Relazione di p. Luciano al convegno celebrativo dei 150 anni di amicizia Italia Giappone, tenuto a Montecitorio il 7 luglio.
150 anni di amicizia Italia – Giappone
incrocio di vie religiose
Il primo occidentale che parlò, in modo fantasioso, del Giappone, il Jipangu dove le case avevano il tetto d’oro, fu un italiano: Marco Polo. Il primo occidentale che concretamente tentò l’integrazione delle qualità umane dei giapponesi e dei missionari europei nel Cerimoniale per i missionari in Giappone (1585) fu il gesuita Alessandro Valignano, un italiano. Quanto sto per dire sia un piccolo contributo al legame di amicizia fra Giappone e Italia, nella scia di chi a tale amicizia ha dato inizio.
Quando a 21 anni scelsi la vita missionaria, nutrivo il sogno di approdare nel Paese del Sol Levante. Il sogno si avverò nell’agosto 1963. Nel 1982 fui richiamato in Italia per altri impegni. Nei 19 anni trascorsi in Giappone ho incontrato le usanze e la cultura di quel popolo. Rientrato in Italia, nella silenziosa memoria della lontananza, ne ho riconosciuto il cuore. E il cuore giapponese e quello italiano sono lo stesso cuore umano. Buddhismo e Cristianesimo sono insegnamenti religiosi che, scaturiti dal cuore umano, ritornano al cuore umano. Ma il cuore umano è più profondo di ogni insegnamento che da esso scaturisce e ad esso ritorna. Non si esaurisce in nessuna religione; ma continuamente pone nuove domande a cui le religioni possono dare risposte soltanto rinnovandosi e ri-vificandosi a loro volta. Nel mentre, però, il cuore umano dal suo profondo fondo scava nuove domande.
La mia testimonianza si raccoglie attorno a questa convinzione: i valori religiosi cresciuti in Giappone, shintoisti e buddhisti, e i valori religiosi cresciuti in Italia, dall’eredità classica e dal vangelo cristiano, sono patrimonio dell’umanità. Si offrono a tutti. A chi li accoglie nel suo pellegrinare distillano gocce di vera umanità.
In Italia ho sempre beneficiato del rapporto amichevole di molti giapponesi che hanno scelto di trascorrere un periodo o il resto della vita nella nostra penisola. L’Italia attrae il cuore giapponese come il Giappone quello italiano. Due attività che mi hanno tenuto in stretto rapporto con i giapponesi qui in Italia furono, una la cura pastorale della comunità giapponese cattolica di Milano che ho svolto per 9 anni, e l’altra l’animazione del dialogo Vangelo e Zen che da decenni è la passione della mia umanità. Abito a Desio, in Brianza, in una ampia casa dove quotidianamente pratichiamo lo Zazen, l’ascolto del Vangelo e sovente anche l’Eucaristia.
Fatti curiosi: oggi i luoghi dove il Buddhismo è più vivo si trovano probabilmente in occidente, e i luoghi dove la Chiesa Cattolica è vitale sono probabilmente alcuni paesi di tradizione buddhista: il Vietnam, la Corea, la Thailandia del Nord, il Sri Lanka. Le due missioni in cui ho prestato il mio servizio in Giappone, oggi sono affidate a missionari coreani. Nel mentre alcuni miei cari amici italiani, battezzati nella Chiesa cattolica, oggi trovano l’umore della vita nella pratica buddhista. Alcuni sono monaci in quella via. Con uno di loro ho condiviso la vita quotidiana per vari anni.
E’ senz’altro lecito aspettarsi da un sacerdote cattolico che si dedica, tempo pieno, alla pratica e alla testimonianza nel dialogo Vangelo e Zen, un discorso sulle somiglianze e sulle differenze fra le due correnti religiose. Nei libri che ho curato ho tentato qualche risposta. Ma, sempre più, quanto in questo cammino mi penetra nell’intimo è l’esperienza della mia nuda esistenzialità umana che, stando quieto nelle mie abitudini e appartenenze dimenticavo, mentre nel confronto con ciò che mi è differente, ritrovo. Il Buddhismo e il Cristianesimo sono due esperienze umane profondamente serie che, da sponde opposte, contengono l’inquieto cammino del cuore dell’uomo. Troppo ravvicinate o troppo allontanate, non sono più le sponde, e non c’è più neanche il sentiero che scorre fra le sponde.
L’uomo è radicalmente inquieto: è un qualcosa che, faticando per consistere come qualcosa, sempre è tentato a far ritorno nella quiete del nulla; è un nulla che, non avendo ove posare i piedi prende paura e reagisce facendo di tutto per emergere come qualcosa. Consistere o non consistere: tra queste sponde l’alveo della vita che scorre giorno dopo giorno.
Sono tanti i nomi che richiamano queste due sponde opposte tra cui si snoda l’avventura di esistere: trascendenza e immanenza, persona e natura, libertà e destino, spirito e materia, vuoto e pieno, NULLA e DIO.
NULLA detto nel cammino buddhista è vuoto, è impermanenza, è distacco, è risveglio. Nel risveglio, diviene presenza, equanimità e pace.
DIO detto nella via cristiana è la mano che genera, ed è la mano che è generata; è la mano che dà, ed è la mano che riceve. Dio è il calore che passa da una mano all’altra. Dio è la circolazione della grazia nelle varie forme dell’esistenza. Dio è la potenza e la tenerezza del rapporto che scorre tra le sponde dell’io e del tu, che mai si sovrappongono per lasciar scorrere la grazia, come gli argini di un ruscello.
NULLA: l’uomo vuole emergere, vuole affermarsi, e alla fine si chiede perché lo fa, da che cosa vuole fuggire. Lo sforzo per consistere lo logora. Lotta per liberarsi dal nulla, ma alla fine percepisce che proprio quel nulla gli è intimo, è ciò che è. Allora si siede e si affida. Il silenzio lo avvolge. L’uomo orientale, ma non solo, ha tratto molta sapienza, armonia, pace nel percepire che tutto quanto esiste è radicalmente NULLA. Superficialmente si direbbe che un albero proviene da un seme. Così appare all’occhio che osserva, ma mentre l’occhio osserva, sia il seme, sia l’occhio si trasformano nell’impermanenza del tutto. Né il soggetto, né l’oggetto permangono. Il buddhista è pronto ad accogliere la teoria della relatività generale.
La meditazione Zazen, le tante vie del tè, del fiore, dell’arco, della mano vuota (karate), lo yoga ecc. hanno fatto effluire nel corpo e nello spirito di molti occidentali il soffio del NULLA. Molti di questi continuano a elevare le consuete preghiere cristiane e le insegnano ai figli ma, forse senza avvertirlo, quando pronunciano DIO, il loro cuore e la loro mente non si prefigura un ENTE trascendente, ma piuttosto una PRESENZA che è presente essendo NULLA di ogni nostra prefigurazione. Il NULLA – PRESENZA accarezza l’uomo come una madre l’infante.
L’effluire del NULLA nella vita di ognuno di noi darà inizio a una grande rigenerazione umana. L’uomo che sta in piedi perché corre proteso verso i miraggi di una meta prefigurata sempre più avanti, sempre altrove, sempre nel futuro, tornerà a gustare la brezza del presente. Non correrà ad acquistare perle preziose costosissime, ma gusterà il profumo della violetta che, fiorendo, si nasconde tra le erbette del ciglio della strada.
Il NULLA buddista dice il fluire calmo di un fiume che scorre in pianura. Il DIO cristiano dice lo scroscio di un ruscello che scende a valle, gorgheggiando fra i sassi e lambendo le felci che crescono abbondanti sulle rive. Il Cristianesimo è estasi esistenziale. E’ estasi della relazione io e tu, e di tutte le forme dell’esistenza. Nella fede cristiana l’assolutezza di Dio congelata nel monoteismo si disgela e scorre nel tempo e nella storia. Dio si fa carne. Dio è la fonte, è la corrente, è la pioggia che irrora tutta l’esistenza. DIO, amando, muore. Morendo, risorge. “Dio è amore” (1 Gv 4,8). Il Cristianesimo, estasi dell’esistenza, si contrappone al nulla buddista. Si contrappone, ma vicendevolmente si chiamano, si esigono, come le sponde opposte del sentiero. Anzi, nella quiete del nulla il gorgoglio del ruscello è più allegro. E lo scrosciare del ruscello verso la valle manifesta l’anelito di ogni qualcosa che esiste verso la quiete, verso il nulla. “Dio ha scelto ciò che… è nulla per ridurre a nulla tutte le cose che sono” (1 Cor 1,28). Allora “Dio sarà tutto in tutti” (1 Cor 15,28).
L’estasi esistenziale cristiana può snaturarsi in violenza. E’ la tentazione che accompagna il cristiano. La purezza originaria del nulla buddhista può ristagnare in quieto narcisismo. E’ la tentazione che accompagna il buddhista. Allora le due esperienze religiose diventano l’anticorpo che premunisce, l’una per l’altra. Ai giapponesi che, ristagnando in un nulla che non generava più in loro il risveglio, si sono rivolti a me, missionario cattolico, per una parola di guida e di conforto, io ho loro annunciato il Vangelo del PERDONO, testimoniato da Gesù di Nazareth. Il PERDONO è il nulla cristiano, un nulla che gorgheggia l’allegria di esistere. Il perdono più difficile al giapponese è il perdono verso se stesso. Senza perdono verso di sé, verso i propri limiti, il nulla deperisce in fatalismo.
Nel PERDONO c’è l’estasi dell’esistenza. Tra la sponda della mia finitudine e quella della mia partecipazione all’infinito io esisto. Io, esistendo, genero la sponda della finitudine e quella dell’infinito. Camminando, con le mie orme segno il sentiero e le sue sponde. Dio mi genera e io nella fede genero il rapporto che permette a Dio di essere Dio. Ovunque è Dio, io sono; ovunque io sono, è Dio. Il Cristianesimo è il folle sogno che l’esistenza è la reggia dell’essere, il tempo quella dell’eternità. E l’uomo è il tempio di Dio.
L’estasi esistenziale del Vangelo è attraversata da un’ardita speranza, da un sogno folle: la risurrezione universale, in cui ogni palpito del cuore umano sarà esaudito. Questa ardita speranza cristiana non ha alcuna prova se non la fede nascosta nel cuore di chi crede. Il ragionamento si blocca al confine del ragionamento. Solo nel vuoto, nel nulla, l’esistere s’infiamma. Ildegarda di Bingen, una monaca tedesca, nel cupo Medioevo scrisse il Libro delle opere divine. In quest’opera scrive: “Attraverso di me, in effetti, ogni vita si infiamma. Senza origine, senza termine, io sono quella vita che persiste identica, eterna. Quella vita è Dio. Essa è perpetuo movimento, perpetua operazione, e la sua unità si mostra in una triplice energia. L’eternità del Padre: il Verbo è il Figlio; il soffio che collega i due è lo Spirito Santo”.
Quando l’altra sponda del sentiero cristiano è il NULLA buddhista, il cammino cristiano si fa mistico. E la croce del perdono è già la risurrezione in atto.
Endō Shūsaku, 1923-1996, fu uno degli scrittori giapponesi più letti e apprezzati dell’era moderna. Fu insignito delle onorificenze più alte riservate a scrittori in Giappone: Akutagawa, Tanizaki e Ordine della Cultura. Convertito al cattolicesimo, nei personaggi dei suoi romanzi e saggi scorre una umanità esistenzialmente NULLA – DIO. La vuotezza del NULLA non riduce mai la consistenza di ciò che accade, e viceversa. La sua opera più rinomata e tradotta nelle varie lingue è Chinmoku – Silenzio. Ecco la trama: lo shōgun Tokugawa (1603 – 1668) indice una tremenda persecuzione contro le fiorenti comunità cattoliche del Giappone. Alcuni cristiani affrontano il martirio cantando inni; altri per salvare la vita abiurano a parole, ma di nascosto con le lacrime agli occhi pregano chiedendo il perdono. Il superiore dei Gesuiti, Cristovao Ferreira, dopo 10 anni di prigionia, abiura e si mette a collaborare con lo shōgun per reperire i cristiani e condurli ad abiurare. Alcuni abiurano e altri muoiono martiri. I pescatori cristiani delle isole di Nagasaki vengono legati a pali conficcati nella spiaggia alla bassa marea. Le onde ritornano e alla fine soffocano le bocche che ancora cantavano inni a quel Dio che taceva. Infine, il mare li sommerse e Dio rimase in silenzio.
Dio farà silenzio, finché nel perdono tutto non sia redento.
Entro quest’anno Martin Scorzese, regista italo americano, offrirà al mondo il film Silence che proietterà sullo schermo la scena dei poveri pescatori di Nagasaki che, mentre cantavano inni a Dio, venivano sommersi dalle onde di quel mare che era stato la risorsa della loro vita. Dio taceva.
Non c’era l’onnipotente e l’onnisciente dei teologi. C’era solo il CRISTO che nel suo corpo assorbe il male e lo annulla. E tutto “era nascosto con Cristo in Dio” (Col 3,3).
p. Luciano Mazzocchi sx
Montecitorio, Sala Aldo Moro, 7 luglio 2016