lettera
Vangelo e Zen
Vangelo secondo Matteo Mt 20,1– 16
4 ottobre 2009
Il Vangelo di questa domenica mi ricorda “Al di là del bene e del male” di Nietzsche. Gesù narra una parabola in cui un signore, in orari differenti, chiama tanti uomini a lavorare nella sua vigna e, a sera, dà la stessa ricompensa a chi ha lavorato dalle 6 del mattino come a chi dalle 5 del pomeriggio. Non solo! Pure comincia a pagare dagli ultimi e non dai primi. Evidente ingiustizia! Eppure quel signore nel Vangelo è Dio. A uno dei primi che fu appunto pagato per ultimo e che brontolava – e chi di noi non avrebbe fatto lo stesso? -, Gesù disse: “Prenditi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te”. Sinceramente, qui siamo al di là del bene e del male.
Noi cristiani facciamo molta fatica a comprendere la parabola di Gesù e l’abbiamo chiamata del “Buon Samaritano”. Ossia, è come se volessimo dire che i samaritani sono gentaglia, ma questo invece è buono. Un tunisino di Mazara del Vallo fu invitato alla cena di Natale da amici cristiani. “Ma tu sei proprio bravo, sei come noi!”, lo lodarono. Mi confidò quel fatto, perché ne sentiva ancora viva la ferita. Gesù dice semplicemente “Un Samaritano, che era in viaggio …”. Si accostò al malcapitato proprio perché non era etichettato come “quello buono”, oppure come “il volontario”, oppure come “il missionario”. Infatti non fece pesare minimamente il suo aiuto. Anzi, fu lui a diventare un po’ più leggero: “estrasse due denari e li diede all’albergatore …”. Di fatto, chi si prodiga per fare del bene nella società, pecca più di chi tiene le mani in tasca. Una donna che mette al mondo figli, fa più sbagli della velina che passa il suo tempo davanti allo specchio. Forse, la paura di sbagliare ci relega insensibilmente sulla riva degli ebrei per bene di Gerusalemme, e ci impedisce l’amore spoglio del Samaritano. Quando aggiungiamo qualcosa in più all’amore, fosse anche la ricompensa del paradiso, non è più quello del Vangelo. “Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e ne ebbe compassione …”.
E’ di profondo conforto questo assurdo evangelico: la ricompensa non consegue dai meriti, ma è calcolata senza calcoli, oltre i calcoli, in una provvidenza che noi diciamo divina proprio perché le categorie umane non riescono a contenerla. Così, nel regno di Dio il bambino morto il giorno stesso della sua nascita, forse perché prematuro, forse perché abbandonato, nel regno di Dio avrà la stessa mercede di Madre Teresa o di Francesco d’Assisi. Chi, nato in ambienti miseri non ha potuto accedere alla cultura, avrà la stessa ricompensa di Giotto o di Dante. E l’avrà per primo, seguito da Giotto e da Dante.
L’operaio dell’ultima ora è anche chi nella vita non è riuscito a trovare quiete nella fede, ma ha navigato sempre sulle onde del dubbio. Il Signore della parabola lo pagherà prima dei buoni preti e buoni fedeli che dalle 6 del mattino vanno quotidianamente alla messa e alle funzioni di chiesa. L’arduità del dubbio del non credente non è da meno di quella della fede del credente. Mentre il trastullo del mediocre che crede senza credere e dubita senza dubitare è sciatteria.
Bello questo Vangelo nell’epoca della meritocrazia in cui il fare è dimenarsi per farsi vedere e trarre profitto. Viviamo un’epoca in cui la fede non ha ospitalità nella politica a livello di radice, ma solo a quello di frasche! A te, fratello e sorella che svolgi la tua parte perché la tua parte è te stesso, visto o non visto, elogiato o criticato, il Vangelo odierno è balsamo. Anche a te, fratello e sorella che ti dici non credente perché la coscienza ti impedisce di sederti nelle sicurezze religiose, questo Vangelo è amico. Perché Dio è al di là del Dio dei credenti e del non Dio dei non credenti. Fiorellini che crescono sui balconi e nei giardini; e fiorellini che crescono sotto l’erba per cui nessuno può vederli. Perché? Mollando quel “Perché” si comincia a capire. “Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio nessuno l’ha mai visto …”. (Gv 1,17-18)