n.3 …I nostri giovani…
i loro ideali a faccia a faccia con la lusinga dell’ipocrisia
I nostri giovani, nella prospettiva di realizzare gli ideali che coltivano nella mente e nel cuore, volentieri si applicano agli studi e alla ricerca. “Vorrei scoprire nuove materie plastiche che non nuocciano all’ambiente naturale” mi ha confidato uno studente del Politecnico. “Vorrei comporre una musica nuova”, “Vorrei dipingere il blu dipinto di blu di Modugno”, “Vorrei fare il pastore sulle colline dell’Appennino”, “Vorrei andare all’estero e conoscere altre culture”, “Vorrei scoprire metodi naturali per curare i tumori”, “Vorrei realizzare un’azienda agricola dove gli uomini, gli animali e la natura collaborano assieme!”. Sono tutte confidenze che il sottoscritto ha gioito nell’ascoltarle dai giovani che ha incontrato.
Man mano il periodo formativo giunge al termine, i nostri giovani conoscono i primi stati di ansia che conseguono proprio dall’audacia dei loro sogni. Ed ecco i primi tentennamenti, le prime paure. Essere vero pensiero, essere vera volontà del proprio pensiero, essere vera azione della propria volontà del proprio pensiero, questo triplice essere vero costa! Il vero pensiero risveglia la volontà a nuova volontà, la vera volontà risveglia l’azione a nuova azione, la vera azione risveglia il pensiero a nuovo pensiero: questo concorrere quotidiano costa.
Essere vero a se stesso costa! Essere vero se stesso costa!
Le foglie del serto d’alloro della laurea magistrale o di simile tappa felicemente raggiunta, sono ormai appassite. In quelle giornate neutre, dopo gli studi e prima dell’impegno lavorativo, non si sa da dove, si fa avanti, subdola, la formidabile lusinga: “Nella vita puoi fare tutto quanto hai sognato di fare senza importi per forza di essere vero. Basta saperci fare!”.
E’ il primo faccia a faccia dei propri ideali con la lusinga dell’ipocrisia. Lusinga formidabile che sovverte tutto, anche se a prima vista appare come non cambiare nulla.
“Puoi fare tutto lo stesso, senza per forza dover essere vero!”
Puoi svolgere questa o quella professione, puoi perfino fare il docente, o il politico, o il sacerdote, senza per forza dover essere vero. Anzi, la vita scorre più fluidamente senza il crogiolo di essere pensiero vero, volontà vera, azione vera; senza originalità da difendere ci si amalgama subito. Senza vero pensiero, senza vera volontà, senza vera azione ci si sente illimitati, onniscienti, onnipotenti.
Tutti abbiamo sperimentato il proprio primo faccia a faccia con la lusinga dell’ipocrisia. Così i nostri giovani, come noi. Un segnale: quando senza un motivo un giovane interrompe una consuetudine finora seguita assiduamente e con piacere, per esempio gli improvvisi abbandoni dell’andare all’oratorio o alla messa domenicale, questo improvviso cambiamento senza motivo dice che il giovane è faccia a faccia con qualcosa che lui/lei stesso/a non comprende. Non è un abbandono maturato da una ricerca razionale, ma è il segno che si trova faccia a faccia con la voce che gli suggerisce che si può fare tutto lo stesso, compresa la buona condotta imparata dai genitori e all’oratorio, senza dover andare in chiesa. Spesso quel faccia a faccia è occasionato proprio da piccole o grandi ipocrisie che trapelano dal loro nascondiglio sotto le sacre apparenze dell’ambiente di chiesa. Il giovane è sensibile a cogliere se il sacerdote nella predica parla a lui/lei giovane, o se invece parla a se stesso. Nella fragilità del momento che sta attraversando il giovane può prendere una decisione che a lui stesso appare inspiegabile, ma che reputa gli è da prendere. Tutto d’un tratto può non andare più in chiesa. Smarrimento? Mai come se il giovane, ormai affascinato dalla lusinga dell’ipocrisia, fosse diventato abile di andare in chiesa, senza essere vero andare in chiesa. Un genitore vero, a un/a figlio/a che gli annuncia la decisione di non andare più
in chiesa, non reagisce approvando con una frase di sbrigativa ed altrettanto sviante illuminazione: “Sei maggiorenne e quindi sei libero di scegliere come vuoi!”. Da quella sbrigativa libertà, quanti incidenti! E che incidenti! Nemmeno disapprovando con un secco: “Ti sei messo sulla strada sbagliata!”. Con risposte così il genitore parla a se stesso, ma non dice nulla al figlio nel momento che sta vivendo. Forse le poche parole vere sono l’accenno che papà e mamma hanno conosciuto a loro volta momenti simili, e li conoscono tuttora, ma attraversandoli riflettendo sono arrivati a oggi.
A 84 anni mi permetto rievocare un episodio personale. Ero entrato nel seminario di Parma per studiare da prete, così si diceva allora. Nelle medie mi ammalai di pleurite e feci ritorno in famiglia per le necessarie cure. Una volta guarito, avrei dovuto rientrare in seminario per continuare a studiare da prete. Avevo ritrovato gli amici di una volta e il rientro mi costava. “Non vado più in seminario!”, affermai a mio padre. Mi guardò negli occhi e capì. Mi disse: “I tuoi amici coi quali ti sei tanto vantato che andavi in seminario, adesso avranno ben da ridere!”. Mi avesse detto: “Rispetto la tua libertà, fa come vuoi!”, oppure “Così, fai piangere il Signore che ti ha dato la vocazione!” o frasi del genere, a 13-14 anni quelle risposte mi avrebbero lasciato solo un po’ incupito. Invece le parole di mio padre mi furono il bisturì sulla mia boriosa fragilità. Sì, perché la boria vittimistica è il Pronto Soccorso dell’accidia. “Ritorno in seminario!” risposi a mio padre; ed egli: “Vestiti e prendi le tue cose che partiamo subito per il seminario!”. Quando mi chiedono perché sono diventato prete, sono solito rispondere: “Per mia libera scelta”. Sì, quella che mio padre ha svegliato in me a 14 anni con il bisturi delle poche parole vere in quel momento.
“Come nei giorni avanti il diluvio tutti mangiavano e bevevano, gozzovigliando in amori e festini, senza avvedersi di quanto accadeva…”, così nella preghiera che fu pregata a conclusione della messa di domenica scorsa (25 giugno) nella chiesa dell’Incoronata. L’immagine del gozzoviglio rappresenta bene la nostra situazione! Gozzoviglio al festino delle frasi fatte, degli accomodamenti, dei trucchi che salvano capre e cavoli. Anche i Diritti dell’uomo possono essere tirati di qui o di là, per continuare spensierati il festino. Gender? Sì al diritto di invertire il sesso ricevuto dalla natura! Ma non la tendenza sessuale ricevuta alla nascita! Eppure tutti nasciamo con il dono di una energia sessuale da coltivare e custodire. La sessualità è come l’acqua sorgiva: scorrendo si delinea il suo ruscello. L’uomo trova la sua donna, la donna il suo uomo, il consacrato il voto di castità. Lungo il cammino, il vivente si scopre. Scoprirsi e meravigliarsi! Nessun stampo ci trattiene!
Dal festino del progresso e dei diritti: quanti rifiuti! La foto sottostante a due passi da dove scrivo: Via Palermo, quartiere Brera di Milano, capitale del Desing mondiale. p. Luciano