Cose che capitano e l’ascolto del Vangelo della seconda domenica di quaresima (25 febbraio) mi suggeriscono questa lettera dal titolo insolito: “Solo perché folle – il mio zazen eucaristico”. Ma non tanto insolito, perché a chi, almeno una volta nella vita, non è capitato di sentirsi solo perché folle e folle perché solo? Eppure viviamo nello tsunami di movide e di tumulti nelle piazze. Eppure molti di noi hanno incoronato la propria mente con il serto di alloro. Tuttavia in certi frangenti, soli perché folli!
“Dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù. Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!». Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento. Poi si formò una nube che li avvolse nell’ombra e uscì una voce dalla nube: «Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!». E subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai morti. Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti (Mc 9,2-9).
All’episodio narrato dal Vangelo noi diamo il nome di trasfigurazione. Pittori sublimi (G. Bellini, Raffaello…) ne hanno raffigurato l’attimo in cui “le sue vesti divennero splendenti…”, ma non hanno dipinto il silenzio che ha preceduto quell’attimo di splendore né quello che lo ha seguito. Il silenzio, quello che avvolge chi è solo perché folle non è dipingibile. Il silenzio del solo perché folle è incolore. E’ puro silenzio.
Gesù era in cammino dalla Galilea, terra dove era cresciuto, diretto a Gerusalemme. Ad allontanarlo dalla Galilea furono quelli della sua casa. “I suoi fratelli gli dissero: Parti di qui e va in Giudea…”. (Gv 7,2-10). Il Vangelo afferma che, “neppure i suoi fratelli credevano in Lui” (ibidem). Questi: “Giacomo, Ioses, Giuda e Simone… e le sue sorelle” (Mc 6,3), già all’inizio della sua predicazione, “sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: “E’ fuori di sé”. (Mc 3, 21). Ossia: “E’ folle!”
Solo perché folle, folle perché solo. Sul monte della trasfigurazione l’amato discepolo Pietro propose l’erezione di tre tende dove stare sempre in compagnia con Gesù e i suoi illustri antenati rivivi, Mosè ed Elia, vestiti di splendore. Ma “subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro” (Mc 9,8). Mosè e la legge, Elia e la religione, disparvero e Gesù rimase solo, solo perché folle. Una voce dalla nube della solitudine rivelò: “Questi è il Figlio mio, l’amato, ascoltatelo!”. Scendendo dal monte ai tre discepoli Gesù “ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti”.
In questi giorni ho celebrato il rito funebre di due donne che molto ammirato. Una italiana, novantottenne, oro fioretto alle Olimpiadi 1952, finché poté reggersi in piedi ha frequentato l’Eucaristia come un frutto che rimane dignitoso sull’albero in inverno inoltrato. L’altra donna, una giapponese, con una amica aveva salpato da Yokohama per inoltrarsi oltre il recinto del perfetto conformismo giapponese. Con una topolino FIAT s’avventurò per l’Italia. Un giorno ascoltò in televisione l’omelia di papa Benedetto XVI e da allora ogni domenica registrava il discorso del papa all’Angelus. Un giorno scoprì la cappellania giapponese in Milano e due anni dopo l’acqua battesimale lavò e rinfrescò la sua voglia folle di vivere.
Inao, è il suo nome, dall’ospedale dove poi sorella morte l’avrebbe raggiunta, mi inviò l’ultimo messaggio elettronico: “Padre Luciano, Buona sera! Quest’anno non ho potuto festeggiare la Pasqua insieme con te e la comunità. Oggi (Pasqua) per televisione (RAI 1) ho partecipato alla messa delle 11:00 presieduta dal papa. Venerdì scorso (venerdì santo) ho seguito (per televisione) la Via Crucis (in Piazza Pietro) e ne rimasi profondamente commossa. Un criminale omicida, dopo 29 anni di carcere, ora è risorto dalla via del male e ora con dignità conduce una vita sociale normale! Questo mi ha rammentato le parole del Vangelo (Mt 5,36-48) che abbiamo letto insieme l’ultima volta che ho potuto venire in Via Palermo. Ecco un versetto di quel Vangelo: “Il Padre celeste fa splendere lo stesso sole sui buoni come sui cattivi, fa scendere la stessa pioggia sui giusti come sugli ingiusti…”. Quando lessi quelle parole la prima volta, non potei che dirmi che qui c’è pura follia. Adesso, credo che ciò è vero! Quell’uomo che (con papa Francesco) ha fatto le 14 stazioni della Via Crucis, oggi è risorto alla vita sociale. E’ stato l’amore del Padre a portarlo alla risurrezione. E’ verro, proprio sui peccatori il Padre riversa il suo sguardo. Così ora comprendo. … (saluti), Miura Inao.
Giunge il giorno della vita, quando tutto non torna più, né la vita privata, né quella lavorativa, né quella famigliare, né quella spirituale. Eppure ci siamo impegnati entro il limite delle nostre forze, ma ora ci sentiamo soli, e anche folli. Perché tanto darsi da fare? Saliamo sul monte alla ricerca di armonia e di pace. Un lampo fa risplendere le nostre vesti, ma subito di nuovo soli. Soli e folli. Sì, perché i conti non tornano lungo il cammino su questa terra, anche se qualcuno per farli tornare si facesse costruire un monumento, oppure altri si adoperassero per la loro beatificazione tra i santi su questa terra. Lui (Gesù) annunciò: “… fra i nati da donna non v’è alcuno più grande di Giovanni (il battista), ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui.” (Lc 7,28). Anche con le pratiche ascetiche più efferate, anche con tutti i meriti accumulati, i conti non tornano. Abbiamo inteso realizzare l’uomo perfetto, ma questa perfezione non avviene.
E’ giunto il momento del battesimo, di cui quello con acqua fu segno. Buttare nel Cristo il tutto di noi, ciò che abbiamo chiamato bene come ciò che abbiamo chiamato male. Il Cristo è l’altare su cui tutto viene re-impastato per il convivio eucaristico. Il nostro io, compreso quello che ci parlava di meriti con cui acquistare il paradiso, nell’impasto eucaristico si scioglie. Gli io si re-impastano nell’amore fraterno: “Credo la comunione dei santi”, recita il Credo apostolico.
Nessuno di noi infatti vive per se stesso o muore per se stesso. Perché se viviamo, viviamo per il Signore, e se moriamo, moriamo per il Signore. E così, sia che viviamo, sia che moriamo, apparteniamo al Signore. Infatti Cristo è morto ed è tornato in vita per essere il Signore dei morti e dei vivi (Rm 14, 7-9). Quando seggo in Zazen, io mi offro all’impasto cristico. Il tempo è la notte dell’impasto che lievita.
Chino il capo e, commosso, ringrazio. Buon cammino quaresimale.
p. Luciano