slanci e colpi di coda
4 maggio: la primavera arride a questo primo giorno in cui le disposizioni governative permettono, con le dovute cautele, una passeggiata oltre i 200 metri dalla propria abitazione. 500 metri circa di passi e anch’io sono nel Parco Sempione. La maggior parte delle persone porta la mascherina su naso e bocca, anche i bambini. Prevale il rispetto e l’atmosfera è piacevole. Tutto così? No! Alcuni, forse trentenni, ossia non più giovani e non ancora adulti, sfrecciano puntando il naso scoperto verso un loro futuro. Dove?
7 maggio: una giovane coppia è accorsa al vicino ospedale, perché la loro prima creaturina bussa per venire al mondo. A controllo effettuato, la futura mamma è diagnosticata positiva asintomatica. Il futuro papà viene allontanato e la partoriente trasferita altrove. 8 maggio: una nuova vita sanissima è germogliata nell’ospedale degli infettivi. Benvenuta! Mamma e papà, auguri! Due anni fa’ avevo avuto la gioia di benedire e confermare il loro Sì davanti a Dio e all’umanità. Il papà mi telefonò la lieta notizia: “Non posso vederla, ma la sogno anche di giorno. E’ bellissima!”.
10 maggio, oggi: passeggiata a Piazza Aulenti e Parco pubblico. Vedi foto.
Nelle prime settimane dell’epidemia la testimonianza eroica di medici, infermiere, volontari, militari e anche sacerdoti sembrava aver convinto un po’ tutti a sognare un cambiamento non solo di stile, ma di un’anima nuova della vita. Tutti abbiamo parlato di solidarietà, di rispetto, di valori culturali e religiosi che animeranno il futuro. Da un balcone all’altro ci si scambiava il saluto del: “Ce la faremo!”. Parole sacrosante, sì, ma probabilmente le abbiamo pronunciate troppo in fretta, alla leggera. Passò un mese e, mentre il virus ha dato segni di ritirata, al diminuire del grado di paura per un nemico comune, il linguaggio ha perso vigore, calore e anche decoro. A testimonianza che la consonanza causata dalla comune paura non significa nulla in più che in quella situazione tutti abbiamo avuto paura, ma non dice ancora la volontà di cambiamento.
Molti pensano che il cambiamento parta dal proprio cuore. Questo è oggi il più grande tranello che insidia il nostro futuro. Per il cambiamento bisogna aprire le finestre e cambiare aria. Dal cambiare aria, il nostro sangue benfica di nuovo ossigeno, quindi di un maggiore coraggio. Altrimenti, respirando la nostra aria stantia, anche le parole sul cambiamento che diciamo rimangono infette di psichismo stantio, partitico, culturale, religioso, economico. Se un virus ostruisce la respirazione, il cuore cessa di battere. Goccioline che galleggiano per aria, senza un reale senso, o dal doppio senso, o con senso sottinteso, alla deriva del vento, goccioline infette che, respirate, non bloccano il cuore ma la circolazione dell’ossigeno che tiene vivo il cuore.
Due presidenti di regione, estremo Sud ed estremo Nord, dichiarano catastrofico il rimando di un’altra settimana per l’apertura dei bar, per cui si sentono autorizzati a disattendere alle norme governative e alla raccomandazione alla prudenza da parte dei medici. Calabresi che vanno in fallimento per la chiusura di due settimane dei bar? E’ difficile ammetterlo. Conoscendo la bontà e la generosità di alcuni calabresi, penso che sarebbero, più contenti per un senso di solidarietà, attendere e aprire i loro bar insieme con i baristi lombardi. Anni fa, nell’omelia che tenevo nella chiesa della cappellania giapponese (Piazza Duomo, 18), come esempio delle cose semplici che, se amate, portano più gioia che le cose che costano molto, parlai dei pomodori secchi sott’olio che si mangiano in Calabria dove avevo vissuto due anni. Un mese dopo nella stessa chiesa, dopo la messa, si presentò un signora: “Vengo da Reggio Calabria e le ho portato quattro vasetti di pomodori secchi sott’olio. Un mese fa ho condotto mia figlia all’Humanitas per l’operazione alla mammella e la domenica sono venuto a messa qui e lei ha lodato i pomodori secchi calabresi. Oggi sono venuta per riaccompagnare a casa mia figlia e le ho portato questi vasetti. Alla fine aggiunse: “L’altro mio figlio lavora a Brescia. Noi della Calabria dobbiamo tanto alla Lombardia. Grazie.”
Un monaco giapponese errante di nome Ippen (anno 1100 circa quando a Bingen Ildegarda e le sue giovani monache preparavano tante ricette semplici e ottime come i calabresi pomodori secchi sott’olio) rimproverò un confratello che aveva detto: il cuore è più importante della forma. Ippen redarguì con una frase che è stata trasmessa nei secoli. Vale la pena ascoltarla nella lingua originale: “Kokoro yori kokoro wo en to kokoro-mite, kokoro ni mayou kokoro nari keri” (心より心を得と心得て、心に迷う心なりけり)。Kokoro(心)significa cuore. Traduzione italiana alquanto ampliata per la comprensione: se cerchi di ottenere il tuo cuore nuovo dal/col tuo cuore vecchio, nel cuore nuovo che ottieni c’è ancora il tuo cuore vecchio, ancora più smarrito perché lo chiami nuovo. Senza uscire dal proprio cuore infettato: da sentimenti, abitudini, partiti, religioni, culture… pur procedendo da un’abitudine sacrosanta ad un’altra pure sacrosanta, alla fine ti ritrovi sempre con il solito cuore infettato da cui non ti sei mai allontanato. Le nostre madri dicevano: se ti pulisci con le mani sporche, ti sporchi di più.
Il cuore non può guarire se stesso. Occorre qualcosa dall’esterno che lo scrolli affinché la ruggine dello psichismo si stacchi e il cuore ritrovi la sua pura natura, la quale è dinamica e quindi sempre in vitale cambiamento. Gesù disse: “Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,21). Il cardinal Martini tradusse l’affermazione di Gesù in questa espressione: “Propter veritatem, adversa diligere” (Per la verità, amare le contrarietà).
Amare quindi il coronavirus? Sì, perché oggi, qui, il coronavirus è il reale presente. Amare la sfida che ci porta la visita del virus. Ossia: senza fuggire pronti alla sfida. Altrimenti sarebbe come una partita di calcio con una squadra sola, ovviamente quella del proprio cuore. La vittoria: più sicura di così?
Chi oggi fa il bullo e non obbedisce all’accorato appello dei medici, infermiere, volontari, sacerdoti ecc. che hanno dato la vita o la stanno mettendo a repentaglio tuttoggi per la salvaguardia della nostra, non sa stare in piedi di fronte al presente. Nel suo cuore scorre sangue stantio.
Molti impresari e lavoratori si trovano di fronte alla sfida di fallimenti finanziari.
Ma io che posso farci? Sì, puoi! Con il tuo comportamento puoi significare che ti stanno a cuore. Non occorre dire parole; basta starci. Se ci stai, momento pe momento ti si apre il sentiero per il tuo contributo.
Nell’ospedale degli infettivi è nata una bambina sanissima. Il vagito del futuro! p. Luciano
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