Cammino religioso nel dialogo Vangelo e Zen
Luciano Mazzocchi, sx (*)
Nel Quaderno 3570 del 20 Marzo 1999, La Civiltà Cattolica ha pubblicato un lungo articolo in cui il p. Giuseppe De Rosa, sj, analizza e critica i libri sul Vangelo e lo Zen (Il Vangelo secondo Matteo e lo Zen, EDB, Bologna 1995; Il Vangelo secondo Marco e lo Zen, EDB, Bologna 1996; Il Vangelo secondo Luca e lo Zen, EDB, Bologna 1997) scritti da p. Luciano Mazzocchi e collaboratori. Inoltre, il 3 Aprile 1999 il p. Mazzocchi si è intrattenuto a lungo con Mons. Bertone, Segretario della Congregazione della Dottrina della Fede, in un colloquio che il p. Luciano definisce “cordiale e fraterno”. Su richiesta di p. Mazzocchi, pubblichiamo questo testo inviato al cardinal Ratzinger e a Mons Bertone in preparazione all’incontro.
Per esprimere in sintesi il cammino di fede che sto compiendo, a cui spesso do il nome di “cammino religioso nel dialogo Vangelo e Zen”, individuo questi punti importanti:
1. Il mio incontro con Gesù Cristo è iniziato attraverso l’esempio e la confessione della fede dei miei genitori e delle comunità cristiane di cui ho fatto parte. Oggi, in base a una convinzione personalizzata nell’esperienza della vita, per me Gesù Cristo è la stessa via, verità e vita verso cui cammino; è il mio cammino stesso. È il Logos della creazione incarnato in Gesù di Nazareth, il redentore, l’alfa e l’omega, il pane e il vino eucaristico per l’escaton del regno di Dio. Per tutto me stesso è il Cristo; in tutto me stesso e con tutto me stesso che lo stesso mio esistere è (si fonda sul) rapporto creativo con il Logos; e lo stesso mio vivere con l’ideale della verità e dell’amore nel cuore è (si basa sul) rapporto redentivo con il Crocefisso e Risorto. Percepisco di avere sempre bisogno di perdono per essere rialzato all’idealità che il Logos mi nutre nel cuore. Percepisco che ricevendo il perdono divento nuovo e capace di amare come Dio ama, gratuitamente. Percepisco che in Cristo divento ciò che sono fin dall’inizio, quando sono stato creato nel Logos del Padre. È questo me stesso, che in ogni sua parte si riconosce visceralmente creato e redento in Cristo, che si rapporta con lo Zen.
2. Sono missionario cristiano, perché credo che il mio incontro con Cristo e la liberazione che questo incontro attua in me non è affare privato, ma la mia parte personale dell’incontro universale che avviene fra tutto ciò che esiste e il Cristo. Per sua natura la fede cristiana è comunitaria: quindi è chiesa. Sono membro della chiesa, non perché io scelgo, né perché la chiesa mi sceglie; ma solo perché la fede cristiana è comunitaria nel suo intimo e costituisce la chiesa. Sono consapevole che tutti assieme siamo e facciamo la Chiesa. C’è chi ha il ministero di sovrintendere e c’è il ministero di chi sta in prima linea: un ministero verifica e rende vero l’altro, al servizio dell’unica comunione vitale. Quindi so che anche questo mio rendere conto a chi sovrintende alla dottrina della fede e il suo ascoltare e verificare è atto della Chiesa che vive.
3. Ho incontrato lo Zen senza cercarlo, lungo il pellegrinare missionario dei 19 anni trascorsi in Giappone. All’inizio fu l’incontro di qualcosa che sentivo fuori di me; poi cominciai a percepire che ciò che incontravo era già anche in me.
Ho ammirato la grande dignità umana delle persone che incontravo, soprattutto di quelle che ho conosciuto più profondamente: parlo dei 150 adulti che, attraverso la mia guida e compagnia, hanno ricevuto il battesimo. Attraverso questi buddisti che incontrarono Cristo ho conosciuto e ammirato l’anima buddista del popolo giapponese. Ammiravo in loro anzitutto la capacità di sciogliere i nodi difficili della vita e riportarli nel nulla. Anche nelle difficoltà più dolorose riconoscevano che ciò che accade non ha fondamento sostanziale, non ha la natura di distruggerli, di avvilirli, di condizionarli, di togliere loro la libertà. Davanti a una calamità chinavano il capo in silenzio e poi ripartivano, senza un lamento. In oriente non esiste la bestemmia! Cominciai ad avvertire che questo comportamento comunica profondamente con la fede che ciò che esiste è creazione dal nulla, in cammino verso una perfezione alla quale si giunge rinnegando se stesso, non attraverso le proprie forze ma per una grazia che viene data senza alcun merito, che quindi va attesa con pazienza e dignità. Ho compreso che l’affermare nel buddismo che tutto è inconsistente non significa nichilismo, perché ne derivano i frutti buoni dello stare dignitosi di fronte al dolore, senza imprecare verso Dio né verso le cose. L’oriente è un campo fertile di mistica della creazione
Ho ammirato la cultura spirituale del wabi, ossia la bellezza, che fuoriesce dalle cose grazie all’uso, al lavoro e al trascorrere del tempo. Un pezzo di legno, una ciotola di terra cotta, la scrittura di un ideogramma, ogni cosa diventa un segno grazie al rapporto operoso e paziente con essa. Sovente nel linguaggio quotidiano, quando si dà una cosa o si compie un servizio, si dice: o shirushi made! che significa: come segno! Le cose che si compiono non sono ritenute le forme definitive dell’essere, ma soltanto i segni che lo evocano. Cominciai a percepire che questo comportamento comunica con la fede, così ben significata e attuata dai sacramenti, che la salvezza non è l’opera delle nostre mani, ma l’essere noi opera sua (Ef 2,810). Spesso ho rammentato la parabola del seme che cresce per forza originaria, mentre l’agricoltore dorme o veglia, e non sa come (Mc 4,2629). Già abituato a percepire Dio nel suo aspetto di persona (tre persone), come il Tu trascendente, attraverso la religiosità orientale ho cominciato a riflettere sulla natura divina che sottostà alle tre persone divine, natura divina di cui è intrisa la creazione. La creazione infatti è opera divina dal nulla: divina e dal nulla perché Dio attinge solo da Dio. Sono sempre più convinto che la teologia della natura divina presente nelle tre persone divine come natura creante e nella creazione come natura creata, sarà il terreno del futuro interesse teologico. Sarà il pensiero teologico da cui scaturiranno nuovi atteggiamenti religiosi in risposta alla ecologica. “E Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco era cosa molto buona” (Gn 1,30).
Ho cominciato a comprendere che la terminologia religiosa buddista, che rimane sempre così cara e fondamentale anche ai battezzati giapponesi quando descrivono le loro motivazioni religiose, come per esempio il termine di vuoto o di nulla, è pregna di religiosità. Oggi posso riconoscervi l’orecchio di cui parla Gesù, senza del quale il Vangelo non è Vangelo perché non è udibile: quindi non è buona notizia. “Chi ha orecchi per intendere intenda” (Mc 4,9). L’orecchio pieno non può intendere!
4. Nella fede cristiana comprendo lo Zen
Lo Zen e il buddismo in genere è nato dalla domanda sul dolore, ed è cresciuto nella fede che la liberazione dal dolore si attua riportando tutto al nulla incontaminato dell’origine. Questa fede è l’anima dello zazen, la pratica del silenzio sveglio e dignitoso compiuto con il corpo e lo spirito. Vado sempre più percependo che la stessa domanda è intrinseca anche al fondo della mia esistenza. Vado sempre più percependo che la via della liberazione è il ritorno al Logos originario, al pensiero e alla volontà del Padre che mi ha creato. Là, in quel pensiero e in quella volontà, è custodito quel senso che illumina il mio esistere e quello di tutti. E’ nel riportare tutto a quell’origine che il mio cammino religioso è protetto dal pericolo del sincretismo, che invece è l’accostamento artificioso di pezzi non unificati dalla stessa radice.
Questa riflessione si fa strada in me, mentre in tutto me stesso mi sento cristiano. Quella stessa domanda che mi conduce a essere in tutto cristiano, mi spinge verso lo Zen come a qualcosa che è inerente alla domanda. Di fatto ciò si traduce nella forma di dialogo che il documento “Dialogo e annuncio” cataloga come “il dialogo dell’esperienza religiosa, dove persone radicate nelle proprie tradizioni religiose condividono le loro ricchezze spirituali, per esempio per ciò che riguarda la preghiera e la contemplazione, la fede e le vie della ricerca dell’Assoluto” (42). Praticamente condivido la vita quotidiana e la pratica religiosa con un monaco Zen, in forma molto semplice. All’alba: zazen e poi ascolto del Vangelo e lode (le lodi liturgiche); al tramonto zazen e poi eucaristia.
Mi dedico alla traduzione dei testi del maestro Eihei Doghen (tredicesimo secolo), fondatore dello Zen Soto giapponese e oggi presente in Italia con vari centri. Personalmente ritengo Doghen della grandezza di Tommaso d’Aquino, senz’altro molto più grande dello stesso buddismo ufficiale. Queste pubblicazioni presentano il buddismo più vero, mettendo in evidenza anche la superficialità del buddismo che si va diffondendo in occidente. Il dialogo cristiano buddista deve attuarsi tra le espressioni serie delle due religioni.
5. La mia vocazione missionaria mi dispone al dialogo:
Sono convinto che occorre sentire rispetto e direi anche affetto verso lo Zen per un dialogo vero e onesto. Occorre la conoscenza, non solo intellettuale, ma soprattutto nella condivisione della vita. Anche nel dialogo la via è quella dell’incarnazione I missionari cristiani sono i più favoriti ad avere queste disposizioni.
6. Sono missionario di Cristo verso lo Zen. E’ proprio nel dialogo, condotto nel rispetto e con sentimenti di affetto verso l’altro, che diventa evidente quel messaggio di cui io, come cristiano, sono depositario e che quindi devo annunciare. E’ un messaggio che è già presente nello Zen come aspirazione nascosta, ma non come Vangelo, ossia come annuncio gioioso, efficace e sovrabbondante.
Annuncio allo Zen il Vangelo che l’Assoluto ha un volto, un nome. Non è indefinito, ma lo posso chiamare “Tu”. Devo annunciare al fratello dello Zen il Vangelo di chiamare “Tu” quella origine incontaminata di cui anch’egli parla così sovente. A1 buddismo manca la fede che chiama “Tu” l’Assoluto. Chiamare “Tu” l’assoluto è la via dell’apertura a Dio. Dare del “Tu” e non darlo comporta una differenza enorme. Nello Zen l’Assoluto è detto “il Sé che costruisce il sé”. I1 Sé è diverso dall’io fenomenico, ma pur sempre è indicato con la categoria dell’io. C’è un’altra valenza religiosa nel chiamare l’Assoluto “Tu”, sempre trascendente nei riguardi di questo io che può soccombere, mentre il “Tu” rimane sempre integro. Tutti i battezzati giapponesi hanno aderito a Cristo, perché il poter chiamare “Tu” la via verso cui e in cui camminano, l’instaurare con essa un rapporto personale, ha aperto la loro vita alla fiducia. Fiducia che non viene meno, anche quando tutto ciò che chiamo “io” viene meno; perché essa è un “Tu” eterno e incontaminato. Così il limite, la debolezza, lo stesso peccato non sono più sconfitta o catena dell’io fenomenico, come comprende il buddista che non riesce ad assurgere a “Sé”; ma piuttosto sono la situazione privilegiata in cui l’uomo sperimenta il bisogno di Dio, lo ricerca, gli parla, apprende che Dio è amore, si apre al “Tu” nel cui incontro l’io, risorgendo, diventa veramente se stesso.
Un altro aspetto che mi interpella come missionario cristiano nel dialogo con il buddismo è il Vangelo dell’esistenza reale dell’altro. Nel buddismo “l’altro” è compreso come una estensione dell’io. Non è un altro sussistente. Quindi nel buddismo la carità non è il fondamento delle virtù religiose, posto invece occupato dalla consapevolezza. Senza la consistenza reale dell’altro, non c’è la comunione; ma soltanto il sentire l’altro come parte di me. Senza la consistenza dell’altro, non ha il suo posto la dialettica della ricerca e nemmeno il pensiero come via alla verità.
Lo Zen è il cammino religioso di riportare tutto al nulla incontaminato dell’origine, sciogliendo in esso tutti i nodi della vita. Manca il cammino religioso di riversare tutto nell’attesa operosa della meta: il regno di Dio. Manca l’aspetto escatologico della realtà. Nel dialogo con lo Zen io, missionario cristiano, sono soprattutto colui che annuncia l’eucaristia: il corpo e il sangue di Cristo cibo e bevanda del viaggio verso il banchetto in cui saremo con Cristo nel regno del Padre ed Egli mangerà di nuovo la Pasqua e berrà di nuovo il frutto della vite.
7. La parte originaria dello Zen nel cammino religioso universale:
Voglio annunciare il Vangelo senza diminuzioni, mentre incontrando il fratello buddista con rispetto e affetto apprendo da lui quegli aspetti autentici che il Padre di tutti intende comunicare a tutti attraverso il buddismo. Dio è padre di tutti: quindi in tutti c’è qualcosa di originario per il bene di tutti; quindi nessuno ha tutto in modo da non avere bisogno degli altri; quindi il Vangelo è il Vangelo per tutti; quindi lo Zen è lo Zen per tutti: essendo il Vangelo il Vangelo, e lo Zen lo Zen! Non in parallelo, ma secondo il contributo di ciascuno. Un giorno, quando Dio vorrà, queste cose che ora diciamo con molte parole, saranno dette con poche; o forse nemmeno occorrerà dire. Perché l’umanità si sarà avvicinata all’Uno, verso cui ci conduce tutto ciò che ci fu dato, secondo quell’ordine di ciascuna cosa che scaturisce dalla paternità divina.
La parte originaria di ogni religione non e qualcosa di esclusivo, perché ciò che è vero è richiamato e ricercato in origine da tutto, ovunque. Perché tutto è creazione divina, tutto è improntato da Dio, anche se il peccato ha ferito e offuscato quell’impronta. Tutto è inseminato dal Verbo in cui fu creato e dal quale è redento. In questo senso nessuna religione annuncia qualcosa di nuovo, perché la verità è insita nell’essere, è l’aspetto intimo dell’essere. Le religioni sono qualcosa di più che il semplice insegnare la verità: sono manifestazione carismatiche della vita. Il cristianesimo rivela il mistero finora tenuto nascosto, ma sempre presente come intima aspirazione dell’esistente, che Dio è amore e che nel perdono c’è più gioia in cielo che non per 99 giusti che non hanno bisogno di perdono. Anche lo Zen ha il suo messaggio che, in quella forma carismatica, è proprio dello Zen, non sostitutivo del Vangelo. E’ il messaggio che le cose non sono consistenti, ossia il senso del loro esserci non è nei nostri attaccamenti o guadagni, ma nella natura autentica originaria e gratuita, detta buddità. Lo Zen è la religione che in modo efficace e gioioso ha coltivato il rapporto ordinario con la gratuità. E’ la religiosità che ha educato i popoli a non bestemmiare di fronte al dolore e alla sconfitta, a non imbrattare i muri di graffiti. Ha educato il senso estetico dell’essenziale bellezza. Io, come missionario cristiano, gioisco di questo apporto originario dello Zen al mondo intero e in esso annuncio il Vangelo che Dio è amore.
I cristiani giapponesi, con i quali sono stato missionario e sacerdote, mi hanno fatto prevedere il frutto dell’incontro Vangelo e dello Zen. Essi sono quell’incontro. Perché quando la capacità di stare dignitosi di fronte al dolore si illumina della speranza cristiana, si anima della carità che attende tutti, si offre con Cristo nella visione del regno, allora il seme buttato nel terreno porta molto frutto.
Da ultimo una preghiera verso chi è preposto a guida e riferimento per i fratelli nella Chiesa: è la preghiera di considerare il cammino dei fratelli nella fede, nella speranza e nella carità. La fede in cui sappiamo che il nostro dire è sempre un balbettare, anche quello più ufficiale e definito. La speranza nella quale possano crescere i germogli di Dio; crescendo qualche ramo verrà potato, qualche foglia seccherà, qualche fiore cadrà a terra senza portare frutto: ma questa è la via della crescita e della maturazione. La carità per cui anche la teologia, ossia il pensare dell’uomo verso Dio, è trattato con la carità di Dio, perché il pensiero su Dio richiede la carità di Dio e la sua benevolenza: “Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi” (1 Gv 4,12).
Con grande rispetto, stima e affetto in Cristo
p. Luciano Mazzocchi, sx
Galgagnano 12 marzo 1999
(*) Nota: in questo scritto ricorre sovente l’espressione “Vangelo” e “Zen”. Il Vangelo è inteso secondo la comprensione della Chiesa cattolica e lo Zen secondo quella del grande maestro Eihei Doghen, missionario dello Zen Soto.
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