«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. lo pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò in lui».
* Il pensiero divino si fa carne: da Dio a Dio
Tutto il Vangelo è l’annuncio del Dio con noi. È un solo annuncio, ma questo echeggia con toni differenti, a seconda delle situazioni. E l’apice di questo annuncio intessuto di tanti annunci è la promessa dello Spirito. È per effondere lo Spirito, che Dio si fa carne, divenendo il Dio con noi, affinché ognuno di noi risorga alla novità di vita nello Spirito.
La promessa dello Spirito e l’attesa della sua venuta formano il nucleo del discorso-testamento di Gesù all’ultima cena. Nulla gli premeva tanto come suscitare nei suoi apostoli l’apertura allo Spirito. Lo Spirito li avrebbe condotti alla verità tutta intera, che nemmeno Gesù poteva dire a parole, perché le parole non possono contenerla! Quindi Gesù con insistenza promise loro: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi».
Conoscere lo Spirito! Sì, lasciandolo dimorare presso di noi, mentre ci avvolge! Respirarlo dentro di noi come si respira il cielo, mentre noi abitiamo dentro il cielo! Gesù lo chiama aria, vento, che nel testo originale del Vangelo in lingua greca è tradotto con pneuma. «Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene e dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito» (Gv 3,8). Lo Spirito è santo, è persona divina: niente lo può fermare, nemmeno le nostre paure o i nostri attaccamenti. Lo Spirito, come il vento, è uragano e brezza, gelido e caldo, secco e umido. Se irrigidiamo le nostre idee, le frantuma in polvere; se il nostro cuore è evanescente, lo raccoglie e gli dona consistenza. Se ci insuperbiamo, ci abbatte; se ci abbattiamo, ci riporta a rimpiangere le altezze.
«Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità». Gesù chiama lo Spirito altro Consolatore. Questo altro ha un grande valore: indica che c’è una persona divina, una forza divina che è altro dal Cristo. Indica che, incontrando il Cristo e ricevendo la sua redenzione, dobbiamo poi vivere nel soffio libero dello Spirito. Sbaglia tutto chi si ferma ad adorare il Cristo e a copiarne i comportamenti. Sbaglia, perché se ha incontrato Cristo, questi lo affida alla via dello Spirito. «Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi».
Il Cristo non è venuto per conquistare il mondo, affinché si dica: il mondo è diventato cristiano! È venuto invece per effondere lo Spirito sul mondo, affinché tutto svolga la sua funzione. Il Cristo è come l’aratore del campo; lo Spirito è come la pioggia e i raggi del sole che rendono fecondo il campo arato. Gesù, la persona storica del Cristo, ritorna dal Padre per pregarlo a inviare lo Spirito. Gesù si ritira! Quanto preme al suo cuore che i discepoli vivano nello Spirito e non si irrigidiscano in sterili schemi di appartenenza religiosa! Che non aggiudichino a se stessi l’essere cristiano, come ci fosse un essere di Cristo che rimane statico in Cristo e non si affida allo Spirito che soffia come e dove vuole. Giovanni il Battista, ai farisei e sadducei che gli chiedevano il battesimo, gridava: «Non crediate di poter dire fra voi: Abbiamo Abramo per padre. Vi dico che Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre» (Mt 3,9). I religiosissimi custodi del tempio e dei suoi riti si erano irrigiditi nel loro proclamarsi discendenti di Abramo.
Forse Gesù prevedeva gli odi e le guerre che nella storia sarebbero scoppiate fra persone che si dicono religiose. Così, nella cena di commiato dai discepoli, poche ore prima della sua morte, è lì in preghiera a invocare lo Spirito. Dio non è un monos autosufficiente, ma è la santa relazione di tre Persone. Ricchissimo in carità, in lui non c’è traccia di autosufficienza. Così il Pensiero divino fatto carne nella Persona di Gesù fa spazio allo Spirito perché compia la sua parte.
Anche in Dio c’è il ritirarsi e l’affidare! «Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò in lui». Quando l’uomo dialoga con Dio, Dio al suo interno dialoga sull’uomo. Dialoga la divina origine delle esistenze che chiamiamo il Padre, dialoga il Pensiero divino che dà forma alle esistenze che chiamiamo il Figlio, dialoga la santa anima di Dio che chiamiamo lo Spirito Santo. In ogni creatura il Padre imprime la consistenza, il Figlio riversa il senso e lo Spirito anima tutto nella carità. Non c’è Dio che non si affidi a Dio! Così Dio è fondamento della storia, la quale altro non è che la liturgia feriale delle relazioni divine. Liturgia feriale fatta di pratica religiosa costante, di lotta per la giustizia, di promozione della pace, di ricerca scientifica; in una parola: liturgia feriale che è il divenire della storia in cui il Cristo, al dir dell’apostolo Paolo (Ef 4,12-14), viene edificato alla sua misura perfetta attraverso il contributo di ciascuno. Come un fiume che sgorga dalla sorgente e, percorrendo le valli e le pianure, completa la sua portata grazie all’apparato dei tanti affluenti, quindi si riversa nell’immenso mare.
Il Cristo sta nel mezzo fra l’origine che crea ogni esistenza nella sua individualità, il Padre, e la fine che dissolve le individualità nella comunione dell’amore, lo Spirito. Sta nel mezzo con il suo corpo, portando la croce, affinché nessuno, rimpiangendo l’origine o anelando alla fine, trascuri la via di mezzo che è la fedele esistenza nella storia. Chi ama il Cristo che porta a compimento la storia, è amato dalla sua fonte, il Padre, ed è consolato dal vento dello Spirito, in cui tutto fa ritorno alla pura gratuità della carità di Dio. «Chi mi ama sarà amato dal Padre mio». «lo pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore».
È consolazione intima per l’uomo, che scorre nella corrente della storia, l’affidarsi al suo Dio, che egli comprende e venera come relazione di Persone divine in dialogo, dove Dio è Dio perché si affida a Dio. Quando corpo e spirito tacciono, l’uomo può ascoltare il silenzio di Dio che dialoga con Dio; lo sente nella sua carne. L’uomo è carne di Cristo; Cristo è carne di Dio. È il campo fatto di tempo e spazio in cui il Padre crea e fa crescere, e lo Spirito fa maturare profondendo sapore e profumo.
È simile l’esperinza religiosa che io, prete, percepisco quando seggo in zazen.
p.Luciano
* Per sempre con noi
Nella parte finale della sezione dello Shoboghenzo intitolata
Ghenjokoan – La profondità evidente del presente che si fa presente, Doghen Zenji riporta il seguente dialogo:
«Mayokuzan Hotetsu Zenji[1] stava usando il suo ventaglio, quando un monaco sopraggiunto gli chiese: “La natura del vento è sempre presente, non ha né luogo fisso né limiti: per quale ragione allora usare il ventaglio?”. Il maestro rispose: “Tu sai soltanto che la natura del vento non viene mai meno; non sai quale è il significato concreto del fatto che non ha né luogo fisso né limiti”. Il monaco replicò: “Ma allora quale è il significato del principio che non ha né luogo fisso né limiti?”. Allora il maestro semplicemente agitò il ventaglio. Il monaco si inchinò».
Doghen, chiusa la citazione, commenta questo dialogo nel seguente modo:
«Così è la pratica evidente della verità originaria, così è il sentiero operoso della trasmissione corretta. Presumere di non usare il ventaglio perché il vento è presente ovunque, pensare che il vento agisca anche quando non si usa il ventaglio, vuoI dire non conoscere che è dappertutto, non conoscere la natura del vento».
Il vento, che è lo Spirito, soffia dove vuole. Non è proprietà esclusiva di nessuno, non può essere imbrigliato, usato, manipolato. Non si può vedere il vento, ma lo si può conoscere: conoscere non come si conosce un oggetto ma come si conosce se stesso, immediatamente.
Scrive Maestro Eckhart:
«I migliori maestri dicono che Dio si conosce del tutto immediatamente […] Se devo conoscere Dio immediatamente, senza immagine e senza somiglianza, bisogna che io divenga assolutamente Dio, e che egli divenga assolutamente me, così completamente uno, che io operi con lui, e non in modo tale che io agisca mentre egli mi sospinge ad agire, ma che io agisca con le mie forze. lo opero con lui proprio come la mia anima opera con il corpo. Questo è davvero consolante per noi, e, anche se non avessimo altro, dovrebbe spingerei ad amare Dio».[2]
Il vento soffia dove vuole e ci sospinge. Noi alimentiamo e sosteniamo il vento. Il vento che anima le parole di Gesù, di Doghen, di Eckhart, è lo stesso che le fa giungere alle nostre orecchie. Esse ci giungono chiare e distinte, non mescolate, non dissonanti. A noi sta di udirle, intenderle, accoglierle e farle a nostra volta volare, libere e nuove. È davvero consolante che il vento ci parli del vento nello stesso modo, sia che giunga da nord o da sud, da est o da ovest. Anche se non avessimo altro, questo dovrebbe spingerei ad amare il suono del vento, da qualunque parte provenga, e dovrebbe farei capire che pretendere che il vento soffi da una sola direzione significa non comprendere la natura del vento. Non dobbiamo credere, usando il ventaglio, di produrre il vento. Il vento c’è già, non si crea né si produce: semplicemente, se non si agita non soffia, e se non soffia, allora, che vento è?
Jiso
[1] Maestro cinese vissuto nel IX secolo, discepolo del famoso maestro Ma-tsu Tao-i (Baso Doitsu 709-788),
[2] Meister ECKHART, Sermoni tedeschi (dal sermone Modicum et non videbitis me, Adelphi, Milano 1985, 196).