova in un grande smarrimento. E’ la situazione di tanti. Fra costoro, molti perdono la fiducia e tralasciano la pratica religiosa. Diventano indifferenti. Quel che a loro rimane è il semplice coinvolgimento di natura culturale: partecipano alla messa di esequie per un loro amico, possibilmente restando fuori dalla chiesa, oppure in fondo. Al massimo possono ammirare papa Francesco per le sue umanissime espressioni. Al posto della pratica religiosa, seguono la visione gnostica della realtà. In quel gioco di affermare e poi negare, di negare e poi affermare, seguono una loro areligiosa religiosità, che però non riesce a regalare serenità al loro volto.
Molti altri, invece, non potrebbero mai lasciare la pratica religiosa, perché finora hanno vissuto completamente appoggiati su di essa. Quindi recuperano il bagaglio religioso che finora li ha sostenuti e che l’oggi della storia ha messo in crisi, e lo gonfiamo di sicurezze virtuali. Apparizioni, rivelazioni, miracoli, assolutizzazione delle parole della Bibbia, oppure consegna acritica di se stessi a maestri e a movimenti carismatici. Lo stesso avviene anche nella religiosità laica, che si distingue da quella classica solo per il vanto di non pronunciare il nome di Dio, convinti che il semplice non pronunciarlo li renda illuminati. “Vieni da noi e ti insegneremo a vincere”, è il motto di Scientology. E tanti vanno!
Da tempo dalla mia esperienza non riscontravo più vera la nozione di onnipotenza che avevo attribuito a un Dio inteso come ente supremo, separato dalla realtà contingente. Il monaco della via dello Zen, Jiso Forzani, compagno di cammino, mi diede pressapoco questa risposta, che sempre ho ricordato facendola mia: “Onnipotente è dal latino OMNI POTENS – POTENTE IN OGNI COSA. Dio è la potenza che è in ogni cosa. La potenza non lo mette sopra, ma dentro ogni cosa”.
L’uomo, pur negli innumervoli condizionamenti in cui sussiste, conserva in sé una potenza divina che permea la sua contingernza, al punto che non è altro dalla sua contingenza pur essendo divina. Conserva in sé una punta di diamante nascosta nella sua coscienza, la quale lo custodisce libero davanti all’altro uomo, davanti all’universo, e perfino davanti a Dio. Il riconoscimento della libertà dell’uomo manifesta che anche l’assolutezza di Dio ha una soglia. E’ un’assolutezza relativa. Quindi è relazione. La libertà dell’uomo è soglia invalicabile anche per il creatore dell’uomo e di tutto quanto esiste. Dio crea, ma il creare non lo rende possessore della sua opera. Né Dio, né alcunché, assurge a possessore di qualcosa d’altro. L’idea di qualcosa di assoluto, non appartiene all’essere. L’essere che l’uomo dice, è pur sempre un verbo attinto dalla sua contingenza. Nella relazione c’è il confine che è l’inzio di una cosa e il confine che segna la fine. Tra i due confini c’è il vuoto. I confini stessi, scorrendo, sconfinano a seconda delle ere e delle culture. In questo vuoto c’è la libertà. C’è la creatività. C’è l’esserci di Dio, dell’uomo, del cosmo.
Spesso mi trovo a dialogare con amici già fervorosi cultori del sabato, nel caso si tratta della frequentazione alla chiesa, ed ora divenuti profondamente critici. La già declamata assolutezza di Dio non solo non convince più, ma allontana. L’esserci di un ente assoluto, chiamato anche con gli appellativi più commoventi, non incide nel cammino reale degli esseri esistenti. I terremoti, le slavine, e tutte le leggi fisiche comprese quelle che concernano il corpo umano, si sviluppano ignorando qualunque ente assoluto a cui dover chiedere licenza. Si attuano e basta. L’uomo che trovandosi in difficoltà vuole contattare l’ente assoluto, deve mettersi in tensione, deve supplicare anche con le lacrime. Deve mortificarsi. Quando, a volte, la difficoltà si scioglie, allora si dice: E’ avvenuto il miracolo! Ma quando le leggi fisiche proseguono imperterrite il loro percorso distruttivo e non avviene alcun miracolo, e i bambini muoiono soli al buio sotto le macerie, allora si dice che la sciagura è stata volontà di Dio. L’uomo d’oggi ha la netta impressione che la religione sia un continuo racconrsela su. Fu per raccontarsela meglio che i testimoni religiosi sono stati sublimati oltre la loro reale umanità, quasi la loro contingenza fosse un ostacolo al loro valore religioso. Il Vangelo di Marco, il più antico, non mette alcun velo sull’umanità di Gesù e sui suoi pregi e limiti. E’ il Gesù che esercita la sua potenza sanatrice sui malati, ma insieme è il Gesù dal temperamento irruente che maledice un fico che non ha frutti benché non fosse la stagione dei fichi. E’ il Gesù della misericordia, e contemporaneamente è il Gesù che chiama cagnolini i bambini non ebrei. La domenica mattina della risurrezione, nessuno lo vide e le pie donne, prese dalla paura all’annuncio dell’angelo, fuggirono via senza dir niente a nessuno. Quando alcuni cristiani cominciarono a velare l’umanità di Gesù sotto i drappi della divinità, inconsapevolmente diedero inizio all’indebolimento della sua testimonianza; come quando altri celarono la sua divinità sotto i cenci della contingenza. La vera fede non profana né la divinità e nemmeno la contingenza, perché alla contingenza non c’è che un unico modo per essere autentica: essere contingente. Quindi libera.
A me quel Gesù senza veli posticci è quello che tutt’oggi mi parla. Mi parla dell’assoluto, di Dio. Sì, perché non mi costringe a uscire dalla mia umanità per raffigurarmi un assoluto che poi finirei per adorare come il vero assoluto, dimenticando che invece è solo una proiezione della fede di un essere umano che, con la misura umana, non può che parlare dell’assoluto in modo relativo. Ma è proprio questa fede che riscalda la mia vita. Infatti, mi rende consapevole che la fede è veramente mia e Gesù, se lo incontrassi, mi potrebbe dire: “La tua fede ti ha salvato. Va in pace”.
Credo nel paradiso, non perché la mia mente capisce, ma perché il mio cuore, la punta di diamante nascosta nella mia coscienza, ostinatamente persiste a credere. Persiste perché, davanti a un bambino trucidato da una bomba o distrutto dalla fame, non riesce a rassegnarsi a che ciò sia solo un destino così, e basta. Credo che c’è un dimensione reale in cui il più piccolo sarà il più grande. Credo nel regno di Dio. Credo quindi in Dio, senza vederlo. Non vedo nulla, ma credo secondo la misura umana che delimita l’interno che posso vedere e l’oltre che non posso vedere. La fede rimane povera, ma è potente, perché sono proprio io peccatore a credere. Omni potens.
Venerdì 17 sera, in questa nostra casa Vangelo e Zen, decine di musulmani, cristiani e Mutsue, buddista, si sono riuniti per pregare assieme. Il canto del sutra buddista elevato da Mutsue ha commosso cristiani e musulmani. La contingenza dell’uomo e l’assolutezza di Dio sono vere assieme. Si rendono vere reciprocamente. Oppure assieme sono giochi virtuali.
Sabato 18 sera ho partecipato presso la Casa della Musica di Desio alla proiezione della Traviata di Verdi eseguita anni or sono, facente la parte di Violetta la soprano Anna Moffo. L’umanissima religiosità di una cortigiana, la Traviata, e la vacua nobiltà dei tanti personaggi attorno!
p. Luciano
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