La stella del mattino – cammino religioso nel dialogo Vangelo e Zen
Milano 7 dicembre 2022
Un giorno della scorsa settimana mi soffermai ad osservare la scena di una cinquantina di uomini e di alcune donne che sostavano nel piazzale prospiciente la maestosa chiesa detta della Passione, centro di Milano. Tutti erano in compunto abbigliamento e confabulavano, punteggiando il discorso di brevi soste per portare alla bocca la sigaretta. Vicino al gruppo stava un carro funebre con il portellone alzato; intuii che nel frattempo, dentro l’ampia chiesa, si stava celebrando la liturgia dell’addio a una vita umana: preghiere di pace e riti di ringraziamento, e negli occhi dei famigliari e di altre persone calde lacrime. Ma chi erano quei cinquanta fuori dalla chiesa? Cosa facevano? Avevo già visto scene simili: genitori che accompagnano i figli alla messa o al catechismo, e loro che si rintanano nel vicino bar, forse della parrocchia stessa, ad ammazzare il tempo. C’è gente che si dà il tempo per andare ad un evento, ma poi ne resta fuori ad ammazzare il tempo che si è dato. Il tempo ammazzato è neutro, incolore: non piange né ride, nemmeno si può dire che passa perché non cammina ma è semplicemente ammazzato.
In Giappone alle missioni cattoliche giungevano e tuttora giungono tante richieste di rito di matrimonio in chiesa da parte di giovani non battezzati, per cui i vescovi giapponesi si affrettarono a stendere una forma di rito che parli al cuore di chi non è battezzato. Papa Giovanni Paolo II plaudì al calore umano di quella trovata missionaria nipponica. Ho benedetto decine e decine di matrimoni di giovani giapponesi non battezzati, premettendo tre incontri di preparazione come raccomandato dai vescovi. Solo una di quelle coppie ritornò alla chiesa per chiedere il battesimo: la coppia di Midori e di Shizuo di cui parlo in “Delle onde e del mare” (pag. 102). Quella coppia di contadini regalò tanta emozione e conforto alla mia umanità. Ho celebrato anche alcuni riti funebri per giapponesi non battezzati, su richiesta dei famigliari, pure non battezzati. Uno di questi anche in Milano per una donna sessantenne. Una chiesa di Milano si riempì di centinaia di giapponesi non battezzati, in meditativo silenzio. Il suo sposo, ristoratore di sushi, ritornò a farmi visita un anno dopo, nel primo anniversario, e spontaneamente mi chiese il battesimo. Alla strage dello tsunami del 2011, il cardinale Tettamanzi volle la celebrazione di suffragio in Duomo. Ecco, nel Duomo di Milano, circa 1.500 giapponesi a bruciare incenso in un braciere di 2 metri di diametro collocato alla destra dell’altare. Davanti all’altare la scritta: 平安 (Requiem) delineata dal pennello di Azuma, giapponese e professore emerito dell’Accademia di Belle Arti del Brera. Azuma più volte mi disse: “Non riesco a credere in Dio, ma mi domando come possa un albero dischiudere migliaia di foglie, ciascuna in sua unica armonia”.
L’ultima mia lettera dal titolo “Il valori positivi dell’ateismo” ha ferito la sensibilità di persone che hanno una fede semplice e profonda, persone che stimo e ammiro profondamente. A loro dedico questa lettera. La scena della cinquantina di uomini che in compunto abbigliamento confabulavano tra una sigaretta e l’altra nel bel piazzale davanti alla chiesa della Passione che fa angolo con il Conservatorio, mentre in chiesa si celebrava l’Eucaristia di addio a un/a compagno/a di viaggio che li ha preceduti al valico dell’oltre il tempo fenomenico, mi ha turbato molto. Forse sono uomini battezzati, forse anche segnati dai vari sacramenti, i quali, alla morte di un/a amico/a o di un/a conoscente, o di un/a collega, riescono impassibilmente a trattenersi fuori dal rito in cui all’amico o al collega si dice l’ultimo grazie e si prega per la sua pace eterna, tale scena mi pone una domanda inquietante. Cosa mai ne ha dissanguato i sentimenti umani più nobili? “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto”, lamentò Gesù. (Mt 11,16-19).
Sono profondamente convinto che nella catechesi, nelle omelie e nel linguaggio quotidiano il parlare a vanvera di Dio fuori dall’esperienza viva e personale del mistero che permea la vita dell’uomo, di ogni uomo, tale catechesi e tali omelie cadono sull’astratto lastrico della strada dove tutto va e viene, solo alzando un po’ di polvere che subito ricade.
“Io sono la via, la verità e la vita”, disse Gesù (Gv 14,6). Il raggiungimento della verità scavalcando la via, ossia la verità presunta come un possesso privato che non necessita l’ascolto, né il confronto, né l’esperienza della vita, tale verità è illusoria. Lungo la via l’uomo che non è sinceramente ateo, ossia che non è senza un dio già trovato prima di camminare, prima di cercare, prima di dubitare, prima di peccare, tale uomo non può aprirsi al Dio vero, “che nessuno ha mai visto” (Gv 1,18), perché alle domande di fondo che la vita immancabilmente gli suscita risponderà: “lo so già – l’ho già visto”.
E non gli resta che ammazzare il tempo.
p. Luciano
I colli senesi dove Isacco e una quindicina di giovani amici nei giorni 8 – 11 dicembre stanno condividendo il loro cammino Vangelo e Zen (fattoria Sant’Andrea – San Geminiano) “…Ritornare ad essere alberi, ritornare ad essere poveri di spirito: la scoperta della fonte d’acqua pura che sgorga dentro di noi. Vorrei condividere con voi la mia riflessione ed esperienza esistenziale, che sta maturando in me in questo periodo e che parte da due elementi della natura (la fonte e l’albero),… ” (dal programma)
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