lettera
Vangelo e Zen
«Intanto il tetrarca Erode sentì parlare di tutti questi avvenimenti e non sapeva che cosa pensare, perché alcuni dicevano: «Giovanni è risuscitato dai morti», altri: «É apparso Elia», e altri ancora: «É risorto uno degli antichi profeti». Ma Erode diceva: «Giovanni l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire tali cose?». E cercava di vederlo. Al loro ritorno, gli apostoli raccontarono a Gesù tutto quello che avevano fatto. Allora li prese con sé e si ritirò verso una città chiamata Betsàida. Ma le folle lo seppero e lo seguirono. Egli le accolse e prese a parlar loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure».
L’adulto, grazie agli anni accumulati, automaticamente tende a ritenere se stesso persona matura, calibrata e robusta. Professionalmente si atteggia da esperto: in casa fa il bravo genitore, sul lavoro il bravo professionista, in chiesa il bravo prete. Ma, ecco, d’improvviso capita qualcosa e dalla vetta si scivola a valle. L’estate, la stagione vacanziera, favorisce il fenomeno: ecco uomini maturi che, nel clima della vacanza, ritornano a dilettarsi di atteggiamenti adolescenziali. Anche i maestri di morale, in vacanza, si gustano le eccezioni. Forse il rito ambrosiano tiene presente questa involuzione umana dando inizio, dalla fine di agosto, a un periodo liturgico dedicato a Giovanni il Battista, il precursore di Gesù. Dopo una decina di domeniche dette “di Pentecoste” che coprono i mesi di giugno, luglio e agosto, in cui è stata celebrata la maturazione nello Spirito, ora eccoci di nuovo all’inizio, prima di Gesù: appunto al suo precursore Giovanni.
Il Vangelo di oggi ci descrive l’involuzione degli ebrei di fronte a Gesù. Avrebbero dovuto essere temprati dalle Sacre Scritture ad ascoltare con attenzione il Vangelo; invece si perdevano ad indovinare di quale personaggio del passato Gesù fosse la reincarnazione. Alcuni dicevano: «Giovanni è risuscitato dai morti», altri: «É apparso Elia», e altri ancora: «É risorto uno degli antichi profeti». Come se la trovata che Gesù fosse la reincarnazione di Giovanni il Batista, o di Elia, o di uno dei profeti rispondesse alla sfida che quel falegname di Nazareth lanciava loro proclamando le beatitudini: “Beati i poveri…, beati quelli che piangono…, beati i miti…, beati i puri di cuore…, beati gli operatori di pace…”. Piace all’essere umano non guardare in faccia alla sfida, e per non vederla si fa fumo attorno tirando fuori ragioni fumogene: fatture, malocchio, reincarnazione, apparizioni, possesso del demonio e così via. La sfida invece è tagliente: Io che penso? Io che decido? Io che faccio?
Così noi, uomini maturi ormai vicini alla vetta, all’improvviso possiamo ritornare a dilettarci di fumogeni: ossia possiamo dilettarci di non prendere posizione! Forse sta qui anche la baldanzosa allegria che si risveglia in noi ai fuochi d’artificio a conclusione delle feste patronali.
Sabato 27 agosto ho invitato i 12 partecipanti al ritiro di fine estate a meditare il breve testo dalla Seconda Lettera di Paolo ai Corinzi che veniva letto nella messa del giorno. Dice: “… non facciamo come Mosè che poneva un velo sul suo volto, perché i figli di Israele non vedessero la fine di ciò che era solo effimero… Fino ad oggi quel velo rimane…, ma quando ci sarà la conversione al Signore, il velo sarà tolto… In questo testo il Signore è lo Spirito, e dove c’è lo Spirito c’è libertà” (3,12-17). Un velo ci rimane sugli occhi anche in età avanzata, e possiamo continuare a non vedere la fine di ciò che è effimero. Anzi, possiamo noi stessi risollevare attorno a noi il fumo dell’effimero, e trarne compiacimento. Finché non possiamo vedere la fine dell’effimero, finché restiamo nel fumo, noi non siamo liberi. Libero è chi non avverte il bisogno di alzare fumo.
“Quando ci sarà la conversione al Signore, il velo sarà tolto… In questo testo il Signore è lo Spirito, e dove c’è lo Spirito c’è libertà”. Se il Signore rimane il Signore, il Signore fa da velo e, col velo sugli occhi, non si entra nella libertà. E’ la grande tentazione, forse l’ultima, senz’altro la più insidiosa, che noi cristiani dobbiamo affrontare per accedere alla libertà dello Spirito. Ovviamente la stessa tentazione visita gli appartenenti di ogni confessione religiosa. La propria religione di appartenenza è l’ultimo velo che, se non è tolto, non permette di vedere la fine dell’effimero. Sì, l’attaccamento religioso e l’importanza data all’appartenenza religiosa sono ancora fumo che alziamo per non librarci nella libertà. Dico così, pur essendo consapevole che in questo discorrere si cela un’altra tentazione: quella di fraintendere la libertà come anarchia e, quindi, come bullismo antireligioso. Paolo afferma chiaramente che l’accesso alla libertà è la conversione dentro lo Spirito del Signore. Come se io volessi divenire fratello universale, disprezzando di essere nato in Italia, dal ventre di una donna dal nome di Maria, amata da un uomo dal nome di Luigi. La libertà che disprezza il particolare è fumogena, disgustosa. E’ astratta, è non libera.
“Dove c’è lo Spirito c’è libertà”. Ma cos’è la libertà? Quand’è che cade il velo che non permette di vedere la fine dell’effimero? Ovviamente la libertà non ha nulla a che fare con lo spontaneismo di chi, adulto, ritorna a fare il bambino o l’adolescente. Che dire dei tanti divorzi? Fra i tanti casi che le persone hanno confidato a me, alcuni mi parvero passi verso la libertà; altri, invece, ventate di fumo. Un secondo rapporto può permanere una semplice riedizione del non vedere la fine dell’effimero.
La domanda sulla libertà è tagliente soprattutto riguardo al cammino religioso. Essere chiamati alla libertà è cosa molto ardua. Finché un cattolico si comporta così perché lo insegna il papa, o finché un protestante si comporta così perché lo rivelano le Scritture, o finché un ortodosso si comporta così perché lo tramanda la tradizione, il papa o le Scritture o la tradizione rimangono il velo che non permette di vedere la fine dell’effimero. Piuttosto è dall’interno della esperienza della libertà che il cristiano fonda il valore dell’insegnamento del papa, delle scritture e della tradizione. E’ l’esperienza della libertà che fonda il vincolo dell’amore matrimoniale. Sono libero, quando io so dire che il papa è il papa, le Scritture sono le Scritture, la tradizione è la tradizione. Sono libero quando io sono la prova di ciò che credo, senza dover alzare il fumo di scuse o calcoli. La libertà è qualità divina. La libertà crea.
Ho avuto il conforto di alcuni bellissimi esempi di libertà: alcune ragazze madri che, abbandonate dal complice, minacciate dai loro genitori, derise dalla gente attorno, hanno liberissimamente partorito la vita germogliata dentro il loro ventre. Senza che rimanesse alcun fumo di rammarico. Anche la scrittrice Ayako Sono (forse la figura femminile più ammirata nel mondo culturale giapponese odierno, cattolica) scrive che la scena più soave che ha visto nella sua ormai lunga vita fu quella di alcune ragazze madri negli slum di Rio de Janeiro. Occhi ricolmi di contentezza e di dolcezza che si incontrano: quelli della madre e del bambino. Come Maria di Nazareth.
P.Luciano
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