La stella del mattino – cammino religioso Vangelo e Zen
Milano, 9 febbraio 2025
Il vagito della cultura: oriente e occidente
La strada vocazionale di un prete è ricchissima di emozioni, ma non conosce quella di una donna e di un uomo quando odono il vagito di una neonata o di un neonato che hanno atteso con trepidazione per lunghi mesi. Immagino che, dall’onda vibrante del vagito, la madre e il padre possano presagire il futuro dei loro figli. Il vagito è il grido di un neonato o di una neonata, ma non è il neonato o la neonata il soggetto di quel grido. Quel grido scaturisce da dove scaturisce l’esistenza: è la voce dell’esistenza che nasce. Senza soggetto, senza oggetto, quel grido è originario e pregno di potenzialità immensa di cammino.
Anche le culture dei popoli hanno avuto inizio da un vagito che è il concerto dei tanti singoli vagiti dei neo-nati in una stessa terra. Da quel vagito corale è lo scorrere del ruscello che chiamiamo cultura: aprendosi l’alveo tra ostacoli e scoscesi dirupi, inabissandosi sotto le pietre e riemergendo placido nei piani verdeggianti. Infine il ruscello si scopre diventato fiume: la cultura di uno o di più popoli viciniori.
Durante i vent’anni nel Paese del Sol Levante mi fu chiesto dagli amici giapponesi di descrivere loro le costumanze della mia terra natia. Più volte fui chiamato a insegnare la cottura degli spaghetti e la modalità di portarli alla bocca arrotolandoli attorno alla forchetta. Ugualmente amici italiani mi chiedono spesso di parlare dei comportamenti di vita in Giappone. Al missionario sacerdote votato alla castità non è data l’emozione di udire il vagito dei propri figli, è in cambio data la grazia di accordare in concerto i vagiti dei popoli.
Oggi mi propongo un tentativo molto arduo: quello di attingere dalla mia esperienza due espressioni semplicissime in cui vibrino il vagito dell’oriente e quello dell’occidente. Due espressioni semplicissime in cui i popoli dell’oriente e quelli dell’occidente vi si possano riconoscere, pur in forme e graduazioni differenti.
Il vagito della cultura dei popoli orientali vibra così: “COME SI DEVE VIVERE?”, oppure ulteriormente essenzializzando: “COME VIVO?”.
Il vagito della cultura dei popoli occidentali vibra così: “PERCHE’ SI DEVE VIVERE?, oppure ulteriormente essenzializzando: “PERCHE’ VIVO?”.
La cultura orientale che nasce vagendo COME? è estetica, descrittiva, fenomenicamente attuale; quella occidentale che nasce vagendo PERCHE’? è razionale, tendenzialmente metafisica. Ambedue i vagiti sono domande, quindi cammino; ma l’occidentale fissa lo sguardo davanti a sé cercando qual è la meta da raggiungere per cui valga la pena camminare, ossia l’oltre metafisico che dia ragione e senso al vivere empirico su questa terra; l’orientale invece si guarda attorno e posa gli occhi sui fiorellini del ciglio del sentiero, accordandosi con l’ambiente e premunendosi di non causare karma, ossia scompenso e disordine. Il convinto cristiano occidentale crede in Gesù perché è veramente risorto; i miei cristiani giapponesi (miei perché hanno ricevuto da me il battesimo o perché amano confidare a me la loro esperienza di fede) credono in Gesù perché è veramente morto. Nel vero morire è il vero aver vissuto.
Il 6 febbraio – mercoledì scorso – la liturgia ha celebrato la memoria dei 20 giapponesi e 6 missionari spagnoli e portoghesi martirizzati per la loro fede sulla collina di Nishizaka, a Nagasaki, anno 1597. Nelle fiamme cantavano inni, ha scritto chi assistette alla scena. Nei tre secoli di persecuzione che seguirono (vedi film Silence), i genitori cristiani trasmisero ai figli la fede e il sacramento del battesimo, senza sacerdoti, senza chiese, senza celebrazione della messa, come l’acqua del ruscello che per un lunghissimo tratto si inabissa sotto i macigni della montagna. Quando la persecuzione fu tolta, l’acqua zampillò fresca e limpida. Anno 1862: Papa Pio IX come ebbe notizia della scoperta
dei cristiani ritrovati dopo secoli di nascondimento a causa della persecuzione, subito procedette a dichiarare santi i suddetti 26 martiri, Miki e i suoi compagni. Nel 2008 furono beatificati altri 187 martiri giapponesi il cui percorso alla beatificazione era stata voluto da Giovanni Paolo II che però morì 3 anni prima del compimento. Attualmente è in atto il percorso per la beatificazione di Takashi Nagai con la sua sposa Midori, il medico convertito che si consumò nel curare le migliaia di colpiti dalle radiazioni dell’atomica a Nagasaki, per soccombere, a sua volta, vittima delle stesse radiazioni micidiali. Comunione e Liberazione italiana s’è fatta curatrice del percorso alla loro beatificazione, chiedendo al sottoscritto di stendere in lingua giapponese la lettera per l’avvio del percorso all’arcivescovo di Nagasaki. Ma la chiesa giapponese di sua iniziativa non ha mai inoltrato domande del genere. Cosa c’è da aggiungere alla vita dei santi? Cosa c’è da aggiungere alla fioritura di un fiore? Il profumo, in silenzio, testimonia.
L’occidentale non passeggia il tempo, ma lo percorre, perché per lui è la meta da raggiungere che dà valore e senso al cammino e questo, il cammino, da passeggiata si fa corsa. I suoi occhi stanno fissi davanti a sé, guardando lontano per intravedere, a garanzia, qualche barlume di paradiso. Qualora un angelo svelasse che il paradiso non c’è, crollerebbe tutto. Ma un paradiso inteso come profitto non c’è affatto. Il fratello orientale ammonisce: il paradiso è nel come si vive e non il perché si vive. “Il regno di Dio è in mezza voi” (Lc 17,21).
Un noto filosofo occidentale ha affermato: “Penso, quindi sono”. Mi immagino la controparte orientale: “Sono, quindi penso!”
I fatti che stanno accadono in oriente come in occidente evidenziano che queste mie riflessioni sono molto puerili. Sì, sono puerilissime. Infatti riguardano quel grido, appunto il vagito, che esplode alla nascita di una nuova vita, prima che la vita prenda forma, ma da cui la vita evolve alla policromia delle sue forme, a cui proprio quel grido l’ha risvegliata,
p. Luciano