- Attraversare il deserto per uscire dal deserto
Subito dopo lo Spirito lo sospinse nel deserto e vi rimase quaranta giorni, tentato da Satana; stava con le fiere e gli angeli lo servivano. Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il Vangelo di Dio e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo».
- Nel vento del deserto senza riparo alcuno
Questo breve Vangelo viene letto nella prima domenica di Quaresima ed è utile richiamare il senso di questo tempo liturgico per assaporare tutta la sua vitalità. Il tempo di grazia chiamato i quaranta giorni (Quaresima), modellato sui quaranta giorni di Gesù nel deserto, è il periodo della preparazione alla Pasqua, la grande festa della morte-vita. Inizia con il rito delle ceneri sparse sul capo. Umile, incolore e inodore, la cenere manifesta molto bene il rapporto morte-vita. Il fuoco, consumando e distruggendo il legno senza vita, i rifiuti o le erbacce divelte dal campo, genera il calore che riscalda la casa, cuoce le vivande, purifica l’ambiente. La cenere manifesta il passaggio da ciò che nuoce a ciò che dà vita, attraverso la grande trasformazione. Sparsa nel campo fertilizza, donando vividezza alle foglie e ai fiori.
La Quaresima corrisponde al periodo dell’anno che segna il passaggio dall’inverno alla primavera. La Pasqua infatti ricorre nella domenica del primo plenilunio primaverile. Il rigore del freddo che aveva trattenuto la natura nel letargo ora si scioglie nel tepore che fa germogliare le gemme. Il vento freddo dell’inverno rievoca il deserto della tentazione. La tentazione si abbatte sull’uomo come il vento del deserto dove non c’è alcun riparo. Bisogna semplicemente resistere con fortezza e attendere che la tentazione passi.
«Lo Spirito sospinse Gesù nel deserto». È lo Spirito che sospinge Gesù nel deserto della tentazione. Il vento del deserto è lo Spirito. Il deserto, Satana, le difficoltà sono realtà spirituali, sono l’ambiente dell’opera dello Spirito. La tentazione è necessaria per crescere spiritualmente e scendere nella profondità del proprio essere. Come il fuoco che bruciando il legno – o le erbacce li trasforma nella cenere che fertilizza. Come il rigore dell’inverno predispone alla primavera e la richiama. Dentro all’uomo c’è qualcosa di rigido che si scioglie soltanto attraverso la prova del fuoco, c’è qualcosa che si affina soltanto se levigato dal vento che si abbatte frontalmente. Le comoditàdella vita assopiscono la sensibilità dell’uomo verso lo Spirito che abita in lui. La prova è lo scossone che risveglia l’uomo allo Spirito, rompendo l’incantesimo dell’assopimento. La tentazione è sempre l’occasione preziosa di uscire dalla mediocrità. Non dobbiamo desiderare di essere esentati dalla prova, ma piuttosto di avere la forza di resistere. «Non ci indurre in tentazione» è la supplica per chiedere la fortezza, affinché la prova sia purificazione e non caduta.
«Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo». Tra il tempo che è compiuto e il regno di Dio che èvicino c’è in mezzo soltanto la conversione dell’uomo. Perchél’uomo ama lo stato di assopimento. L’uomo spesso si rapporta col tempo come con un giocattolo per trastullarsi. Lo adora se asseconda le sue aspettative, lo biasima se lo contraddice. Scarica sul tempo le colpe della sua insoddisfazione: è colpa del tempo che passa troppo alla svelta, o troppo lentamente! L’uomo rimanda la sua maturazione incolpando il tempo che non è venuto. Se l’uomo è immaturo anche il tempo è immaturo. L’uomo maturo fa maturare il tempo.
Il comando di Gesù richiede prima la conversione e quindi la fede nel Vangelo. L’uomo invece si trastulla invertendo le cose: afferma di credere prima di convertirsi e senza convertirsi. Dice di ascoltare il Vangelo prima di aver purificato l’orecchio che intende il Vangelo. Parla di amore verso il prossimo prima di aver ascoltato il vero bisogno del prossimo. Il cammino del Vangelo inizia con il silenzio della conversione. Il contadino non semina prima di avere arato.
p.Luciano
- La tentazione dello spirito
Ascoltiamo la voce solista del Vangelo di oggi intendendo sullo sfondo anche la musica degli altri Vangeli che parlano con più variazioni tematiche delle tentazioni di Gesù. Apprezzeremo allora il fatto che Marco si limiti alle poche parole che abbiamo appena letto.
Subito dopo l’evento del battesimo, subito dopo la testimonianza dello Spirito riguardo all’unicità di Gesù, è lo stesso Spirito a sospingere Gesù verso la tentazione. Sappiamo dagli altri Vangeli di qual genere di tentazioni si tratta: qui il dato saliente è che è lo stesso Spirito a mettere Gesù nella condizione di essere tentato. Appare cosìevidente che la tentazione fa parte del gioco dello Spirito, è all’interno della dialettica del cammino. Immediatamente dopo il battesimo, immediatamente dopo la sottomissione e l’immersione, quello stesso identico Spirito che ha testimoniato la figliolanza divina induce alla caduta.
Marco non si preoccupa di sottolineare che Gesù resiste alle tentazioni, che esce vincitore dalla prova cui lo Spirito lo sottopone: ci dà invece una visione d’insieme, coglie con un unico sguardo il tempo (quaranta giorni), il luogo (il deserto), e tutti gli elementi: Gesù, lo Spirito, Satana, le fiere, gli angeli. È lo scenario della vita. Assomiglia a un momento della nostra vita, uno di quei momenti in cui siamo da soli di fronte a noi stessi, con le nostre debolezze e la nostra forza, con i nostri fantasmi e i nostri sostegni. I quaranta giorni nel deserto di Gesù assomigliano, in grande, a ciò che, in piccolo, sono i quaranta minuti del nostro star seduti di fronte al muro, in zazen. Se siamo svegli, è come stare nel deserto che c’è nel cuore di ciascuno di noi, dove vanno e vengono demoni e angeli, portati dal medesimo Spirito.
Dice Rinzai, il grande maestro Zen:
«Anche se tutti i budda dell’universo mi si mostrassero qui davanti non avrei nel cuore un pensiero di gioia, se all’improvviso apparissero i tre mondi infernali non avrei nel cuore un pensiero di paura: a causa di che cosa è così? Perché in realtà non vi è nulla da odiare»
E il maestro Zen contemporaneo Kosho Uchiyama commenta:
«Stando a Rinzai Zenji, di fronte a tutti i budda dei tre mondi (passato, presente, futuro) non vi è motivo di rallegrarsi, di fronte ai tre inferni non c’è da aver paura. Non aver paura all’apparire dell’inferno non significa, per Rinzai Zenji, che l’inferno in sé non esista; il fatto è che l’inferno è l’inferno, ed è una scena differente da quando compaiono tutti i budda. Noi dobbiamo fare attenzione al fatto che, se di fronte a Rinzai Zenji compaiono tutti i budda oppure gli inferni, qualunque cosa viene vista come una scena della vita. E proprio questo non è nient’altro che lo scenario dello zazen che noi facciamo»
Possiamo capire il senso delle tentazioni, nella nostra vita, se capiamo che fanno parte del gioco della nostra vita: vengono dall’interno della nostra vita, non da un luogo alieno. Possiamo sperare di rimanere immobili di fronte alle tentazioni, se capiamo che sono suscitate dallo stesso spirito che sostiene gli angeli che ci aiutano. Non odiare vuoI dire non fare resistenza: non fare resistenza vuoI dire non dare appiglio: allora lo spirito che tenta si svuota di vigore, e possiamo uscire in pace dal deserto e tornare nel mondo.
Jiso
- Con la mia famiglia attraverso il mio deserto
Ultimamente ho pensato molto alla mia famiglia, e con uno slancio di semplicità, l’ho paragonata a quella di Gesù. Ci sono io, il figlio minore, che fin da piccolo ha perso la sua strada, come il figliol prodigo, che se n’è andato e si è abbandonato ad una vita disordinata: la mia è stata piena di falsità, droga, alcool, furti ed egoismi. Ma poi, come il figliol prodigo, anche in me ci fu una carestia del cuore e sentivo che sarei dovuto tornare, e tornai, ma insieme mi portai un compagno di viaggio molto scomodo: l’AIDS. Quell’ AIDS che praticamente mi ha lasciato senza difese immunitarie. Mi ha lasciato indifeso, ma con mia mamma.
Poi c’è mio padre, sposo di mia madre. Quando penso a lui non posso non pensare a Giuseppe, sposo di Maria. Giuseppe, che è un lavoratore come lo è mio padre, che nel silenzio e nelle poche parole porta la croce del figlio. Come nelle sacre Scritture si parla poco di Giuseppe e viene da pensare che sia poco importante, così è anche mio padre: parla poco, non lo si sente molto. Ma io sento che, se anche parla poco, lui è molto presente, e io gli sono molto presente nel cuore.
Poi c’è mio fratello maggiore, e pensando a lui mi viene in mente il Cireneo della via crucis. Anche mio fratello, come il Cireneo, si trova, nel suo pellegrinaggio su questa terra, a dover portare una croce, che non ha scelto: al Cireneo danno la croce di Gesù, a mio fratello hanno dato la mia croce, la croce dell’ AIDS, la croce della sofferenza, che lui non ha scelto.
Ora finalmente penso a mia mamma, e non posso non pensare a Maria, la Madre di Gesù, che sotto la croce piange il figlio crocifisso dall’ AIDS. Maria, che per trentatré anni porta con sé la sofferenza di aspettare il giorno della croce: mia madre, che da anni soffre nel silenzio e cammina con me sulla via del Calvario aspettando qualcosa, anche un miracolo. Mia mamma, come Maria, aspetta sempre il mio ritorno a casa, per stare vicino a quel figlio suo, che però non può essere solo suo. Mia mamma che capisce, come Maria, che il figlio ha una sua missione, ha un suo peregrinare; ma questo peregrinare del figlio incontra spesso la madre e allora è festa.
Il Vangelo non parla molto degli incontri di Gesù con sua Madre, ma credo che siano come con mia mamma: incontri fatti di gioia. Mia mamma che mi ama, che porta con me la croce dell’AIDS; mia mamma che mi accudisce, che si preoccupa, che prega per me; mia mamma per la quale spesso piango, perché soffro nel sapere che soffre. Ora, grazie a mia mamma, capisco che la vita del Figlio dell’uomo non è altro che la vita di ognuno di noi.
(S. G.)
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