Su ” Famiglia cristiana” (8/1/23) leggo le parole di ringraziamento scritte da un giovane padre all’équipe di ginecologia che ha assistito sua moglie Viviana al secondo parto. Viviana morì dopo aver partorito, tramite cesareo al settimo mese, due splendide creature. Giacomo Cofano, il giovane papà vedovo, scrisse di suo pugno su un foglio: “Aver conosciuto tutti voi, di cui non ricordo i nomi, ma che per cinque lunghi e speranzosi giorni siete stati angeli custodi di mia moglie, della mamma dei miei figli, aver visto le lacrime nei vostri occhi, mi ha fatto capire tutta la vostra umanità e quanto abbiate sudato, studiato per cercare di dare una speranza a Viviana…”. Viviana, conscia del pericolo in cui incorreva, aveva fermamente voluto dare alla luce i gemelli che portava in seno.
Quando una sciagura sopraggiunge ad aggredire e ferire una grande gioia già attesa e finalmente raggiunta, il cuore umano si sente tradito dalla sorte e si chiude nel dolore. In quel dolore un giovane padre, rimasto solo, ha ringraziato i medici che hanno fatto di tutto per salvare la vita alla sua sposa; inefficacemente, ma con le lacrime agli occhi.
Alcuni calciatori di grande fama, di fronte alla malattia grave che li avrebbe condotti, ancora in giovane età, alla morte – alla morte e non solo alla scomparsa come dice il mondo, perché la vita non è una semplice comparsa che poi scompare, ma una dedizione con tutte le proprie forze che lascia in eredità valori vivi e profondi – hanno consegnato i successi della loro carriera al silenzio, a un silenzio rigoroso, quasi a testimoniare che è questo silenzio ad appartenere alla loro umanità, quasi la casa della loro anima, ancora più che i boati dei tifosi ai loro spettacolari goal. Negli ultimi anni trascorsi a Milano Sinisa Mihajlović, recandosi a svolgere l’impegno quotidiano di allenatore, soleva sostare in chiesa per un lungo silenzio. Così ricorda il suo parroco.
Tutti abbiamo venerato il silenzio dell’emerito papa Ratzinger, essendo a tutti nota la fermezza del suo pensiero e la diversità di carattere dal suo successore. Non fu un silenzio di convenienza pro bono pacis, ma un silenzio dignitoso, radicato nella convinzione che i propri concetti e il proprio linguaggio non esauriscono mai la verità e la giustizia, quelle del Regno dei cieli che avverrà nella risurrezione dell’ultimo giorno (Gv 11,24). Ma il comprendere che il proprio pensiero e il proprio linguaggio non esauriscono mai tutto il vero, il giusto, il bello… è dato solamente a chi nel pensiero impiega tutte le sue forze e, al linguaggio, affida il pensiero in cui impegna tutte le forze.
«Dov’è quell’amore che non passa, che non tramonta, che non si spezza neanche dinanzi alle fragilità, ai fallimenti e ai tradimenti?».
“Il secondo luogo in cui possiamo incontrare il Signore è il rischio del cammino”.
Così papa Francesco nell’omelia dell’Epifania, il giorno seguente il rito funebre del papa emerito. Rischiare il cammino è la via.
La mattina della appena trascorsa Epifania, mentre dall’eremo di un Carmelo alpino il sottoscritto e amici sostavamo in silenziosa ammirazione del monte della Grigna innevata, nel lontano Iran due giovanissimi furono appesi al capestro in una pubblica piazza. Il grido di libertà è stato soffocato? Tutto senza senso?
Il silenzio di quando l’uomo ha impiegato tutte le forze, di dove non ha trattenuto nulla, quel silenzio è il grido della sua dignità: del vero, del giusto, del bello, del forte che è in lui, che è in lei.
“… aver visto le lacrime nei vostri occhi, mi ha fatto capire tutta la vostra umanità… !”
p. Luciano