La ricorrenza di San Martino, il giovane soldato non ancora battezzato che abbraccia il lebbroso infreddolito e gli condivide il suo mantello, mi suggerisce questa lettera dal titolo: “Il barista della stazione”.
Un giovane italiano, al momento senza fissa dimora, si accosta al sacerdote – il sottoscritto – nella basilica di San Babila e gli racconta il suo dramma da piccolo impresario di alcuni anni fa’, a senza fissa dimora di oggi. Aveva profuso tutto nel sogno di avviare in Milano un laboratorio di designer di eventi, quando, tutto pronto, il covid non ne permise l’inaugurazione e, quindi, nemmeno il rientro del denaro per pagare i debiti accumulati. Soluzione: la vendita di tutto. “La notte dormo con una decina di compagni nell’atrio di una stazione ferroviaria appena fuori Milano. Nei pressi della stazione c’è un barista che ci custodisce le cose mentre dormiamo, altrimenti ci porterebbero via tutto. La mattina riapre il bar molto presto e ci restituisce i nostri zaini. Ci lascia anche usare il bagno”.
5 novembre. Sul treno regionale che mi porta tra gli Appennini della mia terra natale per una testimonianza sul dialogo religioso, una squadra di vivaci adolescenti si accomodò proprio nei posti limitrofi al mio. Mi meravigliava che al primo mattino, non erano ancora le 7:00, quegli adolescenti fossero così svegli e loquaci.
“Siete studenti?”.
“Sì. Frequentiamo il Liceo d’Agraria di Codogno!”.
“Quindi tutte le mattine prendete questo treno delle 6,45 per andare fino a Codogno?”.
“Sì, e verso le 17,00 torniamo a casa”.
“Avete scelto voi di fare Agraria?”.
“Il professore delle Medie ci ha presentato tutti i licei a cui potevamo andare e quello di Agraria è
quello che mi è piaciuto di più”, fu la risposta d’uno di loro.
“Anche adesso lo pensi?”.
“Sì. Anche tu hai fatto Agraria?”.
“L’ho fatta in casa e mio padre era il preside. M’è piaciuto così tanto che, anche adesso quando
posso, vado a zappare un piccolo orto”.
Il treno sfilava ancora tra le ultime case della metropoli milanese, quando, senza fermarsi, passò per la stazione dove nei pressi c’è il bar del barista che custodisce gli zaini dei senza fissa dimora che dormono nell’atrio della stazione. Mi alzai in piedi e religiosamente abbozzai un inchino.
“Ma a chi fai l’inchino?”, chiesero i liceisti di Agraria.
“Al barista!”. E raccontai loro la storia.
“Glielo fareste anche voi un inchino?”.
A Codogno i futuri agronomi meneghini scesero dal treno.
“Buon viaggio!”, “Buon studio!”.
Fuori programma, il saluto fu un cordiale inchino reciproco.
Com’è semplice fare il bene per le persone che sono semplici! Nella loro semplicità discernono il bene di cui, chi sta loro davanti, ha realmente bisogno in quel momento. Così fu per il soldato Martino verso il lebbroso infreddolito, così è per il barista verso i senza fissa dimora che altrimenti, mentre dormono, sarebbero derubati del poco che hanno. Così fu anche per gli adolescenti del Liceo di Agraia. Sì, senza nemmeno accorgersene, hanno regalato una buona dose di fiducia a un sacerdote ottantaduenne – il sottoscritto – incontrato per caso sul treno, il quale di fiducia ha sempre molto bisogno per sé e per condividerne una goccia a chi gli confida i momenti difficili che sta attraversando.
Evviva una folla di semplici che ama camminare a piedi e costruire con le proprie mani!
Evviva una folla di semplici che preferisce i mezzi pubblici anziché costosi veicoli privati! Altrimenti come potrebbe imbattersi nei gagliardi studenti di Agraria sul treno delle 6,45?
Evviva la folla di semplici che non deturpa la natura di costosi mastini che hanno la natura di scorrazzare nelle radure, allo scopo di ridurli a fare da maggiordomo dei loro salotti, e piuttosto aprono la loro casa e dispongono la loro ricchezza ad accogliere altri esseri umani – da umani a umani – privati di affetto e reclusi oltre una barriera di filo spinato!
Evviva una folla di semplici che, nei momenti duri della vita, anziché infestare l’atmosfera di sterili lamenti, chinano il capo in preghiera!
“Ma da quando in quando le preghiere hanno cambiato qualcosa?”.
Sì! Le preghiere non cambiano nulla e le difficoltà permangono. Ma con la preghiera io, essere umano, custodisco me stesso, rimango essere umano, libero dal vittimismo. E scopro che la mia mente, il mio cuore, le mie mani, i miei piedi hanno il vigore per compiere tante opere di bene, opere semplici. Tra queste, anche l’accogliere nella propria casa, tra le proprie braccia, un bambino che, solo, piange al di là del filo spinato. Per i semplici tutto diviene semplice, quando è necessario.
p. Luciano
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