Quand’ egli fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete, ma come ho già detto ai giudei, lo dico ora anche a voi: dove vado io voi non potete venire. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore
gli uni per gli altri».Simon Pietro gli dice: «Signore, dove vai?». Gli rispose Gesù: «Dove io vado per ora tu non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi». Pietro disse: «Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!». Rispose Gesù: «Darai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte»
* Il pensiero divino si fa carne: la gloria e l’amore
La sera dell’ultima cena con i discepoli, a poche ore dalla sua morte, Gesù percepiva nel suo corpo e nel suo spirito una pace profonda e gloriosa. Era a conoscenza che uno dei Dodici aveva pattuito con i sacerdoti del tempio per tradirlo e consegnarlo nelle loro mani. Ciò nonostante, Gesù rilasciò ai discepoli molte raccomandazioni, e le compendiò nel comandamento dell’amore reciproco.
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L’ultima cena di Leonardo
Questo, come un perno, tiene assieme tutte le altre virtù, facendone un ventaglio solido e variegato. L’amore è uno e molteplice assieme. È detto che anche Budda, prima del trapasso, abbia lasciato ai discepoli l’insegnamento fondamentale, detto delle otto consapevolezze della via. Una sola via e otto modi di percorrerla!
Il comandamento dell’amore reciproco è proclamato da Gesù come l’insegnamento che più gli stava a cuore, come la parte più intima del suo Vangelo. È il suo testamento; e, nel dettar lo, Gesù lega all’amore la gloria, come due parole inscindibili. È detto che ogni aspetto è reso vero da un altro aspetto differente che, a prima vista, sembra opposto. Così l’audacia è resa vera dalla prudenza e viceversa, la severità dalla benevolenza. Anche in natura il cibo è reso utile dalla fame, il vestito dal freddo e la medicina dalla malattia. Nel discorso di Gesù, fra gloria e amore c’è un nesso di fecondità reciproca. Noi protendiamo a strutturare l’amore per la gloria oppure la gloria per l’amore. Riteniamo quindi che amare sia la via e la gloria sia la meta. Vediamo i santi come coloro che hanno vissuto con sacrificio la via dell’amore su questa terra, meritandosi la gloria nel paradiso.
Ma l’amore, se è strumento per qualcosa d’altro, non è più glorioso, bensì cupo. Ugualmente se la gloria è interpretata come meta, caccia l’amore ed evoca la violenza. Infatti la gloria di alcuni che conseguono la meta comporterebbe la non gloria degli altri che hanno fallito. Sarebbe come dire che il paradiso vuole la controparte dell’inferno e che il castigo inflitto ai cattivi aumenta la gloria dei beati. Sarebbe quindi una gloria che si nutre dello squallore di chi non è glorioso. Come nel capitalismo sfrenato il benessere di alcuni si fonda sul malessere di molti altri.
«Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato». «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato». Il comandamento dell’amore è antico quanto il mondo: tutti i popoli lo conoscono. Così pure la gloria da sempre è stata celebrata, soprattutto dai popoli cultori della bellezza come i greci e gli antichi cinesi. Gesù versa una particolare fragranza su questo già santo connubio della gloria e dell’amore: dice che è un legame che la morte non solo non interrompe, ma anzi consacra! Gesù, nell’imminenza del tradimento e dell’abbandono da parte dei suoi, sperimentava quel connubio nel suo corpo e spirito. «Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito». Subito, mentre è a cena coi discepoli, mentre trema nel Getsèmani, mentre è appeso sulla croce. La croce divenne così segno di gloria e di amore. La gloria vera è come la luce delle stelle che brillano nel cielo: sono fatte di luce e, di conseguenza, diffondono la luce. La gloria è la trasparenza di ciò che si è e di ciò che si fa. Tutto è ricevuto e tutto è dato. La gloria è lo sprizzare della gioia nel cuore quando l’uomo non forza nulla per il proprio capriccio, ma si comporta lasciandosi verificare dalla realtà in cui si manifesta la volontà di Dio. È glorificato chi non impone se stesso, facendo delle sue idee la volontà di Dio, ma aggiunge il suo sforzo a quella volontà divina che lo attira a sé.
A poche ore dalla sua passione Cristo, in profonda comunione con la missione ricevuta dal Padre, era consapevole di quanto stava per accadere e vi aderiva con tutte le sue forze. Intimamente conciliato con il proprio cammino, proprio perché volontà del Padre e non sua, Cristo ama la sua vita, la sua vocazione, il suo destino di morire. È un amore tenero e riconoscente.
«Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri». Questo come è ciò che rende nuovo il comandamento dell’amore proclamato da Gesù. Amore che nasce dalla gloria della propria unificazione interiore ed esteriore, come semplicità esuberante dell’essere. Amore che non è una virtù che si conquista coi propri meriti, passibile quindi di vanto da parte dell’uomo; ma piuttosto conciliazione profonda con se stessi, sia nel momento in cui si progredisce sia in quello in cui si regredisce. Dopo aver progredito nella virtù, giunge il momento in cui per un qualsiasi motivo il vigore si affievolisce e la convinzione traballa. Amore che non si ripropone nessun guadagno, perché in se stesso ha già tutto ed è somiglianza perfetta con Dio che è amore. Giocando cogli opposti per indicare la verità che è oltre gli opposti, ma che abita negli opposti, si può riconoscere la gloria nello sforzo personale e l’amore nella gratuità del dono. Quando c’è sforzo e gratuità assieme, ossia quando il proprio impegno si radica nella grazia ricevuta e la grazia ricevuta alimenta l’impegno personale, allora c’è la gloria e c’è l’amore.
Quando su questa terra viene compiuto un qualche gesto di amore che non mette in risalto né chi ha in abbondanza e dà, né chi è nella mancanza e riceve, ma è semplicemente il passamano di una grazia che non è né del primo né del secondo, e contemporaneamente è sia del primo che del secondo, perché la natura della grazia è la gratuità, allora quel gesto di amore è glorioso. Non c’è paura, non c’è calcolo, non c’è premio, non c’è nemmeno il titolo di gesto di amore; ma soltanto figliolanza divina.
p.Luciano
* «Amor che muove il sole e l’altre stelle»
Questo breve brano di Vangelo è molto denso e ricco. Può essere diviso in tre parti, cui corrispondono tre messaggi di Gesù.
Il primo è alquanto sconvolgente. Gesù, dopo la lavanda dei piedi, è a cena con i discepoli: l’ultima cena del Vangelo secondo Giovanni è molto diversa da quella degli altri tre evangelisti. Consiste soprattutto in un lungo discorso di Gesù. Subito prima di iniziare a parlare, egli fa una cosa che lascia attoniti: rivela che uno dei discepoli sta per tradirlo e, richiesto chi sia, lo indica come quello cui darà un boccone di pane intinto; quindi intinge il pane e lo dà a Giuda. «E allora, dopo quel boccone, Satana entrò in lui. Gesù quindi gli disse: “Quello che devi fare fallo al più presto”» (Gv 13,27). Giuda esce, e da qui inizia il brano in questione. Sembra che Giuda sia né più né meno che lo strumento di un disegno in cui è necessario che egli tradisca: una vittima predestinata, quello cui è toccata la parte peggiore. Certo, soggettivamente parlando, Giuda è colpevole e consenziente, nel senso che sa cosa sta facendo e Satana entra in lui perché lui è disposto a far entrare Satana: può far la parte del traditore perché è un traditore. Però, dal punto di vista di Gesù, che abbraccia tutto e da cui nulla resta escluso, Giuda è solo uno che fa la sua parte, che è la parte per cui è nato. Quel boccone libera in Giuda l’energia che lo fa essere se stesso. Per Giuda essere se stesso è una dannazione: ma in quella stessa dannazione è assolto. Perché essendo Giuda se stesso, anche Gesù può compiere la sua parte: l’essere se stesso di Giuda è l’essere se stesso di Gesù. Per questo è Gesù a dargli il boccone: è una vera comunione fra loro, che Gesù amministra perché ne comprende pienamente il senso. «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui».
Il secondo messaggio è il proseguimento del primo: dove vado io voi non potete venire. Dire che ogni cosa è se stessa e deve fare se stessa significa affermare l’identità di ogni cosa. Identità, in duplice senso: nel senso che ogni cosa è fondamentalmente in unione con tutto, è originariamente uguale a ogni altra, e nel senso che ogni cosa ha la propria identità che la rende unica e irripetibile. L’essere Gesù di Gesù è solo di Gesù: nessuno potrà mai essere al suo posto. Identità non è mai confusione.
Dal secondo insegnamento, deriva il terzo: come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri. L’identità si esprime in forma di amore. L’amore è la legge dell’essere in identità che Francesco canta nel suo Cantico delle creature. Il discorso di Gesù ai suoi discepoli è rivolto alla piccola comunità raccolta intorno a lui, cellula di un organismo che è l’intero universo. L’amore come segno distintivo di riconoscimento, come unica possibilità di identificazione da parte di chi osserva. L’amore non è una parola d’ordine, una dichiarazione di fede, una forma precostituita: l’amore è una direzione cui volgere la globalità del proprio essere e del proprio comportamento. Non ha forma definita, perché volta per volta può assumere le forme più contraddittorie che la situazione può richiedere: tanto una carezza che un pugno possono essere la forma dell’amore, così come la forma del disamore. Questa indicazione di Gesù, così semplice e totale, è la più difficile da seguire: non ci sono parametri, non c’è che da guardare in se stessi per vedere se ci orientiamo davvero a quella direzione.
Jiso
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