Dal libretto “Silenzio profetico in ascolto dell’ISLAM” (Mimesis) leggo: “… il silenzio è una povertà della parola profetica”. Espressione inconsueta che mi ha obbligato a sospendere la lettura e a riflettere. L’espressione contrasta il mio consueto affermare che il silenzio è invece ricchezza per la parola profetica! Come può divenire una povertà?
Con questo dubbio irrisolto, grazie alla gentilezza di chi mi ha fatto dono del biglietto, martedì 13 febbraio mi sono recato al teatro Dal Verme (Milano) per assistere al Kodōkai, il concerto dei tamburieri dell’isola Sado, Nord Giappone. Sado è la più estesa tra le migliaia di isole minori del Giappone, praticamente è la quinta dopo le quattro grandi isole dell’arcipelago nipponico. Collocata nel Mar del Giappone – così è chiamato il mare che separa il Giappone dalla Siberia – è continuamente attraversata da venti violenti originati dal contrasto delle temperature della terra siberiana e delle acque dell’Oceano Pacifico. I candidati vocati a divenire tamburieri sono scelti rigorosamente da tutto il Giappone, quindi convengono a Sado dove per anni si esercitano per diventare artisti del tamburo. A corpo nudo con un semplice perizoma, sulle colline dell’isola affrontano a viso aperto la violenza del vento e nel mentre battono il tamburo saldamente posizionato davanti o al lato. Battono e battono, finché il corpo che resiste diventa un tutt’uno con il vento che soffia; così, corpo che resiste, vento che soffia, vibrazione del tamburo battuto, si fondono nel concerto Kodōkai. Il vento, che sulle prime era stato avvertito come urto violento, tramite la disciplina della resistenza diviene come un muro che sostiene e protegge. Come mia madre e ogni madre che ha avuto tanti figli, le quali, senza quel loro darsi da fare dal mattino alla sera, avrebbero perso l’equilibrio, il vigore, e anche il loro amabile sorriso.
“… il silenzio è una povertà della parola profetica”! Tanto silenzio è solo para-vento per evitare l’urto del vento che soffia. Tanto silenzio è resa, è codardia, è disaffezione, è a-patia, è hikikomori.
Il tamburiere nudo, solo col perizoma, resistendo al vento, diremmo seduto sul vento, trova la sua posizione solida che è frutto del vento che soffia e dei suoi muscoli che resistono. Quindi, in solida e vigorosa calma, batte il tamburo e il vento ne diffonde la vibrazione. Al teatro Dal Verme, grazie alla fortuna di sedere vicino al palco, potevo notare lo sforzo artificiale che i tamburieri dovevano fare per assumere la posizione di resistenza e battere il tamburo. Propendevano la schiena alquanto in dietro, appunto come se vi fosse un vento che li urtasse – ma sul palco non soffiava alcun vento – e, per mantenersi in posizione come di resistenza, si facevano forza arpionando i piedi in rigide staffe di acciaio.
Nudi, solo con il perizoma, con le idee arpionate in rigide staffe per simulare vigorosa resistenza: così tanti nostri comportamenti! Rigide staffe sono le ideologie. Rigide staffe sono i fondamentalismi religiosi. Rigide staffe sono le sterili contrapposizioni nel mondo politico tra maggioranza e minoranza quando è scontato dire no se l’altra parte dice sì, e viceversa. Cosa manca? Manca il saper resistere, nudi, nel vento della realtà che soffia violento, senza cercar rifugio dietro alcun para- vento. Il primo para-vento sul mercato: dare la colpa agli altri. Il secondo: il lamento.
Il concerto dei tamburieri di Sado offrì agli spettatori del teatro Dal Verme la nitida testimonianza che il sacrificio della resistenza e la lievità della grazia si offrono assieme. E’ quaresima. Il vento ci sospinge nel deserto tra diavoli, fiere e angeli. La realtà nuda! Non torniamo indietro.
“Subito dopo lo Spirito (nell’originale greco: πνεῦμα – pneuma – il vento) lo sospinse nel deserto e vi rimase quaranta giorni, tentato da satana: stava con le fiere e gli angeli lo servivano” (Mc 1,12).
p. Luciano