In questi giorni tutti abbiamo conosciuto la preziosità del proprio corpo. A volte abbiamo conosciuto anche l’angoscia per la sua immunità.
In questi giorni molti uomini e donne hanno continuato a svolgere la loro missione al servizio della salute di sorelle e fratelli contagiati dal virus, per ore e per ore, con il volto e le mani imprigionate in guanti e maschere di noiosi materiali plastici.
In questi giorni i bambini non hanno potuto giocare nel parco, gli adolescenti non hanno potuto fare chiasso nelle strade, i giovani non hanno potuto scambiarsi l’appuntamento per una serata in pizzeria, gli adulti non hanno potuto andare al lavoro, i preti non hanno potuto predicare dall’ambone della chiesa, gli anziani non hanno potuto fare ancora i giovani passeggiando sui marciapiedi delle vie cittadine.
In questi giorni il nostro corpo non ha potuto fare scena sul palco delle abitudini scontate, davanti agli spettatori pure scontati. Senza applausi, senza fischi, si è trovato solo davanti a se stesso. Nudo, spogliato dai suoi vestiti consueti.
Gesù morì nudo sulla croce. I suoi piedi non camminavano più, le sue mani non benedicevano più, il suo respiro soffocato dalla tensione provocata dalla sua stessa gravità non emetteva più l’alito dello Spirito. “Ehi, tu che distruggi il tempio e lo riedifichi in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce… Ha salvato gli altri e non può salvare se stesso…” (Mc 15,29-32).
Gli apostoli non avevano compreso all’ultima cena quanto disse loro: “Questo è il mio corpo dato… questo è il mio sangue versato…”.
Lo Spirito lo si riceve, ma il corpo lo si mangia. “Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio corpo dato in sacrificio per voi…”.
Un uomo e una donna si offrono reciprocamente il loro corpo e in quella unione i loro corpi si santificano nella maternità e nella paternità. Nel darsi, ogni corpo vivente è santificato nel Cristo. Non è più possesso individuale, diviene ostia consacrata.
Abbiamo tutti, fedeli laici e sacerdoti, celebrato messa in questi giorni. Abbiamo sperimentato che il nostro corpo non è patrimonio individuale, ma è capolavoro della creazione divina, è ostia con le mani e i piedi feriti dalle lotte della storia, è le lacrime della prostituta che lava i piedi di Gesù, è il volto risuscitato che alita lo Spirito. Siamo il Cristo!
Ricordo Rosanna all’hospice di Carate, alcuni giorni prima della sua morte: “Padre Luciano, quel filamento d’amianto è meglio che l’abbia respirato io che sono vecchia, altrimenti poteva respirarlo un bambino!”. Rosanna, amante delle montagne, morì a 82 anni per il tumore d’amianto.
Morendo, il corpo dato in sacrificio risorge nel Cristo.
Domani è la Festa del Corpo del Signore: il corpo di Gesù, di Maria, degli operatori sanitari martiri della loro professione, dei caduti sul lavoro, degli immigrati risucchiati nelle onde del mare, delle donne umiliate dagli strpratori, dei missionari che scelgono di rimanere dove sono stati inviati anche quando per la oro incolumità vengono esortati dalle autorità governative a fare ritorno in patria. Il proprio corpo non ha patria alcuna, è patrimonio dell’universo, è sacramento del Regno di Dio che è giustizia, pace e gioia nello Spirito.
Onore a te Giulio Regeni. Comprendo il desiderio dei tuoi genitori di conoscere la trama della tua via della croce. Anch’io me lo auguro. Tuttavia anche non avvenisse mai, il tuo esempio è completo nel suo sacrificio, come è quello dei tanti giovani come te che non hanno potuto approdare sulle coste siciliane. Forse i loro genitori non hanno nemmeno potuto avere la notizia che i loro figli sono sepolti nelle onde.
Tutto sembra una contraddizione. Eppure tutto è vero. E’ Cristo.
In una piccola urna delle nostre chiese sono conservate alcune sfoglie di pane conservato. Nella maggior parte della nostra vita in cui siamo disattenti perché tutto fila secondo i nostri piani, ossia perché siamo nell’apice della nostra scena teatrale, quelle sfoglie di pane sono insignificanti. Ma prima o poi, quando anche il nostro corpo denudato dalle decorazioni aggiunte, sarà come la gracile sfoglia del tabernacolo, allora capiremo che quella sfoglia è il sacramento di ciò che sono. E’ la potenza di Dio nella fragile esistenza nel tempo.
Un giorno, io missionario valente di energie in Giappone, nella messa a cui era confluita una piccola assemblea di cristiani, misi da parte le fragili sfoglie di pane che noi chiamiamo ostie, e feci uso di una robusta micca di pane come quelle della terra piacentina dove sono nato. Un uomo anziano con difficoltà di masticazione, di nome Tajima, non riuscì a mangiare il pezzo di pane piacentino consacrato. Aveva le lacrime agli occhi. Poi mi disse (riporto letteralmente): “Se tutti non possiamo mangiarlo quello non è il corpo del Signore”.
Vi aspetto alla messa della festa del Signore:
1) a Desio presso i missionari saveriani ore 11,00
2) in Milano, Via Moscova 6, Chiesa di San Bartolomeo ore 16,00 con il piccolo gruppo dei fedeli giapponesi.
p. Luciano
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