* Col tocco della mano
Allora venne a lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi guarirmil». Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, guarisci!». Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. E, ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: «Guarda di non dir niente a nessuno, ma va’, presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro». E quegli, allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte.
* IL DOLORE, LA PREGHIERA, IL VANGELO
Eccoci davanti al fascino di una pagina di Vangelo in cui Marco, in modo conciso e vivace, descrive l’incontro di Gesù con il dolore. Si tratta di un malato di lebbra, malattia che infligge sofferenza insieme a emarginazione. «Se vuoi, puoi guarirmi». Illebbroso si rivolge a Gesù con parole che lo obbligano a intervenire. È come se comandasse a Gesù di gùarirlo. Gesù risponde a sua volta comandando al malato di guarire: «Lo voglio, guarisci». È un unico comando che scatta tra l’uomo e Dio e tra Dio e l’uomo, quando la preghiera è espressione che scaturisce dalla vita. «Chi dicesse a questo monte: levati e gettati in mare, senza dubitare in cuor suo ma credendo che quanto dice avverrà, ciò gli sarà accordato» (Mc 11,24). Per chiedere una cosa senza dubitare minimamente occorre che tale cosa sia essenziale per la vita, semplice, profondamente desiderata. Nessuno potrebbe chiedere dal profondo del cuore un capriccio. Occorre che sia la vita a chiedere dentro di noi. Una domanda è vera quando nulla la può fermare, e tra la cosa domandata e chi fa la domanda non c’è scarto alcuno dovuto a incertezza. La domanda del lebbroso scaturiva dalla vita, senza alcuno scarto tra il cuore che domanda e la vita che chiede. La candela di cera d’api si consuma fino in fondo facendo luce e non lasciando alcun odore. La candela artificiale fa puzza e fumo. C’è la preghiera che brilla e riscalda e c’è la preghiera che fumiga e fa puzza. Dipende dalla sincerità del cuore e la sincerità del cuore dipende dalla serietà con cui si affronta la vita. La mamma di un bambino che muore di fame grida con tutto il cuore la sua preghiera per trovare un po’ di cibo. Spesso il cibo non c’è e il bambino muore. Perché?
La preghiera è cuore che grida aiuto e cuore che ascolta e porta aiuto. La preghiera è il comando dell’uomo che sale a Dio e il comando di Dio che scende all’uomo. Quando una mamma domanda il cibo per il suo bambino affamato comandando a Dio con preghiera incessante, Dio comanda all’uomo che ha il cibo di spezzare il suo pane con chi ha gridato aiuto. Spesso è il cuore dell’uomo che si chiude. Allora la mamma e Dio piangono assieme.
Gesù «mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: “Lo voglio, guarisci!”». Il cuore di Cristo, vero uomo e vero Dio, è custode sia della preghiera che si eleva dall’uomo a Dio, sia della risposta di Dio all’uomo. Nella mano di Gesù che si stende e tocca il lebbroso c’è il dolore dell’uomo che chiede aiuto, c’è la volontà divina che vuole che l’uomo sia salvato, c’è la carità dell’uomo che aiuta l’uomo. Ogni uomo ha la vocazione di essere come Cristo in Cristo: voce che prega, cuore che esaudisce, mano che attua. È lo Spirito che prega in noi, è lo Spirito che intercede presso il Padre, è lo Spirito che commuove il nostro cuore a portare aiuto. L’uomo che prega, Dio che esaudisce, il fratello che aiuta il fratello: tutti obbediscono alla voce dello Spirito. Nella religiosità buddista è data grande attenzione alla presenza nascosta che in tutte le cose opera la via della liberazione. È chiamata Darma.
Quando il dolore ci fa visita è molto importante stare fermi in silenzio e in modo dignitoso. Così aveva vissuto illeboroso per anni al ciglio della strada. Allora la condizione umana che è in me formula la preghiera e la eleva, la presenza divina che è in me la esaudisce e il fratello che accolgo come fratello mi viene in aiuto. Questo è il Vangelo del dolore che diventa preghiera e il Vangelo della preghiera che diventa aiuto fraterno.
P.Luciano
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* IL VANGELO PER AMORE DEL VANGELO
Con quello delle due domeniche precedenti e insieme a quello di domenica prossima, il Vangelo odierno forma un unico blocco di racconto, che narra di guarigioni operate da Gesù. Prima è messo in evidenza l’aspetto per così dire meccanico delle guarigioni: la malattia, la forza negativa, che si dilegua come smascherata nella sua inconsistenza, come non avendo più terreno su cui fare presa. Poi èmessa in risalto la popolarità di questo metodo, il richiamo che ha sulle folle: chi non ha bisogno di guarire, chi non vorrebbe veder messi in fuga i propri fantasmi?
Ora invece il punto saliente non è l’opera della guarigione, ma il contesto in cui avviene e da cui scaturisce l’ammonizione severa: «Guarda di non dir niente a nessuno!». Da questo comprendiamo due cose almeno, che riguardano la nostra vita. La prima è che Gesù non si nega, ma, mosso a compassione, fa quanto è in suo potere. Lo fa perché vede un bisogno e va incontro a quel bisogno. Non va a cercare i malati dicendo: «lo ti posso guarire», ma si lascia avvicinare e non nega il suo aiuto. Questo ci dice nuovamente come l’attività di guaritore non sia quella in cui si riconosce completamente, quella che riconosce come il suo scopo principale. Gesù appare schivo nell’operare guarigioni, come se questa fosse un’attività incidentale, un corollario della sua missione. Mentre nelle sinagoghe annuncia il Vangelo e commenta le Scritture ai quattro venti, senza che nessuno glielo abbia chiesto, per intima convinzione, le guarigioni le opera solo perché richiesto, per compassione verso il malato. Questo ci riguarda nel senso che ci indica di fare sempre quanto è in nostro potere, quando incontriamo un bisogno reale, anche se forse pensiamo di dover fare dell’altro. A questo proposito la parabola del buon samaritano dice meglio di qualsiasi commento.
Qui mi pare che il buddismo orientale abbia molto da ascoltare dal cristianesimo occidentale. Mi auguro che noi buddisti occidentali sapremo emendare la sostanziale indifferenza verso la sofferenza altrui che caratterizza tanta parte del buddismo orientale, nonostante tutti i bei discorsi sulla compassione universale: ma la compassione è prima di tutto individuale, nel senso che deve essere mirata all’individuo concreto e non un ideale senza bersaglio.
Il secondo aspetto è legato al primo, e ci dice che Gesù non vuole per sé la fama e i meriti del guaritore. Non si deve sorvolare su questo punto. Gesù è un personaggio pubblico, che parla nelle sinagoghe, che percorre i villaggi. Si ritira in solitudine a pregare, ma poi va nel centro del paese, in mezzo alla folla. Il suo invito «Guarda di non dir niente a nessuno!» non ha a che fare col voler passare inosservato. Ha a che fare col rifiuto della fama e del profitto. Gesù sa che, se divenisse famoso come guaritore, questo gli verrebbe ascritto come merito personale, mentre non è che un dono ricevuto e di cui far partecipi gli altri. Gesù vuole la fama per il Vangelo, non per se stesso o per i propri meriti. Per questo non vuole che si parli di lui.
Fra le indicazioni più severe che si trovano nelle regole monastiche del buddismo Zen, e in particolare negli scritti di Doghen, c’è quella di rifuggire dalla fama e dal profitto personali come dalla peste. Non c’è niente di peggio che divenire famosi approfittando dell’insegnamento di Budda, facendosi un nome usando il bene che è di tutti, che non è proprietà personale di nessuno e da cui nessuno deve trarre vantaggio personale. Chi diventa famoso all’ombra del Darma finisce per fare ombra al Darma: per questo si dice che bisogna mettere in pratica e testimoniare il Darma solo per amore del Darma.
Bisogna divenire piccoli per amore del Vangelo di tutti, bisogna divenire piccoli per amore del Darma di tutti. Nel mondo in cui la fama e il profitto sono diventati il metro di valutazione del successo della vita di una persona, questi sono messaggi impopolari. Non facciamo finta, però, che non siano messaggi annunciati in modo chiaro e inequivocabile fin dall’inizio.
Jiso
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