un angolo di Giappone in Milano
Dal 6 ottobre 1977 in Milano c’è un angolo di Giappone. E’ POPOROYA, il Ristorante di Piazza del Popolo. Il ristoratore di Poporoya è Shiro. Così tutti lo chiamano, anche se il suo nome proprio è altro. A seconda degli ideogrammi con cui lo si scrive, Shiro potrebbe voler dire Bianco, oppure Castello, oppure Quarto figlio.
Shiro arrivò a Roma nel 1972, dove con la moglie Mariko si mise ad avvolgere sottili fette di pesce crudo su rotoli di riso cotto. Sulle prime lavorò come cuoco garzone presso un ristorante sito in una viuzza adiacente a Piazza del Popolo a Roma. Annesso al ristorante anche un piccolo negozio di generi alimentari giapponesi. Nel lontano 1585 Piazza del Popolo aveva accolto i primi quattro giovani giapponesi venuti a Roma per fare visita a papa Gregorio XIII, il papa che riformò il calendario che fu poi detto gregoriano. Nel 1972 nei pressi della stessa piazza nacque anche il primo ristorante di sushi d’Italia.
Nel 1977 Shirò lasciò Roma per portare il sapore dei sushi a Milano. Il 6 ottobre dello stesso anno aprì il primo ristorante sushi di Milano e, evocando Piazza del Popolo che aveva accolto i primi giapponesi e il primo bar sushi in Italia, lo chiamò Poporoya, il Ristorante di Piazza del Popolo. I milanesi si affezzionarono ai sapori giapponesi e nell’ultimo decennio i ristoranti o bar di sushi crebbero come i funghi. Molti italiani e cinesi si improvvisarono ristoratori di piatti giapponesi, ovviamente a scapito di un calo di qualità. Per proteggere i sapori originari Shiro fondò l’AIRG: Associazione Italiana Ristoratori Giapponesi, di cui tuttora è presidente.
Shiro ha il suo motto di vita: Itsumo egao de, itsumo sunao ni ・ いつも笑顔で、いつも素直に。Alquanto prafrasando si può tradurre: Sempre con il sorriso sul volto, sempre con l’umiltà nel cuore. Molti di quelli che frequentano Poporoya hanno affidato ad Internet le loro impressioni. A parte una qualche impressione non entusiata, quasi tutti narrono lo stupore di aver incontrato in Centro Milano un angolo del Giappone sorridente e umile, che forse a Tokyo è diventato raro. Riporto alcune impressioni1:
“Occorre venire con pazienza…L’ambiente è piccolo e i tavoli altrettanto. Il personale é unico. Si lascia il nome e si viene chiamati da una voce ….che urla il tuo nome come se fosse un tenore. Pittoresco ma piacevole. Cibo eccellente. Solo chi é stato in Giappone può apprezzare… “
“Appena si accede a questo piccolo locale sembra davvero di essere in Giappone. Se si vuole fare un tuffo in Giappone accompagnati dal mitico Shiro, questo è il posto giusto”.
“Che dire…Shiro ormai è una certezza a Milano, e prepara un cirashi stellare! Adoro magiare in questo localino piccolo e caratteristico, sembra di essere in Giappone! E’ sempre affollato, ma il servizio è rapido e loro sono bravissimi a gestire l’attesa…”
“Ormai famoso in tutta la città è il caro vecchio Shiro. Esperto chef di sushi che senza troppe pretese e con la coda sempre fuori è in grado di servire piatti tradizionali giapponesi come se foste oltre oceano”.
Nel bel mezzo del fenomeno dell’immigrazione che scuote gli schemi tradizionali del vivere sociale, da più parti si evoca l’integrazione come la via più celere e sicura per ricostruire una nuova pacifica convivenza. Anch’io ho pensato così, ma da tempo nutro sempre più dubbi sul concetto di integrazione come comunemente si intende con quella parola. Temo che l’integrazione si riduca nell’assorbimento dei valori umani portati dai gruppi etnici venuti da fuori dentro le massiccie tradizioni locali. L’integrazione dei valori umani può avvenire solo nel tempo, senza artificiali adeguamenti, guidata da quello spirito che è all’origine del nascere di ogni valore culturale e religioso. Credo che questo dovrebbe essere anche il clima nelle scuole che accolgono alunni di varie provenienze culturali: il clima del rispetto e della libertà. In questo clima, il 6 ottobre 2017 centinaia di milanesi, assidui ospiti di Poporoya, si sono radunati davanti ai due ristoranti che Shiro gestisce in una grande via di Milano per festeggiare i quarant’anni dell’apertura di Poporoya. Le differenze in festa!
Conobbi Minoru Hirazawa, da tutti chiamato Shiro, quando mi chiese di celebrare il rito funebre della sua sposa che un tumore aveva portato via nell’arco di due mesi. In una chiesa gremita di giapponesi, forse buddisti, forse shintoisti o forse non appartenenti a nessuna organizzazione religiosa, ho pregato il riposo eterno per Mariko. Non aveva ricevuto il rito del battesimo, ma quello della vita dedicata alla fraternità umana. Tre anni dopo Hirazawa Minoru mi chiese il rito del battesimo cristiano. Il nome di battesimo: Pietro, il pescatore.
Hirazawa Minoru, da tutti chiamato Shiro e al battesimo anche Pietro, è rimasto giapponese come i tanti giapponesi che quotidianamente si dedicano all’impegno della vita. Itsumo egao de, itsumo sunao ni – Sempre con il sorriso sul volto, sempre con l’umiltà nel cuore.
Grazie a Shiro, in Milano c’è un angolo giapponese. Milano è più bella.
Foto di Isacco, alla festa dei 40 anni di Poporoya
Pubblico questa lettera e foto con il benevolo assenso di Shiro che a tutti invia il suo ARIGATŌ. p. Luciano