Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. Il regno dei cieli è simile anche a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete capito tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».
- Il tesoro è scavare il campo
C’è un tesoro nascosto in un campo e chi lo avvista va, vende tutto e lo compera. È un tesoro che non suscita voglia di possesso, ma dedizione e spirito di sacrificio. Così annuncia il Vangelo di oggi.
Secondo la nostra mente il tesoro è qualcosa di raro e di prezioso, che luccica e che affascina per la sua finezza. Un tesoro attira suscitando il desiderio di comperarlo; nello stesso tempo ha un prezzo proibitivo e non permette così facilmente di entrarne in possesso. Così sono i gioielli delle vetrine: costosi al punto che soltanto i ricchi, o i poveri nelle occasioni in cui vogliono imitare i ricchi, li possono acquistare. i tesori vanno protetti, custoditi in casse di massima sicurezza, perché chi li brama senza avere la possibilità di acquistarli è tentato di procurarseli attraverso il furto. Ma come può esistere un tesoro nascosto che nessuno mai ha visto e della cui esistenza non si ha alcuna prova, se non il fatto che qualcuno crede fermamente che esista? Può essere chiamato tesoro ciò che non è misurabile in carati e non è quantificabile in cifre di denaro? Un tesoro che non mette in moto il desiderio di possesso, ma la dedizione e lo spirito di sacrificio?
«Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo». L’esistenza di un tesoro è provata soltanto dal fatto che il cuore dell’uomo lo crede tale e lo ricerca con tutte le forze. Un tesoro quindi che dal suo profondo nascondiglio comunica con il cuore dell’uomo, gli fa percepire che nascosto dentro la terra esso esiste veramente e attira l’uomo al punto che si mette a scavare.
Il campo che nasconde il tesoro è la natura umana creata da Dio, che si esplica nella vita di ciascuno e nella storia dell’umanità intera. Il tesoro è nascosto dalle tante contraddizioni che accompagnano il manifestarsi della natura umana. È nascosto dalla stessa natura di essere creatura: infatti Dio, creando, contrae se stesso per lasciare spazio alla creatura. Questa è la maniera in cui Dio ama: si dona mentre si ritira; trasmette alle creature l’esistenza, mentre eclissa la sua. La eclissa proprio trasmettendola: infondendola nelle creature. La eclissa così perfettamente che chi non crede in Dio ha mille ragioni, tutte ben fondate, per dimostrare che Dio non è presente nella realtà. Ha per lo meno le stesse ragioni valide di chi invece crede e testimonia la presenza di Dio. In questo modo l’uomo ha la libertà reale e non fittizia di riconoscere o di non riconoscere Dio: dubita, si smarrisce, ricerca, trova, nuovamente si smarrisce e nuovamente trova. A inventare la storia dell’umanità così variegata, così complessa, così ambigua nel bene e nel male, ma insieme così avventurosa fu il Creatore che fin dalle origini ha lasciato all’uomo la possibilità di commettere il peccato originale.
Il tesoro è così ben nascosto che solo chi sa rischiare e ama l’avventura può intuirne l’esistenza e mettersi a cercarlo. La vita dell’uomo è come il gioco a nascondino così caro ai bambini. In I racconti dei Chassidim di Martin Buber si narra l’aneddoto di un vecchietto che accompagnò il nipotino nei giardini pubblici a giocare. Lì il nipotino incontrò un amico e i due decisero su due piedi di giocare a nascondino. L’amico chiuse gli occhi e il nipotino si nascose. Si nascose con molta cura, per non farsi trovare dall’amico e rendere il gioco interessante. Ecco finalmente la via alla ricerca. Passa un minuto, poi due, poi tre e il ragazzo non viene scoperto. Il gioco era proprio interessante. Passano cinque, dieci, quindici minuti e il ragazzo non viene trovato. Era troppo! Il gioco stava diventando strano e monotono. È sì bello nascondersi bene; ma se non si viene trovati non c’è gusto. Annoiato dalla troppa attesa uscì fuori e trovò soltanto il nonno seduto sulla panchina. «E l’amico dov’è?». «È tornato a casa sua, non ha giocato!», rispose il nonno. Allora il ragazzo scoppiò in pianto: lui aveva giocato sul serio, ma l’amico no. A quella vista il nonno soggiunse: «Anche Dio ama giocare a nascondino e si nasconde così bene! Ma chi gioca a cercarlo?».
«Un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, a vende tutti i suoi averi e compera quel campo». Il tesoro nascosto non è un tesoro da portare via quando uno lo trova; va lasciato nel campo ed è il campo che va comperato e non il tesoro. Il Vangelo ci annuncia che ogni cammino o esperienza religiosa non va mai asportata dalla vita, ma deve restare dentro la vita. Non si può asportare il tesoro dal campo, perché il tesoro esiste solo nascosto nel campo. A chi giunge a identificare Dio in quel tesoro, il Vangelo annuncia di non separare Dio dalla propria natura umana, ma di lasciarlo dentro di essa. Poi andare, vendere tutto e comperare la natura umana: ossia aderire alla condizione umana con tutto il cuore.
Le parabole del tesoro nascosto e della perla preziosa educano la Chiesa a giocare con gioia alla ricerca di Dio, senza mai parlare male del campo dove Dio si è nascosto così bene che per trovarlo bisogna vendere tutto il resto e cercare continuamente. Vendere tutto e far ritorno alla semplicità del Vangelo. la Chiesa, facendo ritorno alla sua autenticità, trova il tesoro e lo manifesta. Il tesoro è la Chiesa stessa convertita alla semplicità del Vangelo.
- Cose nuove e cose antiche
Il grande maestro Censha (Tsung i Ta shih 835-908) era un pescatore che, all’età di circa trent’anni, abbandonò ogni altra cosa per dedicarsi completamente a seguire la via buddista. Divenne discepolo del maestro Seppo (Hsin chue Ta shih 822-908) una delle figure preminenti di quella che oggigiorno è la tradizione rinzai dello Zen. Gensha non aveva alcuna conoscenza delle scritture buddiste, forse era persino analfabeta, ma è noto per la costanza e per la serietà della sua pratica e per non aver mai seguito altro insegnamento che quello del sujo primo maestro. Quando fu sufficientemente radicato nella via da diventare lui stesso una guida per altre persone, racchiuse il proprio insegnamento in una sola espressione: «Tutto il mondo nelle dieci direzioni fino in fondo è un’unica splendente gemma».
Doghen ha dedicato al commento d questa espressione una sezione dello Shoboghenzo, che per titolo, appunto, Ikka myoshu (Un’unica splendente gemma). Per splendente gemma si intende una pietra la cui purezza non ha ombre e la cui rotondità non ha imperfezioni. Possiamo ben immaginarla come la perla perfetta. Dice Doghen:
«Un’unica splendente gemma: ecco io nome conoscibile dell’ottenimento della via che è senza nome proprio. Una splendente gemma è la sequenza dei diecimila anni: permea il passato incomensurabile, permea il presente che viene. Certo, ora c’è il corpo, certo, ora c’è lo spirito, però sono gemma splendente. Nin è (nascosta) qui o là, nel filo d’erba o nell’albero, non è dispersa nell’universo, nella montagna o nel fiume, è proprio la splendente gemma».
[…]
Perciò, anche se tu ed io ci chiediamo che cosa è e che cosa non è la splendente gemma, sondando il pensabile e l’impensabile, intrecciando con chiarezza ogni sorta di idee, grazie alla parola di verità di Gensha udiamo finalmente che proprio questo corpospirito stesso è la splendente gemma; così chiarito, non c’è più bisogno di affannarsi a decidersi se in me non c’è un nucleo, se il sorgere e il dissolversi in quanto tali sono la gemma splendente, se nella splendente gemma non c’è sorgere e dissolversi. Quali che siano i dubbi, non c’è non esserci nella splendente gemma, e siccome non c’è azione, non c’è pensiero cui si dia origine che non sia nella gemma splendente, in verità anche andare e venire nella casa dei demoni della montagna nera altro non è che l’unica splendente gemma».
Così Gensha e Doghen ci parlano, come Gesù, di una gemma splendente, di un tesoro nascosto, di una perla preziosa. Noi non dobbiamo chiederci se stanno parlando della stessa cosa. Sarebbe un vano esercizio di pensiero. La vastità dell’affermazione di Gensha, la complessità dell’analisi di Doghen, la semplicità delle parole di Gesù, non hanno come denominatore comune un oggetto di cui trattano ma l’esperienza da cui partono: quel vendere tutti gli averi di cui parla il Vangelo. Gensha, Doghen, Gesù, hanno venduto tutti i loro averi: solo se anche noi facciamo altrettanto possiamo comprendere di cosa stanno parlando, che cosa è quel tesoro, quella perla, quella splendente gemma. Altrimenti restiamo nel dubbio e nelle congetture. Vendere gli averi non è così facile come regalare i propri beni materiali ai poveri: vuol dire spogliarsi di ogni credenza, di ogni opinione, di ogni certezza o incertezza. Allora si può estrarre dal proprio tesoro cose nuove e cose antiche.
«Avanza con energia nella via diritta e radicale, rispetta l’uomo che tronca l’affidarsi al sapere e annulla l’affidarsi all’agire, entra nella compagnia di coloro che vivono l’essenza della via, eredita la pace di coloro che hanno praticato prima di te. Se a lungo compi questo, certamente diventi questo. Lo scrigno dei tesori si apre da se stesso, e tu ricevi e usi a volontà» (Eihei Doghen, Fukanzazenghi – La forma dello Zazen che è invito universale).
Padre Luciano Mazzocchi
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