La stella del mattino – cammino religioso Vangelo e Zen
Milano, 25 marzo 2022
Sabato 19 marzo. Sul treno regionale che mi conduceva a Senigallia, Ancona, nella stazione di Bologna salì una folla di studenti che, presumo, dalla città metropolitana dove frequentavano l’università si stavano recando a casa, ovviamente con lo zaino gonfio di biancheria da lavare per le instancabili mani di mamma. Una giovane trasse dal suo zaino un tessuto, l’uncinetto, il filo di lana e si mise a completare un suo precedente lavoro. I miei occhi andavano dagli alberi in fiore che vedevo scorrere fuori dal finestrino, al tessuto ricamato nelle mani della giovane tessitrice. A Cesena la giovane tessitrice scese dal treno, rincasando nella sua Romagna in fiore.
A Rimini salì sul treno un adolescente in tuta da lavoro. Prese posto davanti al sottoscritto, cosicché subito scambiammo il saluto.
“Studente o lavoratore?“, chiesi.
“Lavoratore, ma a ottobre andrò all’università“, rispose.
“E’ un ripensamento?”
“No. Dopo le superiori ho deciso di lavorare qualche anno da meccanico per mettere via i soldi per andare all’università“.
“Quale facoltà intendi scegliere?“.
“Giurisprudenza“, rispose.
Il giovanissimo meccanico diceva tutto questo con calma, come si beve un bicchier d’acqua in estate o si addenta ad una mela appena raccolta dall’albero. Nessun accenno a difficoltà economiche famigliari. Nessuna lontana sfumatura di vittimismo.
“Mi iscriverò all’Università di Urbino, perché so che è buona e ci posso andare da casa“. Parlammo di Carlo Bo, rettore per oltre 50 anni della suddetta università curandone l’anima ecumenica.
Il giovanissimo candidato universitario di giurisprudenza scese a Pesaro e io rimasi senza vicini a cui rivolgere il saluto. In silenzio contemplavo il volto lieve e serio di quel giovane. Contemplavo quel suo rapporto spontaneo con il sacrificio e mi chiedevo se era stato il sacrificio a rendere nobile quel giovane, oppure il giovane a rendere nobile il sacrificio.
Fuori dal finestrino le colline marchigiane apparivano assetate di pioggia; eppure, composte nelle forme modellate dal lavoro umano, regalavano senso di mitezza. Norberto Bobbio, in “Elogio della mitezza”, afferma che questa virtù ha le radici proprio nella terra marchigiana. Dono della terra all’uomo? O dono dell’uomo alla terra?
Domenica 20 marzo celebrai l’eucaristia in una chiesa di recente costruzione in cemento. La celebrazione fu rallegrata dai canti e dagli interventi degli scout, delle donne che curano l’attività caritativa, dalle e dai chierichetti guidati da un giovane liceista. Un contadino diacono stava al mio fianco suggerendomi i vari passaggi della celebrazione. Tutto procedeva con calma, permettendo a me che presiedevo la celebrazione di contemplare i volti delle donne e degli uomini di quella terra. Le donne come le querce disseminate sui pendii e i faccionì degli uomini con il capo calvo come i colli tondi coltivati a frumento. Donne e uomini che conoscono il sacrificio di coltivare la terra, e colline e valli coltivate tramite il sacrificio delle donne e degli uomini! Ma dove ha le radici quella mitezza?
La mitezza è il frutto del reciproco sacrificio degli opposti in intimo conflitto. L’inganno è quando pensiamo che il sacrificio sia solo di una parte, della propria parte. Allora il sacrificio imputridisce in lamento, vittimismo, abulia, non-senso, e forse vendetta. Ma quando è riconosciuto reciproco, allora mentre ci si comporta il sacrificio l’un l’altro, contemporaneamente ci si chiede perdono e ci si ringrazia. La vita si fa tonda, mite. “Beati i miti….”. Pace tra Russia e Ucraina!
p. Luciano
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