… una gioia e una serenità infinita, con immenso amore…
Il 30 gennaio mi recai a Trento per significare la mia vicinanza ad Alberto, un amico che 8 giorni prima era stato privato della compagnia della sua sposa Giusi, madre di quattro figli.
“Giusi ha voluto morire nella sua casa, convinta che la morte è un momento fondamentale della vita. Ancora due giorni prima di morire ha voluto alzarsi e prendere posto a tavola con noi. I suoi quattro figli a servire la loro mamma che li aveva serviti alla stessa tavola per anni e anni”, con parole simili Alberto mi ha spiegato perché nella sua casa tutto era rimasto normale e sereno anche se da una settimana Giusi, la sua sposa e madre dei suoi quattro figli, non era più lì a dispensare normalità e serenità. Solo una sua foto tra le altre, su una mensola. Eppure così presente, nella normalità!
Giusi e Alberto avevano inaugurato la loro comunione matrimoniale con alcuni anni di servizio volontario in Etiopia. Su quell’altopiano africano divennero genitori. Rientrati ai piedi delle Dolomiti, la terra natia, portarono con sé le steppe dell’Africa. Normalità nel clima umido come in quello arido. Il 27 dicembre mamma Giusi scrisse a penna una lettera ai figli. “Ricordatevi di vivere nel PRESENTE. QUI e ORA”. Sul passato “non serve rimuginare, piangersi addosso”. Sul futuro “… pensarci troppo può essere origine solo di paure… C’è Dio che in ogni momento ci accompagna, che è dentro di noi… Quindi è ORA la Vita”. Chiudendo la lettera: “Vivete ORA pentendovi ABBRACCIATI, AVVOLTI, COCCOLATI dall’amore di Dio e questo vi porterà una gioia e una serenità infinita. Con immenso amore, mamma Giusi”. Il primogenito lesse la lettera della mamma alla fine della celebrazione eucaristica del funerale. Per l’immaginetta ricordo, Alberto e i figli hanno scelto l’ultimo acquerello di Giusi, dipinto nello scorso autunno: Fiori a fine stagione, chinando il capo…
Giusi e Alberto con la loro roulotte avevano sostato un periodo a Desio per praticare il silenzio sedendo in Zazen e per ascoltare in piedi l’appello del Vangelo. La serena normalità di Giusi davanti alla sua morte, e quella di Alberto di fronte alla privazione della sua sposa, e la calma composta dei figli alla perdita della loro mamma, questa serena normalità è il frutto del silenzio e della parola praticati costantemente con cuore libero: ossia senza mai identificarsi in una parte, né nell’altra, come l’inspirazione e l’espirazione nel respiro, o come l’una e ‘altra sponda dell’alveo in cui scorre il ruscello. Non c’è nulla di assoluto, né di autosufficiente. Così in tutti gli ambiti della vita: nell’attività lavorativa, nella conoscenza, nella religione, nella morale. L’uomo, anche quando parla del trascendente o dell’assoluto, attinge queste parole dal pozzo della sua esperienza esistenziale e queste, ovviamente, sono madide di esistenzialità. Anche quando dice: Dio, dice la sua esperienza di quanto chiama: Dio. Anche quando parla di risveglio nel nirvana, parla della sua esistenziale esperienza del risveglio nel nirvana. Una espressione popolare dice: Nessuno, nemmeno il velocissimo Achille, può correre così veloce da oltrepassare la sua ombra. Anche l’alta velocità tecnologica del Freccia Rossa è pur sempre esistenziale.
Giusi ha accolto la morte a 56 anni lasciando al marito e ai figli l’eredità più preziosa: una gioia e una serenità infinita, con immenso amore… chinando il capo. Giusi ha chinato il capo con semplicità e calore, come il fiore in autunno al sopraggiungere dell’inverno. Per chinare il capo con semplicità e bellezza al sopraggiungere dell’inverno, basta essere un fiore vero. Un fiore di plastica non lo può. Giusi, Grazie!
Un Grazie anche al cantautore tarantino del Festival di San Remo. Da Repubblica dell’8 febbraio scorso riporto le parole di Antonio Diodato dopo la vittoria al Festival: “Questo successo lo dedico a quel bambino chiuso dentro una stanza che aveva paura di uscire” prosegue l’artista, “e in questo momento sento che non ho paura perché sono arrivato qui continuando a essere me stesso. Arrivo a questo successo dopo tantissimi anni di gavetta, di batoste pesantissime, ma ho imparato anche a sorridere a queste cose, per questo il mio album si chiama Una vita meravigliosa, perché dai dolori possono nascere tante cose”.
Grazie anche a chi, con pazienza, ha sostato a leggere questa lettera.
p. Luciano
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