Tutti avremmo desiderato poter cantare l’Alleluya di risurrezione alla messa solenne della prossima domenica di Pasqua, e di poter trascorrere il lunedì di Pasquetta in allegra compagnia nella natura con gli amici. Il disappunto per l’annunciato ritorno in zona rossa è profondo. Invero, i disappunti costellano la vita di ciascuno di noi e, più in grande, la storia di ogni popolo. Ma all’uomo è dato di sperimentare in pienezza la gioia?
Il sussurrio continuo di questa domanda nel cuore mi trattiene a meditare le parole di Paolo agli Efesini che il rito romano assegna come seconda lettura nella messa di oggi, quarta domenica di Quaresima. “Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio.; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo” (Ef 2, 8-10. Queste brano della lettera ai cristiani di Efeso è uno dei riferimenti a cui ricorro più spesso per stare in piedi lungo l’arduo tragitto della vita. E’ anche un robusto legame con la testimonianza di Eihei Dōgen sul cammino religioso nello Zen. “Nel momento in cui tutti gli esseri davvero si dedicano completamente a essere ciò che devono essere… superando le distinzioni relative quali “me” e “altro da me”, …momento per momento fanno sbocciare l’assoluto modo in cui essere. Per questo ogni cosa canta la verità senza aggiungere nulla” (da “Il cammino religioso – Bendōwa”, Marietti).
Nel citato brano della lettera di Paolo ai cristiani di Efeso si incontrano e si scontrano i concetti che continuamente si incontrano e si scontrano nella vita umana: il dono della grazia e lo sforzo dell’uomo, la fede e le opere, il profitto e la gratuità, l’anima commerciale del vivere per raggiungere una meta e l’anima artistica del vivere il momento presente come attimo immenso che contiene e l’origine e la meta. E questi opposti, senza mai comporsi in una soluzione, ma come dinamismo permanente, sono il soffio che spinge la barchetta a scorrere. Verso dove? Verso la direzione che, scorrendo, si dischiude.
“… perché nessuno possa vantarsene” è la traduzione ufficiale della Chiesa italiana, ma il testo greco è ancora più incisivo: “ΐνα μή τɩς καυχήσηται”, ossia: affinché non ci sia qualcuno che si vanti. Il vanto è il sovrappiù che inquina la purezza della gioia, perché inquina l’intenzione dell’anima. Questa, l’intenzione dell’anima, resta pura soltanto scorrendo, come l’acqua del ruscello. In un certo senso tutte le foto che noi ci facciamo sono come un tentativo di bloccare il ruscello della nostra vita. Infatti, ogni qual volta ritorniamo a vedere le nostre foto del passato, avvertiamo melanconia, anche quando riprendiamo in mano la foto in cui brilla al massimo la nostra passata giovinezza. Si può anche dire che le Scritture stesse restano vanto, qualora leggendo un testo sacro ci blocchiamo alla lettera e non contempliamo quelle parole sacre adesso divenute nuove e attuali nella nostra vita. E’ la nostra vita che le rievoca e le testimonia. Furono i cristiani dei primi secoli che, man mano sperimentavano il Vangelo nella loro vita, lo riconobbero nei quattro Vangeli che anche noi confermiamo lieta notizia della nostra vita. E’ la differenza tra un oggetto artistico con impresso nelle sue fibre il wabi dei secoli, e invece la sua perfetta e luccicante imitazione che noi ne possiamo fare.
Così l’infanzia sfocia nell’adolescenza, e questa nella giovinezza, e questa nella maturità adulta, e questa nella vecchiaia, e tutto questo nell’oltre tutte queste tappe. La salvezza “non viene da voi, …né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo”.
Siamo creati per le opere buone che Dio ci affida da compiere senza inquinarle di vanto, perché sono la nostra parte, sono la linfa delle nostre fibre, come un albero da frutta matura i suoi frutti.
E’ sopraggiunto il covid e molte vite umane sono state recise. I nostri disappunti, al confronto, furono e sono minimi. Chiniamo il capo a chi il covid ci ha portato via. Veneriamo la loro morte, come quella dei tanti martiri. La loro morte e la nostra permanenza nella vita, al di là di tutte le considerazioni umane che pure hanno il loro valore circoscritto nel limite di questo tempo, sono egualmente nobili e sante. Ricordo sempre le parole di Rosanna prima della sua morte per tumore di amianto. “Padre Luciano, quel germe (d’amianto) è stato meglio che l’abbia respirato io, altrimenti lo poteva ingoiare un bambino!”.
Il nostro mondo occidentale persiste in una visione platonica (chiedo scusa a chi non gradisce questo aggettivo) che pone la felicità – altro nome può essere il bene ma inteso come felicità – a meta del nostro essere nati all’esistenza. Ma la felicità o il bene sono intesi come preesistenti, quindi quali una meta da conquistare. I nostri sforzi sono il denaro per acquistarli. Abbiamo venerato le individualità che sanno distinguersi ed emergere. Abbiamo inteso il sacrificio come nemico della gioia.
“Per grazia infatti siete salvati mediante la fede” scrive l’apostolo. Grazie!
Allora mettiamoci a compiere tutte le opere buone che Dio ci ha assegnato. Tra tutte le opere che ci sono assegnate, le più pure sono quelle da cui noi non trarremo nessun vantaggio, ma ne trarranno beneficio altri da noi. E da quel darci da fare per compiere tali opere di cui altri ne trarranno beneficio, il nostro corpo e spirito saranno forse logorati, smussati, anneriti. Al termine della nostra vita, saremo degli incompiuti, come la Pietà Rondanini di Michelangelo. C’è profonda gioia nel non vivere per se stessi. E anche il dolore che ci è richiesto sarà beato. Il Cristo!
Pasqua 2021! Quasi tutta l’Italia in zona rossa. Molti non potranno cantare l’Alleluya nella messa solenne della domenica di Pasqua. Eccetto i fratelli della Sardegna, nessun italiano potrà fare la Pasquetta in allegra compagnia con gli amici, sui monti o al mare. Eppure è la Pasqua di quest’anno!
In casa, condividendo la preghiera e la mensa. Sì, anche quest’anno: che bella Pasqua! Alleluya!
p. Luciano
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