Il sole sorge maestoso sopra la brulla terra di Puglia umida di pioggia. Il chicco di grano sepolto nel terreno muore e nasce il germoglio. Questo cresce e, maturando, s’indora. Quindi china il capo e si offre. Così l’uomo ha nuovamente il cibo per continuare il viaggio della vita. Una nobile consuetudine giapponese vuole che al primo dell’anno l’uomo attenda il sorgere del sole. Quando l’astro, padre della vita sulla madre terra, appare all’orizzonte, l’uomo china il capo come la spiga matura e, battendo le mani, venera e ringrazia. Gesù, prima di morire, ha preso fra le mani il pane, ha pronunciato la benedizione, ha spezzato il pane e l’ha distribuito ai discepoli dicendo: “Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio corpo dato per voi”. Così con il calice ricolmo di vino spumante: “Bevetene tutti, questo è il calice del mio sangue sparso per voi”. Sulla croce, “… chinato il capo, spirò” (Gv 19,30).
In questi giorni ho letto un libro che raccoglie gli ultimi scritti di Simone Weil, dal titolo: “L’amore di Dio” (Edizione San Paolo). Alcuni brani mi hanno colpito profondamente e amo condividerli con gli amici tramite questa lettera di fine – inizio anno. Credo che a tutti sia noto che Simone Weil era ebrea, fortemente attratta dalla umanità di Gesù, dal canto gregoriano e dalla liturgia eucaristica della chiesa cattolica. Molti la riconoscono, insieme con madre Teresa di Calcutta, Edith Stein ed Etty Hillesum, una delle figure femminili più luminose del secolo scorso. La testimonianza dell’ebrea Simone Weil è un potente grido che ferisce la comoda sonnolenza della mia abitudinarietà. L’abitudinarietà è la porta all’ipocrisia che Gesù ha tanto stigmatizzato: “Guardatevi dal lievito dei farisei…” (Mc 8,15). I discepoli avevano interpretato che Gesù parlasse del pane; invece con l’immagine del lievito indicava l’ipocrisia che insensibilmente può corrompere tutto l’impasto della vita personale, sociale e religiosa. Senza che ce ne accorgiamo. Il passaggio da un anno che finisce a uno che inizia è occasione opportuna per ritornare più puri, più genuini, più liberi.
Simone Weil richiama una frase di Eschilo: “Ciò che è divino è senza sforzo”. E aggiunge: “Vi è nella salvezza, per noi, una facilità più difficile di tutti gli sforzi”. Vivere senza sforzo è più difficile che vivere sforzandosi. Lo sforzo è all’origine dell’ipocrisia. Vivere dedicandosi fino a consumarsi, ma senza sforzo, questo è il dono della fede. Questo è la via dello Spirito. Simone Weil si è prodigata nella lotta operaia, consumandosi fino alla morte. Senza sforzo!
Tutti noi abbiamo l’esperienza di chi ci ha aiutato prodigandosi senza sforzo e di chi ci ha aiutato appesantendosi con sforzo. Il primo, aiutandoci, ci sorrideva, il secondo ci giudicava. Simone Weil voleva ricevere il battesimo e soprattutto fare la comunione eucaristica. Disse di non aver fatto quel passo, perché la chiesa cattolica non è veramente cattolica. “Tutte le volte che un uomo si eleva a uno stato di eccellenza che fa di lui un essere divino per partecipazione, appare in lui qualcosa di impersonale, di anonimo. La sua voce si riveste di silenzio” (pag. 69). “La rinuncia a essere persona fa dell’uomo il riflesso di Dio” (pag. 70). Simone Weil è convinta che il personalismo di Dio e dell’uomo è il lievito dell’ipocrisia. Il dio personale non può accedere a essere Amore. “Il cristianesimo odierno, su questo punto come su molti altri, si è lasciato contaminare dai suoi avversari. La metafora della ricerca di Dio evoca sforzi muscolari” (pag 93).
Simone Weil sembra dire che l’impostazione catechetica e missionaria della chiesa è secondo la logica dei suoi avversari, ossia del mondo. Dio viene inteso come una meta che l’uomo deve ricercare e per cui deve sforzarsi in modo da poterla raggiungere attraverso sforzi muscolari. “La ricerca attiva è nociva, non solo nell’amore, ma anche nell’intelligenza, le cui leggi imitano quelle dell’amore” (pag. 94).
L’incontro con Dio avviene attendendo, vigilando, credendo! “Ma questa attesa del bene e della verità è qualcosa di più intenso di ogni ricerca” (pag. 95). Leggendo questa affermazione della scrittrice ebrea, amante di Gesù di Nazareth, rievocavo la sterilità di tanto dialogo interreligioso, in cui ogni parte è lì per mettere in mostra se stessa, forse anche per difendere se stessa, senza l’atteggiamento di attendere, ascoltare, ricevere. Sento sempre più la vena di ipocrisia che c’è sotto i titoloni di assemblea delle religioni – le religioni per la pace ecc. Lo stesso sentore anche nel titolone Vangelo e Zen. I titoli mettono in posa, mentre tutti non siamo che pellegrini. L’ateo forse può sperimentare Dio, perché quando lo incontra prova stupore e china il capo come la spiga matura. Il teologo, il ricercatore di Dio, forse non lo incontrerà mai, perché davanti a Dio anziché stupirsi e chinare il capo, anzitutto vorrà verificare se corrisponde alla sua idea di Dio. Chi cerca Dio, di fatto cerca se stesso. “Una difficile insidia da evitare è lo sforzo atto a immaginare la perfezione divina che la religione ci propone di amare. Noi non possiamo immaginare in nessun caso qualcosa che sia più perfetto di noi stessi. Questo sforzo rende inutile la meraviglia dell’Eucaristia” (pag. 95).
Dopo tutto è come chi cerca una fidanzata o un fidanzato con già in mente come la/lo vuole. Quando la/lo incontrerà, il primo sentimento non sarà: Oh! Grazie! Sarà invece: Ce l’ho fatta. L’ho trovata/o! E’ come l’ho pensata/o! In quel L’ho trovata/o si nasconde il lievito dell’ipocrisia che ti fa mentire dicendo di amare l’altro mentre nell’altro ami solo una tua propria idea, un tuo proprio bisogno, e non il vero altro. Tante volte anche noi preti e missionari parliamo di Dio senza stupore, perché parliamo di una nostra nozione di Dio e non del Dio che scopriamo proprio attraverso l’incontro con le persone con cui stiamo parlando. Parliamo di un Dio che è il prodotto finale della nostra teologia. “La parte mediocre dell’anima ha, nel suo arsenale, molte menzogne capaci di proteggerla anche durante la preghiera o la partecipazione ai sacramenti. Tra lo sguardo e la presenza della perfetta purezza essa pone dei veli, che è molto abile a chiamare con il nome di Dio. Questi veli sono, per esempio, degli stati d’animo, fonti di gioie sensibili, di speranza, di conforto, di consolazione e di pacificazione, o anche un insieme di abitudini, oppure uno o molti esseri umani, o anche un ambiente sociale” (pag. 95). “E’ difficile discernere la fede dalla sua imitazione sociale” (pag. 96).
“L’amore del prossimo, l’amore della bellezza del mondo, l’amore della religione sono amori in un senso del tutto impersonale” (pag. 98). Condivido pienamente la riflessione di Simone Weil: il cristianesimo è impedito a essere Vangelo dal concetto di persona attorno a cui ha intessuto la sua riflessione teologica. Dio ente assoluto personale e l’uomo ente personale creato, non possono amare senza sforzo perché sono incapsulati nel limite della persona che li separa dagli altri. Quindi l’amore rimane un’opera, una attività di un soggetto verso un oggetto. Quindi produce un merito, a sua volta fonte di un diritto dell’amante sull’amato e di un dovere da parte dell’amato verso l’amante. L’amore è sforzo muscolare.In questi giorni avremo ascoltato il canto natalizio: “Ahi, quanto ti costò l’avermi amato!”. Tanto cristianesimo è rimasto compassione, senza dischiudere la sua bellezza.
Quanta muscolarità oggi nel mondo. Il parlamento giapponese ha eretto il segreto di stato per ogni attività, compresa quella educativa. Lo stato deve difendersi dalla indiscrezione dei cittadini anche quando emana decreti sulla loro vita culturale e sociale. Quanta muscolarità nella mente umana, oggi! Il problema della omosessualità è risolto o condannandolo come in certi paesi dell’oriente, oppure ignorandolo come si tende fare in occidente, equiparandolo al matrimonio. Così l’omosessualità rimane lì, con il suo dramma interiore a cui non si rivolge lo sguardo. Quanta muscolarità nelle fazioni politiche! E anche nel mondo religioso! Quanto proselitismo settario!
“… al centro della religione cattolica si trova un po’ di materia senza forma, un po’ di pane… al centro della religione cattolica sta il frammento di materia” (pag. 98).
E’ tutto così senza sforzo per la grande quercia il distendere enormi rami verso il cielo, perché ha le sue radici profonde e nascoste. E’ così senza sforzo la pace fra i popoli quando questi oltre le proprie diversità culturali e politiche conservano il rapporto con la radice comune da cui hanno origine tutte le stirpi umane. E’ così senza sforzo il cammino e il dialogo religioso, quando ogni religione prima di predicare ciò che sa avverte il bisogno di attendere e ascoltare ciò che non sa!
“… la religione non consiste in nessun’altra cosa che in uno sguardo” (pag. 97).
p. Luciano
P.S. Ho acquistato le 8 copie del libro “L’amore di Dio” di Simone Weil disponibili presso la libreria San Paolo di Milano. Li porterò con me nei prossimi ritiri per chi volesse acquistarne una copia.
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