(salmo 119,96)
Il più bel regalo di Natale mi viene dai miei 81 anni, grazie a cui sono giunto a sentire mia, con profonda convinzione, l’esperienza del salmista: “Di ogni cosa perfetta ho visto il limite” (salmo 119,96). Il covid 19 ha creato l’ambiente adatto affinché gli anni potessero dire e io potessi ascoltare. Il covid ha com-portato smarrimenti e scoperte, tramonti e albe. E gli uni e gli altri aventi la schiena in comune. La schiena in comune è il limite insito, direi intrinseco, in ogni cosa, che salva ogni cosa dall’incattivirsi di concetti di auto- perfezione e di auto-sufficienza. Tra il tramonto e l’alba è la notte, tra l’inspirazione e l’espirazione è la pausa dell’apnea, tra la nascita e la morte è la vita di ogni giorno, tra Dio e l’uomo è il Cristo.
Sia il concetto assoluto di Dio, sia il concetto assoluto applicato all’uomo e a ogni cosa, incattivisce. Anche il concetto assoluto di amore incattivisce, perché si finisce per amare il concetto assoluto di amore e non chi, nel suo limite, in quel momento necessita del mio o tuo o suo amore. Conclusione: il piagnisteo infinito di non essere all’altezza di amare di più. Ciò che è assoluto è narcisistico. Ma anche il concetto assolutizzato di limite, o di vuoto, o di gratuità, o di salvezza per grazia ricevuta, incattivisce come si corrompe il cibo che non è custodito con le precauzioni richieste dal qui e ora di ogni situazione.
“Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi è il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” (Lc 2,10-12). Per il sottoscritto e, credo, per ogni uomo è più facile morire martire per il Dio assoluto come gli Ebrei a Masada, piuttosto che mettersi in cammino e andare ad adorare un bambino che dorme adagiato nella mangiatoia di una stalla spersa nella campagna. E’ più facile torturarsi e colpevolizzarsi tutta la vita adorando un se stesso assolutizzato, piuttosto che venerare il “Dio con noi” nella propria vita quotidiana, il Dio la cui onnipotenza ha la schiena in comune con la nostra debolezza. Noi, per accettare il nostro limite, dobbiamo darci infinite colpe, ossia, per vie traverse, dobbiamo renderlo come un assoluto da noi detronizzato, altrimenti lo si esclude dal proprio orizzonte. E’ solo nella pura fede che si può adorare Dio nel limite della realtà e della storia. E’ solo nel puro amore che si può amare incondizionati dal ritorno o non del riconoscimento. E’ solo nella pura speranza che si può attendere senza nessuna garanzia. Tuttavia, nel mentre, ci si incammina per andare ad adorare. Il limite è sentiero di cammino.
I pastori lo trovarono addormentato nella greppia di una stalla.
Oggi il limite è soprattutto il covid 19. E’ la greppia dove oggi Dio, bambino, giace. In quel bambino che dorme nella greppia del covid giace il seme del Vangelo, la lieta notizia, del domani. Ora il bambino non parla, non pronuncia alcuna lieta notizia, ma sta crescendo in sapienza, età e grazia davanti a Dio e gli uomini. Dio, fuori dal limite del tempo e solo con i suoi principi eterni, non ci porta salvezza. Ci salva il Figlio di Dio che “imparò l’obbedienza dalle cose che patì, e, reso perfetto, divenne causa di salvezza” (Eb 5,8). Nel bimbo, che quest’anno nasce a noi riposto nella greppia del covid 19, personalmente percepisco anche i primi palpiti di un cuore che va formandosi nell’Europa unita. Intravedo
che i tanti giovani che spontaneamente hanno offerto la loro opera volontaria per soccorrere chi è stato colpito dal covid saranno patrocinatori di una cultura di vita più semplice, più naturale, dove la luce illumina ma l’ombra attenua la luce affinché non abbagli, e luce e ombra concorrono a rendere la vita armonica e la società variegata nella policromia dell’arte. Lo credo anche degli scolari e degli studenti che hanno conosciuto il disagio della scuola on line, senza vedere i compagni né l’insegnante in faccia. Una insegnate ebbe la bella idea di rompere la monotonia della scuola on line invitando a un incontro di classe da tenersi nel giardino antistante l’edificio della scuola, osservando la dovuta distanza. All’appello non mancò nessuno. Alla fine dell’incontro gli studenti: “Prof, i nostri banchi sono sempre al loro posto? Può farci entrare che vogliamo vederli?”. La prof commossa li fece entrare.
Nella realtà odierna c’è un rapporto di vita che è ferito. E’ il rapporto tra marito e moglie. I figli direbbero: il rapporto tra i miei genitori. Sono i casi di violenza tragica dell’uomo sulla sua donna, o sulla sua ex, di cui spesso ascoltiamo dai telegiornali. Più nascosta, c’è anche la solitudine di vari mariti e padri. “Il Natale lo passerò con altri due mariti separati come me. Condividiamo lo stesso appartamento perché la quota che versiamo per i figli ci lascia a disposizione ben poco dello stipendio. Per fortuna mi dà una mano mio padre dalla sua pensione”. E’ la confidenza avuta in questi giorni da un operaio, padre di tre figli.
preghiera:
I reciproci limiti dell’uomo e della donna e le tante difficoltà che sorgono nella vita coniugale, abbiano a riempire la greppia di calda paglia intrecciata, su cui porre a giacere i bambini concepiti e nati dal loro amore. ”
p. Luciano
La soprano Shinobu mi ha inviato i video con l’inno “Astro del ciel” in 4 lingue: oltre l’italiano, il tedesco, l’inglese e il giapponese.
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